Svezia, politiche economico-sociali e beni relazionali, di Lorenzo Bona
La Svezia e le sue politiche economico-sociali, il mese scorso, hanno ricevuto rinnovata attenzione in tre articoli estremamente interessanti. Due di questi, firmati da Federico Rampini e apparsi sul sito web de La Repubblica rispettivamente il 13 e il 15 Agosto 2016, dedicano questa attenzione riferendo di un recente rapporto del McKinsey Global Institute e di alcune dinamiche economiche che ha messo in luce. Al riguardo, l’aspetto principale di queste dinamiche concerne il fenomeno della disponibilità di redditi fermi o in calo sperimentato, a cavallo tra il 2005 e il 2014, dal 65-70 percento dei nuclei familiari delle economie avanzate; mentre, un aspetto in qualche modo secondario ma di grande rilievo riguarda la straordinaria performance della Svezia nel fronteggiare in tempi di recessione o bassa crescita economica questo problematico fenomeno e i suoi effetti potenzialmente rischiosi sul piano dell’emersione di un’eccessiva ineguaglianza dei redditi. In questo paese solo il 20 percento della popolazione ha avuto problemi di declino o stagnazione dei redditi lordi (stipendi e redditi da capitale prima di tasse e trasferimenti). Una percentuale estremamente bassa, specialmente se la si confronta con le performance di altri paesi, ad esempio l’Italia (97 percento) o gli Stati Uniti (81 percento). Ma la Svezia ha fatto registrare risultati significativi anche su un altro versante forse ancora più importante: quello della tutela dei cittadini in un contesto di redditi fermi o in calo ottenuta attraverso la difesa dei redditi disponibili (la quantità di denaro disponibile dopo le tasse). Illustrando questi aspetti non senza pochi confronti con la situazione italiana – i due articoli richiamati offrono anche una sintesi delle ragioni che secondo il report McKinsey potrebbero spiegare la straordinaria esperienza svedese. Per esempio, la percentuale estremamente alta di lavoratori organizzati in sindacati (68 percento), che ha avuto un riflesso nell’attuazione di politiche ridistributive per loro favorevoli; l’espansione di lavori temporanei nel settore pubblico; la riduzione degli oneri sociali per le imprese e l’introduzione di incentivi fiscali per assumere giovani e persone a lungo disoccupate. La conclusione di uno di questi due articoli è che la Svezia sarebbe un modello, in tutti i sensi. L’altro dei tre articoli richiamati sopra, è firmato da Marco Dotti ed è apparso il 5 Agosto sul sito web di Vita – un magazine molto attento al mondo del non-profit. Si tratta di un articolo che tocca aspetti diversi ma strettamente connessi a quelli sin qui ricordati, muovendo dall’idea centrale sottostante la ristrutturazione del welfare svedese all’inizio degli anni settanta: la promozione dell’autonomia personale o dell’indipendenza degli individui. Questa idea ha favorito l’introduzione di nuovi sussidi, sistemi pensionistici e forme di tutela per gli individui, ed ha influenzato anche altri aspetti sociali. Nel senso che, seguendo questo terzo articolo, l’indipendenza delle donne dagli uomini, dei figli dai padri, delle madri dai figli sarebbero divenuti dei modi per tradurre in realtà quell’idea centrale, ma anche per muovere verso un’espansione della sua importanza che potrebbe apparire senza limiti e, perciò, problematica. In altri termini, l’approccio svedese alla promozione dell’autonomia e indipendenza degli individui sembrerebbe tradursi in situazioni sociali problematiche dove le relazioni interpersonali perdono valore o – come alcuni economisti direbbero – dove sono scambiati troppo pochi beni relazionali e la felicità delle persone diminuisce come conseguenza. Una di queste situazioni troverebbe un riflesso nel fatto che il 50 percento dei cittadini svedesi vive da solo e un cittadino su quattro muore in questa condizione, senza la presenza di un figlio o una figlia. Ma un altro riflesso potrebbe essere trovato nel numero molto alto di donne svedesi che si affidano a tecniche di inseminazione artificiale per avere figli, in un contesto dove una relazione con un partner per un passo tanto importante non sembrerebbe pienamente rilevante o tanto importante quanto il desiderio individuale di avere un figlio. Esponendo queste cose, questo terzo articolo aggiunge un duplice commento. Primo, è difficile considerare come qualcosa di completamente desiderabile una situazione dove le persone vengono al mondo, vivono e muoiono sole. Secondo, la carenza di una sorta di collante ottimale sul piano delle relazioni interpersonali collegato alla situazione descritta si starebbe traducendo in nuovi costi per l’economia svedese, dato che il governo ha dovuto costituire speciali strutture organizzative per le procedure burocratiche che sono necessarie quando viene scoperto un cittadino che è deceduto senza stretti legami familiari o parenti interessati a questa persona. Che messaggio generale si può trarre da tutto ciò? I governi possono fruttuosamente promuovere e tutelare la prosperità economica con interventi volti ad una migliore organizzazione dei rapporti tra mondo delle imprese e mondo del lavoro, ma sembrano scarsamente preparati ad aiutare i cittadini a massimizzare la felicità. Questo limite può emergere in termini particolarmente accentuati in economie più sensibili all’organizzazione che al mercato, come quella svedese dove sembra esserci una certa difficoltà a sostenere la produzione di beni relazionali a livelli ottimali. La produzione di questi beni, così criticamente importanti per la felicità delle persone, richiede la preservazione di ambienti istituzionali dove l’indipendenza degli individui non è intesa come un valore potenzialmente funzionale ad una completa e costosa frammentazione della società in una moltitudine di persone autonome ma disconnesse, ma come un valore molto più complesso: e cioè come un’ideale di protezione della libertà individuale da poteri arbitrari, che agisce per rafforzare la partecipazione collaborativa degli individui in uno spazio sociale composto da famiglie, imprese, organizzazioni non-profit e tutte le altre entità di mercato e non-mercato idealmente unite in un continuum di relazioni proiettate a costruire una società aperta, felice ad alto reddito.