IDEE DI SARDEGNA, Autonomisti, sovranisti indipendentisti oggi, Carocci edito, 2016: un libro di Carlo Pala
Pubblichiamo una lunga citazione dal tema: Quale la spiegazione del frazionamento e del moltiplicarsi dei partiti etnoreigonalisti? Un passo del libro a proposito del FAZIONALISMO INTERNO, pagg. 36 ss., cui fa seguito il programma della presentazione a Cagliari, mercoledì 20 settembre 2016.
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Occorre ora passare a osservare i partiti etnoregionalisti alloro interno”. Un requisito analizzato dagli studiosi si riferisce alla presenza di un leader più o meno carismatico, talvolta il padre fondatore che può reiterare la propria carica ad infinitum e ricoprire eventualmente un certo numero di mandati istituzionali. Le mansioni del leader sono di tipo organizzativo, di garanzia dell’unità del partito e di decisione circa le regole interne; ma anche di tipo ideologico, dal momento che spetta al massimo esponente il compito di organizzare la dottrina che dovrebbe ispirare gli aderenti, costruendo I’ìmmagìne di una “nazione irrisolta” e di una regione oppressa, determinando così i fini politici dell’organizzazione. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso il leader era un vecchio intellettuale fortemente attaccato alle particolarità locali, con una forte valenza simbolica, in grado di interloquire con una base sociale di riferimento molto ampia. In tempi più recenti le analisi hanno messo in evidenza altri aspetti. Visto il suo rilievo, il momento della successione o della scelta di un sostituto pone delicati problemi alla sopravvivenza stessa dell’organizzazione. Motivazioni di carattere ideologico e strategico si legano indissolubilmente a ragioni relative alla scelta del leader. Ne consegue che in una regione nascano partiti collocati su differenti posizioni nello spazio politico destra-sinistra e con un grado maggiore o minore di radicalità della propria proposta politica rispetto al partito di provenienza. A tal proposito gli esempi sarebbero numerosissimi e dislocati un po’ dappertutto in Europa (Valle d’Aosta, Paesi Baschi, Corsica). Si crea così il fenomeno deljàzignalismo interno-çcs riprendere un’espressione di Newman (1994) e De Winter (1998, pp. 226-30). La presenza di correnti interne, sovente contrapposte al leader e alla dirigenza, contraddistingue i partiti etnoregionalisti rendendoli vulnerabili alle scissioni di gruppi o defezioni di singoli. Generalmente i motivi principali risalgono a una differenza di strategia interna (si pensi alle correnti indipendentiste in partiti autonomisti o federalisti e viceversa) o a sconfitte elettorali che estromettono il partito dalla rappresentanza istituzionale.
Il fenomeno del dissenso interno, del fazionalismo, diviene una causa ricorrente di scissioni di tali partiti ed è interessante esaminarne i motivi. Newman (1994) parla di tre tipi principali di fazionalismo: I) quello relativo all’intensita del nazionalismo; 2) quello relativo alle divisioni sulle questioni di policy; infine 3) relativo ai legami con i movimenti sociali. Successivamente De Winter (ivi) riprende la tipologia di Newman e la aggiorna prevedendo altri due fazionalismi: 4) il jàzionalismo personale e 5) il fazionalismo relativo alla dicotomia base del partito-establishment.
Il primo tipo di fazionalismo rappresenta una delle cause principali di grandi divergenze strategiche interne culminanti in scissioni e separazioni. Il livello di rivendicazione politica da avanzare al governo centrale/periferico divide il partito. A questo aspetto va rapportato quello relativo alla partecipazione o meno a esecutivi regionali o nazionali. L’indisponibilità di una comune linea strategica sull’opportunità di far parte di un determinato governo regionale, magari con forze politiche centrali presenti a livello locale, può derivare da una valutazione squisitamente elettorale. Il secondo fazionalismo si riferisce al fatto che i partiti etnoregionalisti, secondo la definizione di Newman, sono catch-all, rivolgendosi per lo più a tutte le classi sociali. Più correttamente, si può invece
affermare che essi non sono single-issue (cioè orientati ad alcuni problemi di politiche pubbliche e non ad altri), ma al contrario si adattano alla realtà sociale in cui operano abbracciando varie tematiche (G6mez-Reino, De Winter, Lynch, 2006). L’autonomia acquisita sarebbe in grado quindi, secondo la considerazione dei dirigenti di partito, di apportare benefici a tutta la popolazione della regione, senza eccessive distinzioni tra i cittadini in base alloro status sociale. Tale opinione non viene accettata da una buona parte di militanti convinti della necessità di un chiaro posizionamento lungo l’asse destra-sinistra, eventualmente in grado di attirare i consensi dei delusi delle forze centrali, anch’esse posizionate lungo lo stesso asse. Le differenze riguardo il posizionamento tout court attengono pertanto alla scelta delle politiche pubbliche da proporre agli elettori, prima, e da implementare, poi, una volta al governo. Spesso le priorità percepite all’interno del partito non combaciano con quelle perseguite dalle élite alla guida dello stesso magari impegnate in ruoli istituzionali. Da questo potrebbe conseguire una certa insofferenza dei militanti che non riescono a ottenere un cambiamento della struttura di polity per la regione, primo motivo del loro ingresso nel governo regionale o nazionale. Inoltre, le policy stesse sono ragione di fazionalismo interno: l’immigrazione, l’ecologia, la famiglia e le questioni morali fino a “vecchi” contenuti come il lavoro e l’economia rappresentano un’ampia pletora di tematiche. Come De Winter riconosce, vi sono partiti indipendenrisri che abbracciano nuovi valori postmodernisti (il pacifismo e la solidarietà, ad esempio), contrapposti ad altri più moderati, di centrodestra, al contrario favorevoli a valori antimodernisti, scaturenti in tematiche come l’immigrazione e la sicurezza, tenute assieme da una dottrina populista. Il terzo tipo di fazionalismo risiede nel rapporto dei partiti coi movimenti sociali. Occorre ricordare come i partiti non siano gli unici attori politici del conflitto centro-periferia e talvolta nemmeno i più importanti. Sono i movimenti etnonazionalisti, per riprendere la definizione di Melucci e I5i~nl (1992), ad avere attivato per primi il conflitto territoriale in buona parte del continente europeo. I partiti rappresentano frequentemente un’evoluzione in senso elettorale dei relativi movimenti sociali. In molte regioni i partiti etnoregionalisti operano in concomitanza con i movimenti etnoterritoriali. La comune origine dai regionalismi cui entrambi gli attori dichiarano di volersi ispirare automaticamente non induce, comunque, a una collaborazione reciproca. La presenza di movimenti di questo tipo viene percepita da buona parte dei militanti come minaccia all’attività politica. Il ricorso a metodi violenti di lotta da parte di alcuni movimenti produce un allontanamento da parte di quei militanti fautori di una partecipazione politica “istituzionalizzata” e pacifica. Una scelta movimenti sta (oppure dichiaratamente violenta) piuttosto che una più istituzionale e interna al sistema politico e partitico può essa stessa creare correnti opposte alla leadership del partito. Giungendo ai due tipi di fazionalismo individuati da De Winter, il fazionalismo personale non si discosta da quanto abitualmente accade in tutte le altre famiglie partitiche. Ovvero, si originano correnti a causa di lotte personali che riescono a coinvolgere un numero sufficiente di iscritti tale da attivare un contrasto profondo. Nei partiti dove manca ciò che si può definire solidarietà interna”, si possono attivare contrasti di carattere eminentemente personale sia per la scelta de11a successione del leader sia per quella di un ruolo di office nell’organizzazione, talvolta privo di prestigio politico, sia per la designazione a una carica istituzionale. Infine, il quinto tipo di fazionalismo concerne il rapporto tra gli iscritti e le élite del partito. A tal proposito è utile ritornare alla legge della disparita curvilineare analizzata da Mulè (2001) su11a stregua degli studi di May (1973). Secondo tale regola’? i partiti di sinistra e di destra dispongono di una base tendenzialmente orientata su posizioni più radicali rispetto alle élite e alla leadership. De Winter ha confermato la presenza nei partiti etnoregionalisti di una base di iscritti con posizioni più radicali rispetto al vertice sulle scelte, per esempio, nel continuum autonomismo-indi pendentismo. L’establishment ha necessità di essere rieletto e di confermare le proprie posizioni di dominio sul partito, spostandosi per questo verso una mediazione tra diverse posizioni. La probabilità di arrivare a costituire una fazione interna sulla base del rapporto tra membership e leadership aumenta se una parte de11e élite accoglie tale so11ecitazione.
Un altro elemento importante risiede nel radicamento sociale.Qramai non corrisponde al vero il fatto che l’elettorato di talipartiti sia localizzato negli ambienti rurali delle periferie. Se escludiamo il caso de11a Siidtiroler Volkspartei, il radicamento sociale in certi casi appare di carattere urbano più che rurale. Studi più recenti (Fa1kenhagen, 2010) mostrano che la “carta di identità” degli elettori (e, in parte, dei militanti) dei partiti etnoregionalisti risulta composta da giovani maschi, con un buon livello di istruzione e provenienti da una classe media piccolo-borghese. Ciò che caratterizza tali forze politiche è un certo interclassismo, ovvero la necessità di essere rappresentativi de11a popolazione regionale nel suo complesso, al di là di alcune eccezioni (ad esempio i partiti più radicali baschi, di estrema sinistra).
PROGRAMMA DELLA PRESENTAZIONE A CAGLIARI, il 20 settembre 2016
Idee di Sardegna
Autonomisti, sovranisti e indipendentisti oggi
Carlo Pala
Carocci Editore, 2016
Presentazione del libro
Saluti
Prof.ssa Cecilia Novelli
Direttrice DISSI
Introduce e coordina:
Giuseppe Meloni, Giornalista de L’Unione Sarda
Intervengono:
Gianfranco Bottazzi, Università di Cagliari, Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni
Michel Huysseune, VrijeUniversiteit Brussel, VesaliusCollege Bruxelles
È presente e interviene l’autore, Carlo Pala,Università di Sassari, Dipartimento di Giurisprudenza
Segue dibattito
21 settembre 2016, alle ore 17.00,