Cagliari, Dante Alighieri e molte altre cose. Appello al presidente Guido Portoghese, di Gianfranco Murtas
C’è un rapido passaggio, nel discorso tenuto, giovedì scorso, dal presidente del Consiglio comunale di Cagliari Guido Portoghese per celebrare il rapporto fra Grazia Deledda e la nostra capitale sarda, e che ho ora letto nel sito istituzionale del Comune: un passaggio che, fra gli altri, merita di essere recuperato e rilanciato nella logica del valore dei simboli. Si tratta di quello relativo alla sezione cittadina della Dante Alighieri che subito riporta al culto dantesco che fu vivissimo sempre da noi, tanto più nella città bacareddiana nel ponte di secolo, fra Ottocento e Novecento. E da qui al busto di Dante Alighieri che fece da sentinella al liceo Dettori dal 1913 al terribile 1943, e poi dal 1972 per altri trent’anni, fino allo sfratto, invero anche brusco e avvertito per sgarbato, per i lavori di riordino degli spazi nei sotterranei del palazzo municipale.
Se ne può dire in breve, partendo dal mesto presente: da dieci e più anni – dall’estate del 2003 per la precisione, tempo di prima Amministrazione Floris – quel busto si trova nelle aule cimiteriali dell’Economato comunale in via Po. Si sa che è in cattive condizioni, a rischio di sbriciolamento, e che ne è interdetta perfino la riproduzione fotografica. L’amico Paolo Bullita, che sta donando alla città, dopo le corpose monografie sulla storia della nostra università o sulla figura eccellente del canonico Giovanni Spano, molte e molte conferenze supportate da proiezioni di diapositive illustrative di Cagliari e della Sardegna, delle loro vicende e dei loro protagonisti pubblici, ha cercato accesso ancora qualche mese fa, ottenendo promessa di contatto da parte di addetti mai presentatisi poi all’appuntamento. Così funziona anche in tempi di giunta Zedda.
La pur rapida citazione dei meriti della sezione della Dante associati a quelli degli Amici del libro, ben avrebbe anche potuto essere supportata, nel discorso deleddiano dell’ing. Portoghese, dalla contestualità temporale fra lo scoprimento delle due lapidi bronzee nel viale Europa recanti i versi poetici dedicati dalla scrittrice a Cagliari, – lapidi inaugurate a conclusione dell’anno celebrativo del primo centenario della nascita dell’autrice di “Canne al vento” e “Cosima” (il 26 dicembre 1972) – e questo altro scoprimento, così come lo rivela anche la formidabile rassegna de “Il Convegno”, che mi è occorso di spogliare integralmente di recente, ed in particolare i numeri doppi 9-10 del 1972 e 6-7 del 1973: «Inaugurazione del monumento a Dante. Restaurato e collocato nella nostra Sede a venticinque anni dalla sua demolizione ad opera dei bombardamenti aerei durante l’ultima guerra», «4.10.1972: Inaugurazione dell’Anno Accademico (30° della fondazione) e della statua di Dante restaurata dalla Scultrice Anna Cabras Brundo. Madrina la Prof.ssa Dina Azzolina Pisano».
A contribuire a quel restauro furono in molti: Salvatore Marini, Moderno Bini, Filippo Carboni (il generale), Franco Trois, l’Arredarte Marino Cao, il fotografo Caboni, l’amico mio indimenticato Nino Ciusa (figlio del grande scultore Francesco).
“L’Unione Sarda” se ne occupò con un redazionale, non so se dovuto direttamente, sia pure riservatamente, alla mano di Nicola Valle, o a chi altri della Cronaca, magari a Vittorino Fiori maestro sovrintendente alla bella scrittura sempre. Ricordava giustamente l’articolista il monumento «malconcio e reso ormai inservibile» collocato, dopo i bombardamenti che distrussero mezzo quartiere della Marina (si ricordi la vicinissima via Sant’Eulalia, dove cadde anche il palazzo nel quale era cresciuto il mitico Efisio Marini, prozio di Francesco Alziator!), in un buio magazzino al pian terreno del liceo Dettori, al tempo ancora nella piazzetta omonima.
Qualche nostalgico d’improbabile classificazione lo recuperò operandone un restauro molto approssimativo, con risultati opposti all’obiettivo, insomma umiliandolo con impropria riverniciatura. Forse ancor più e peggio caricaturato esso fu dagli studenti dell’Artistico, quando capitò a loro di occupare quello stabilimento, dopo l’abbandono del liceo per la via Cugia e l’abbandono anche del Siotto che lo aveva subito rimpiazzato. Merito dell’associazione Amici del libro e della sezione cittadina della Società Nazionale Dante Alighieri , presiedute e animate per lungo tempo in simbiosi dal professor Valle, fu il disseppellimento che restituì onore ad un manufatto d’arte non mirabolante ma certamente di pregio, rimasto bellamente compromesso con la memoria civica del primo Novecento cagliaritano, sorto nel cuore della seconda stagione bacareddiana – quella iniziata nel 1911, in coincidenza col primo cinquantenario del regno d’Italia – e confermato nel ventennio di dittatura per molti aspetti (di costume, non di ordinamento) continuatore di quella stagione.
La pedagogia statuaria a Cagliari
In diversi abbiamo scritto, nel tempo, di questa scultura e delle altre che, nell’avvio del nuovo secolo, costituirono esempi di quella pedagogia statuaria che dal versante laico voleva pareggiare le suggestioni dei simulacri sacri delle chiese e in specie, da noi, le molte edicole religiose dei quartieri storici e soprattutto l’imponenza del monumento all’Immacolata Concezione innalzato nella piazza del Carmine e là inaugurato nel 1882, realizzato col concorso di molti oblatori e dell’associazionismo clericale. Nel 1901 (dicembre) venne infatti Giuseppe Verdi – anche se il blocco d’appoggio del suo busto bronzeo reca la data sbagliata 1911 (mandai al Comune un dossier anche fotografico dell’antico e del recente, chiedendo la rettifica della data, ma deve esser stato cestinato); nel 1905 (maggio) toccò all’erma in marmo bianco di Giovanni Bovio, leader del repubblicanesimo postmazziniano e Grande Oratore della Massoneria italiana, abbattuto da qualche facinoroso fascista pare alla vigilia della seconda guerra mondiale; nel 1913 (settembre) fu la volta di fra Giordano Bruno, in bronzo, collocato nello slargo che dalla via Mazzini (già degli Argentari) introduce alla via Università, e anch’egli infine penalizzato, da qui rimosso dai fascisti per far posto a un serafico San Francesco, nel settimo centenario della morte (poi si decise di collocare l’Assisiate in piazza Carlo Alberto, dove un tempo si decapitavano i nobili fuorilinea); e nello stesso anno – prima, a luglio – fu inaugurato il busto di buon Padre Dante, alla sinistra dell’ingresso maggiore del Dettori.
Gramsci non era più fra gli iscritti, allora, perché ormai licenziato (e già universitario a Torino), e non s’era potuto godere la compagnia ispiratrice (invero non sempre rispettata) del Sommo Poeta. Era stato invece con gli altri compagni della vicina associazione “I martiri del libero pensiero” (sede in via Barcellona) ai comizi che fra il 1908 e il 1910 s’eran tenuti a ripetizione nello square della stazione, appunto fra l’erma di Verdi e quella di Bovio il profeta, entrambe opera del cagliaritano Pippo Boero, ottimo allievo di Ettore Ferrari.
Dante era lì, guardiano del liceo, da quando, appunto nell’estate del 1913, lo si era presentato come dono degli studenti alla città («al Divino Poeta, gli studenti liceali 1912-1913»). Alla sua commissione, come anche a quella di fra Giordano, affidate entrambe al genovese-toscano Antonio Bozzano, avevano partecipato in moltissimi, secondo il classico sistema delle schede di raccolta. Tutti coinvolti dal professor Liborio Azzolina, dantista competentissimo, formatore di generazioni di studenti, fra liceo e, tanto più negli anni maturi del secondo dopoguerra, università, in quella facoltà di Lettere che risorta a Cagliari nel 1925 aveva nel 1946 preso il largo per la via Corte d’appello (portandosi dietro, dall’atrio universitario dov’era riparato dopo lo sloggiamento dalla piazzetta Mazzini, Giordano Bruno)… Tempi eroici, i tempi della formazione di molti fra i migliori che si sono poi dedicati a formare, chi nella scuola, chi nei partiti o nelle associazioni, noi altri, generazione più giovane. Mi piacerebbe citare in particolare, fra Dettori e Lettere, il professor Antonio Romagnino che mi dette, sul punto, una intervista lunga trenta pagine (in “La città chantant, clericale, monarchica e socialista”, riportante anche un testo allora inedito di Francesco Alziator quindicenne! e gli approfondimenti su Giuseppe Dessì, anche lui dettorino allievo speciale di Delio Cantimori ).
Dunque quel luglio 1913, con un rewind necessario però. Doveva già esserci, però, un busto dantesco a Cagliari. Purtroppo non sono riuscito a datarlo precisamente né a individuarne la paternità, nonostante gli sforzi anche presso i discendenti della famiglia committente, per il più oggi trasferitasi in Puglia. Si tratta del Dante che sta sui cornicioni alti del palazzo Picchi-Basso, all’angolo fra il viale Trieste e la via Caprera: un Dante gemellato ad altre due figure purtroppo non decifrabili per certo (Machiavelli? Manzoni?), e gemellato di lato, sul viale Trieste (al tempo viale San Pietro), anche con i quattro grandi del risorgimento patrio – Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II e Garibaldi –, collocati a filo sul palazzo Picchi-Paglietti, di fianco alla chiesa del Carmine.
La Massoneria ispiratrice?
La Libera Muratoria cagliaritana, in specie la sua loggia Sigismondo Arquer, fu molto dietro o dentro il contesto culturale nel quale, anche a Cagliari, la dottrina di Dante e la sua signoria umanistica dettavano legge. Si ricordi in particolare la complessa vicenda associativa della società Dante Alighieri: la sezione locale fu fondata, fra gli altri, dal professor Gustavo Canti, al tempo – 1898 – preside del Martini e qui docente di lettere italiane, quindi esponente nazionale del Partito Radicale e Gran Segretario (e Gran Maestro aggiunto) della Massoneria di Palazzo Giustiniani. Venerabile della Sigismondo Arquer egli fu segretario e motore, per diversi anni, della sezione cittadina del sodalizio, cui si iscrisse quasi in massa il piedilista della loggia, tanto che nel 1900 si pose all’attenzione di qualcuno, e fu motivo di pubblica polemica, una specie di infeudazione – in verità soltanto supposta – della Dante da parte della loggia.I nomi, per chi conosce quella storia combinata nella tarda belle époque cagliaritana, sono tutti eccellenti: da Dionigi Scano a Luigi Falchi, da Giuseppe Sanna Randaccio a Giovanni Porcu Giua, da Efisio Mameli a Ant. Giuseppe Satta Semidei, da Emanuele Armeni a Antonio Deriu – allora giovanissimo presidente del circolo universitario – , da Luigi Gangitano militare e prossimo deputato a Bartolomeo Rapisardi avvocato erariale, ad Attilio Carro Cao, giovane e sfortunato professore dettorino (allievo di Carducci!), a numerosi altri.
Certo è che il futuro Gran Maestro Ernesto Nathan, poi anche sindaco (illuminatissimo) di Roma, fu fra i fondatori del sodalizio a livello centrale, con Carducci, Villari, Croce e molti altri, nel 1889 (lo stesso anno dello scoprimento, a Piazza dei Fiori, del monumento a Giordano Bruno: oratore ufficiale Giovanni Bovio, presente una delegazione cagliaritana guidata dall’ex rettore prof. Gavino Scano). La Dante nasceva essenzialmente per accompagnare le nostre correnti migratorie con le scuole italiane capaci di preservare la conoscenza della cultura e della lingua nazionale pur nell’impianto lavorativo, di quei tanti nostri operai o braccianti, in terre diverse e lontane, nelle Americhe o nell’Europa stessa.
Sarebbe anche da ricordare che nel 1907 (ottobre) il congresso nazionale della Dante, itinerante per statuto, si svolse a Cagliari. Dove tornò, in tutt’altro contesto storico, nel 1954 (settembre), ospite magnifico il presidente Nicola Valle, e con lui i tanti anche dell’Amministrazione, come il sindaco Pietro Leo, da sempre coinvolti nelle vicende del sodalizio. La rivista associativa “Il Convegno” ne riporta integralmente gli atti.
Sezioni si aprirono, nel primo decennio del Novecento, in altre città dell’Isola, a Sassari e ad Iglesias per prime. A Cagliari, dove la “lectura Dantis” fu virtuosa consuetudine di svariati lustri – fra gli oratori più presenti si distinse il professor Ernesto Concas, massone ferano e biografo dell’Arquer –, innumerevoli furono anche le manifestazioni, soprattutto culturali, finalizzate a raccogliere fondi per sostenere le attività della sezione. Dopo i travagli della grande guerra, e però anche dopo tante inutili e rovinose baruffe provinciali di questo contro quello, la Dante poté rialzarsi per iniziativa soprattutto dell’archeologo Antonio Taramelli. Era il 1924 e un opuscolo circolò con un appello «ai vecchi soci ed ai nuovi». Un nuovo rilancio avvenne nel 1945, e fra i più convinti sostenitori fu “Il Solco”, il giornale dei sardisti. E come potrebbe non colpire e rincuorare, in tempi di deviazioni e derive nazionalitarie e indipendentiste, la sensibilità dei sardisti per la cultura italiana preservata dalla Società Nazionale Dante Alighieri!
Sia detto, in ultimo, anche questo: il mio Archivio storico generale della Massoneria sarda ha raccolto nel tempo alcune centinaia di schede e molto materiale bibliografico e pubblicistico che si mette, ovviamente gratis, a disposizione di chi, studente delle nostre facoltà umanistiche o di Scienze Politiche, intendesse affrontare, per la propria tesi di laurea, il tema dell’associazionismo civico nella Cagliari del Novecento, con una zoomata precisa alla Dante Alighieri.
Salviamo l’erma centenaria, e l’esempio boviano
Ritorno e concludo con il busto del 1913 restaurato nel 1972 ed assegnato dal Comune agli Amici del libro ed alla locale sezione della Dante.
Andavamo, più o meno assidui, negli anni delle presidenze Valle, Romagnino e Cossu-Pinna, alle conferenze e trovavamo, scendendo le scalette del Largo, buon Padre ad accoglierci. Perduta la sede, quel 18 luglio 2003, gli Amici del libro e i dantisti hanno perso anche il lare protettore imprigionato, per morire nello sfaldamento progressivo, in un magazzino dell’Economato municipale.
L’ing. Guido Portoghese, che tanta sensibilità ha mostrato in occasione della recente seduta del Consiglio comunale invitando, con le scuole, anche gli Amici del libro per la celebrazione della Deledda “cagliaritana”, spenda la sua autorevolezza di presidente dell’Assemblea civica chiedendo, esigendo dall’Amministrazione il pronto restauro e la pronta ricollocazione del busto ormai più che centenario. Si porrà la questione di dove sistemare nuovamente, in un luogo opportuno della città, quel (relativamente) piccolo ma storico monumento. Potrebbe essere accanto al nuovo Dettori, potrebbe essere nel tunnel protetto della MEM, potrebbe anche essere – come assolutamente preferirei – nel luogo in cui apparve la prima volta ai cagliaritani. Tanto più se quell’edificio che fu il collegio gesuitico della città prima che la sede del ginnasio-liceo classico, e dopo tanto altro, fosse rimesso in salute, così come dovrebbe essere (in tempi non biblici), ad iniziativa del Comune, nel cuore della Marina, ancora affidato alla moltitudine delle associazioni cittadine.
Ad incoraggiare una tale iniziativa potrei ricordare un precedente. Si trovava nei magazzini comunali, ancora nel 1970, anche il busto – in gesso pesante, grande una volta e mezzo il naturale – di Giovanni Bovio, doppione di quello marmoreo collocato nel 1905 allo square della stazione. Si trovava appunto nei magazzini perché dopo il volgarissimo saccheggio, da parte dei questurini fascisti, nel novembre 1925, del Tempio della Sigismondo Arquer, non si sapeva dove diavolo metterlo. Per l’ostensione doveva bastare, secondo il regime, quello ufficiale della piazza, peraltro destinato anch’esso, come ho ricordato, a cattiva fine. Ma due amici miei repubblicani – il giornalista della RAI Bruno Josto Anedda (lo scopritore benemerito dell’inedito e monumentale diario risorgimentale di Giorgio Asproni!) e l’avvocato Luciano Marrazzi, mazziniano doc – saputo di quella quasi cinquantennale “detenzione”, chiesero al sindaco Paolo De Magistris di poterne mettere fine, ottenendo il pesante gesso per ripulirlo e ripresentarlo alla città. D’altra parte, Bovio apparteneva ai repubblicani non meno che ai massoni, non solo a Trani, Napoli e Roma ma anche a Cagliari, come diffusamente raccontano le cronache di giornale con più insistenza nel post mortem del 1903. E il sindaco, da galantuomo colto e giusto quale era, subito affrettò quella “restituzione”. Così per molti anni, finché ancora fummo in… prima repubblica, quell’erma venne amichevolmente, quasi in alternanza, condivisa dai repubblicani cagliaritani di Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini e dai massoni di varia appartenenza partitica ma certo anche essi tutti sensibili ai valori della democrazia civile avanzata. Nel 2008 ottenni, infine, che il bellissimo, solenne reperto stesse stabilmente a Palazzo Sanjust, dove in occasione delle manifestazioni di Monumenti Aperti i cagliaritani possono incontrarlo e ammirarlo, quasi rigustando quel senso di antico virtuoso della città chantant e patriottica.