Francesco Masala e le sue suggestioni egualitarie, fra poetica e politica, di Gianfranco Murtas
«Franziscu Masala est unu de cussus ominis chi est arrenesciu a portai sa “perdixedda” sua in sa “Domu de su Tempus”. I est po custu chi no hat a morri mai». Parole sante di Aquilino Cannas, della primavera 1989. Di un anno che fu primavera per centinaia di milioni di europei.
Siamo prossimi a questo evento centenario, celebrativo di un poeta – la categoria più alta forse delle molte nelle quali poterlo annoverare – che ha segnato la formazione di molti di noi, ed ha indirizzato o almeno condizionato, positivamente, il nostro mondo morale, l’immaginario di quanti, seguendo un proprio personale percorso, l’hanno tenuto come fonte suggestiva delle collocazioni temporali/spaziali della Sardegna patria comune. Dico di Francesco Masala, per lunghi anni – dai picchi ultimi della mia adolescenza, lui e Ciusa Romagna e anche Emilio Lussu da una parte, Antonio Romagnino dall’altra – ora per esplorare l’universo deleddiano ora per definire in chiave europea gli impulsi nazionali della democrazia e, per taluno, non per me, anche del socialismo.
Certo si scriverà, ed è giusto che così sia, del grande scrittore e poeta nostro, del testimone civile di molte delle ansie libertarie della nostra società nel nostro tempo: vi sarà chi vorrà ricordarlo soprattutto per le battaglie contro la colonizzazione omnibus da parte della petrolchimica, tanto che anche la stampa regionale fu, negli anni fra ’60 e ’70, per tre lustri che parvero un’eternità, prigioniera di interessi industriali non tutti e non sempre (per non dire quasi nessuno e quasi mai) commendevoli nella previsione di un progresso socio-economico sicuro della nostra isola, nel rispetto anche dell’ambiente, terra e mare e cielo; vi sarà chi vorrà ricordarlo per l’impegno tenace e prestigioso al servizio della causa bilinguista, in una prospettiva che cercava di saldare quel che nella storia nessuno ha saputo saldare, federalismo e socialismo cioè, muovendo da ipotesi storico-letterarie (a mio parere) più fascinose che strutturate. Vi sarà chi vorrà battersi fra i titoli dei suoi venti libri tradotti dall’italiano al russo, o al magiaro, o al brasiliano, al francese o al catalano, al polacco o al croato, dimostrando così anche la universalità del suo lavoro oltre che del suo genio…
Confido emergano robuste nuove e più complesse, e compiute, chiavi di lettura della sua formidabile personalità, della sua cifra stilistica, del suo mondo ideale, delle sue relazioni culturali e sociali, delle sue partecipazioni associative – compresa quella massonica, nel nome di Sigismondo Arquer, sul conto del quale perfino produsse un radiodramma per la RAI –, della sua militanza socialista e socialproletaria, nella sequela affettiva oltre che dottrinaria di Emilio Lussu.
Anch’io ho avuto, a molte riprese, l’onore e più ancora il gusto, la gioia di averlo… con me ora in televisione, ora sulla stampa, tanto più, ma non solo, su L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna, mi pare dal 1973. Capitò perfino che il giovanissimo studente del tempo comprasse, con le lire delle sue tasche vuote, il libro e ne scrivesse, inviando la nota all’ospitale terza pagina della Nuova (“Una società di uguali”, 11 marzo 1973), o iniziasse un suo articolo polemico, quaranta e passa anni fa, sul PSd’A neoseparatista (“Degenerazione del sardismo”, 1° agosto 1974: «La recente comparsa in libreria dell’antologia Storia dei vinti: poesie di Francesco Masala…»). Trent’anni di rapsodici contatti, di scambi epistolari, di interviste pubbliche, di doni fatti e presi, sempre firmati (il suo primo, la silloge Lettera della moglie dell’emigrato, Libreria Feltrinelli, 1968). Fra noi, ad un certo punto, mi pare dal 1986, un ponte di valore speciale, Elio – figlio di Cicito e prezioso amico mio –, e sempre comunque, da parte mia, una deferenza senza artificio e motivata, e naturalmente un affetto spontaneo e profondo. Lo chiamai sempre “professore”, nonostante le immancabili proteste sue, ché avrebbe voluto il “tu” dei compagni politici – area comune la democrazia – o dei liberi pensatori (o magari dei pensatori liberi e di vario accredito), come mi sarebbe poi capitato anche con Mario Melis, il “presidente” a me carissimo sempre. Ci penso adesso, uomini diversi – Masala e Melis – ma associati, nel mondo dei miei fervori democratici, come da una comune radice alla quale ho orientato da sempre, io repubblicano e azionista dalla adolescenza, mai socialista e mai elettore sardista, il mio stesso essere e fare e studiare e testimoniare sulla scena pubblica e sulla pagina scritta.
Conservo registrazioni televisive con Francesco Masala che meriterebbero di essere trasferite dall’obsoleto VHS ai più correnti DVD ed essere così riproposte al grande pubblico. Fra il resto soprattutto due: una intervista a lui da me condivisa con Elio [Masala]stesso, e gli altri allora giovanissimi e già valorosi Maurizio Battelli, Vito Biolchini, Massimiliano Rais e Armando Serri, ed un duetto, straordinariamente alto per le opposte tesi argomentate e per l’eleganza dell’approccio dialettico, suo con Antonio Romagnino. Una delizia intellettuale. Anno 1991. L’uno a difendere le ragioni della dignità paritaria della lingua sarda con quella di Dante, Leopardi e Manzoni, l’altro – bilingue nato in città, nella rocca di Castello – portato invece a sostenere i maggiori meriti letterari, in chiave universalista, dell’italiano, conquista faticata del popolo e cemento di una identità nazionale che non soffoca, né lo potrebbe, quelle particolari dei territori; l’uno celebrativo della cultura agro-pastorale, come base e cemento millenari della sardità piantata nell’Isola, l’altro propenso a valorizzare le ricchezze culturali della società urbana, superando un’artefatta contrapposizione fra città e campagna. (Chissà che non possa esitare questo gioiello il prossimo anno, quando si tratterà di onorare il centenario della nascita del Defensor Karalis, del professore dettorino, del presidente regionale di Italia Nostra e per molti anni continuatore di Nicola Valle alla presidenza degli Amici del libro: Antonio Romagnino cioè, altro amico e maestro la cui memoria generosa ancora e sempre commuove).
Come portarmi anch’io, dunque, oggi, a celebrare il professore? Fra breve uscirà la sua testimonianza circa le vicende liberomuratorie cagliaritane cui egli partecipò con animo civile, di democratico avanzato, direi anche di socialista umanitario (a… tensione dottrinaria) nel passaggio dagli anni ’60 a quelli ’70, quelli terribili che per noi significarono anche la recrudescenza banditesca e lo sviluppo illusorio di una certa economia industriale, “eterodiretta” per statuto.
Ma di più. Ho pensato di contribuire, in tutta umiltà e, se si vuole, marginalità, proponendo una più attenta schedatura della sua firma in alcune delle testate di varia natura culturale (la sassarese Riscossa, le cagliaritane Il Convegno e S’ischiglia) alle quali egli dette, nei tempi brevi o lunghi della loro uscita, un apporto non da poco. Perché, vorrei dire questo in premessa, la scheda bio-bibliografica alla quale lo stesso Masala presiedette nel 1993, presso l’Alfa editrice che meritoriamente pubblicò i due volumi battezzati soltanto Opere – da dirsi l’opera omnia dell’autore, 700 pagine in tutto – è, per taluni fogli, cioè nella sezione “Attività giornalistica”, ampiamente carente, non soltanto (evidentemente) per quanto è stato esitato in epoca più recente. E Opac non soccorre. Né credo si possa, in tempi ravvicinati, coprire i vuoti. Cominciare sì, però, ricordando che le collaborazioni alle testate giornalistiche iniziarono ben prima della iscrizione all’albo dei pubblicisti, avvenuta nell’ottobre 1966.
Le tre testate che ho scelto in questa occasione sono richiamate, nella citata scheda bio-bibliografica, una sola volta Riscossa, nessuna Il Convegno, quattro volte S’ischiglia. Si vedrà come, cumulativamente, si possa arrivare a certificare almeno… cento presenze, fra prosa e poesia!
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Riscossa
Direi che, riferendomi specificamente a Riscossa – al cui repertorio concorre utilmente l’antologia Stampa periodica in Sardegna 1943/1949, pubblicata in dodici volumi dalla EDES fra il 1974 ed il 1975 –, possiamo noi trovare proprio qui le prime pubblicazioni, giusto sul piano strettamente cronologico. Venendo successivamente quelle dell’ancora sassarese Il Corriere dell’Isola (diretto dalla fondazione, nel febbraio 1947, dal medesimo direttore-fondatore di Riscossa, cioè Francesco Spanu-Satta), su cui mi proporrei di tornare in altra occasione.
Ecco le sue presenze:
11 dicembre 1944
Natale lontano (si tratta di versi scritti nel dicembre 1941 a Rikòwo, nelle dure fasi della campagna di Russia, dunque nel pieno della seconda guerra mondiale. In calce al presente repertorio ne ripropongo il testo)
26 novembre 1945
Frammenti (altre composizioni poetiche in lingua italiana: Aridità, Conforto)
25 febbraio 1946
Nebbia (racconto)
1° luglio 1946
Cavallette – S’Attilipirche (ripubblicai il testo nella sezione “Documenti: Speranze e sconforti nel 1946” del mio Bastianina, il sardoAzionismo, Saba, Berlinguer e Mastino, Cagliari, 1991, e lo richiamai anche nell’articolo L’estate delle cavallette, quel viaggio nell’isola stremata, su L’Unione Sarda del 10 giugno 1996. In calce lo ripropongo un’altra volta ancora)
29 luglio 1946
Alghero (poesia)
9 dicembre 1946
Ricordo di Luigi Pirandello (Pirandello costituì il soggetto della tesi di laurea di Masala discussa, con il prof. Natalino Sapegno, alla Sapienza di Roma: “Il Teatro di Luigi Pirandello”)
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Il Convegno
La rivista mensile (fattasi di più larga periodicità in alcun tratti del quarantennio circa delle sue uscite, divenuta infine malinconicamente rapsodica) comparve, come voce degli Amici del libro e, data la simbiosi, anche della sezione cagliaritana della Dante, nel 1946. Ad essa, e con essa all’associazione di cui era espressione, Masala donò il suo contributo di parola (come conferenziere) e di scrittura già dai primi anni in cui egli, avendo vinto la cattedra a Cagliari, trasferì la sua residenza nel capoluogo regionale. Con riserva di approfondimenti, avrei collocato quella svolta nel 1953. Va anche detto che, in parallelo, s’avviò, o rinforzò, la sua collaborazione con la terza pagina de L’Unione Sarda, allora a direzione Crivelli.
Sulla collaborazione, che fu intensa tanto più in alcuni anni ancora “lontani” dalla stagione della petrolchimica, con entrambe le testate quotidiane dell’Isola, sia L’Unione Sarda che La Nuova Sardegna cioè, conto di tornare prossimamente. (Mi limito qui ad anticipare che tutto iniziò nel 1952 con il quotidiano di Satta-Branca: il 27 marzo apparvero i versi della Ballata del mercoledì delle ceneri, il 29 aprile quelli della Ballata per una dormiente, e il 3 luglio quelli di Elegia; il 21 novembre l’inizio del racconto lungo Ritorno dalla guerra. E fra il 1953 e gli anni immediatamente successivi, ecco un’altra quindicina abbondante di interventi, ora poetici ora narrativi, o di polemica, o di critica d’arte da Cagliari; e dopo altri ancora, ma più rari, per riprendere a… Rovelli petrolchimico sconfitto, nel 1980, riempiendo così, per tutto quel secondo semestre ed il gennaio 1981, più di venti volte la rubrica Il riso sardonico tutta a lui affidata, e chiudendo con gustoso affresco autobiografico – La capra vorace e la patria tradita – in parte rielaborata per la pubblicazione, molti anni dopo, nel secondo volume di Opere, sezione titolata Fra storia e autobiografia.
Su L’Unione l’esordio fu, ma forse occasionale, nello stesso 1952 (l’11 dicembre), con uno studio critico sulla Critica coereana, occasionale anche l’anno successivo (il 15 febbraio) con Eliot e Dante, per farsi continuativa dalla fine del 1953 e per un decennio pieno (ho schedato almeno cento presenze della sua firma in quel periodo in cui il giornale ancora respirava, prima del passaggio proprietario alla finanziaria rovelliana, il liberalismo moderato del direttore Crivelli e dei maggiori curatori delle pagine culturali. Ricordo i primi titoli: L’architettura medievale in Sardegna, Pane nostro, Ricordo di un Natale lontano, A Vienna il Danubio è diventato nero, Poesia in Russia, Cronologia nuragica, Le “maschere” nere in un misterioso rito di Carnevale: i Mammuthones di Mamoiada, Calipso, Fiorentino o della poesia, Sardegna in cinemascope, “Canti” del Satta, e così via. In epoca successiva, “coltivato” soprattutto da Vittorino Fiori e Gianni Filippini, Masala fu – in parallelo a Salvatore Cambosu (e a Mario Ciusa Romagna) – il curatore delle note critiche già affacciatesi nelle pagine de Il Convegno: lui per l’arte, gli altri per la letteratura. Peraltro non senza sconfinamenti l’uno… nel territorio dell’altro, così come la raffinata competenza consentiva a ciascuno dei redattori).
Ecco le sue presenze su Il Convegno:
Conferenze documentate agli Amici del libro di cui si dà notizia:
9 dicembre 1956
Serata a lui dedicata insieme con i poeti M. Serra, A. Maccioni, F. Fulgheri e N. Cossu
21 marzo 1958
Con Nicola Valle, Gavino Gabriel e Francesco Alziator, recensione del libro “Il folklore sardo” di F. Alziator
24 febbraio 1959
Conversazione su “Problemi di Poesia”
6 gennaio 1961
Con Francesco Alziator e Nicola Valle, conferenza su “Liriche di Antioco Casula”
24 ottobre 1972
Con Mario Ciusa Romagna, conferenza su “Proposta per una nuova lettura della Deledda”
Contributi scritti alla rivista:
n. 6 – giugno 1957
Antologia poetica (sono due pagine che presentano nove composizioni in versi: “Nenia del pastore del Mandrolisai”, “Nenia delle tessitrici della Nurhara”, “Coro di fanciulle della Trexenta”, “Disperata delle spigolatrici del Gerrei”, “Lamento dell’oratore dell’Anglona”, “Coro di vecchi dell’Ogliastra”, “Serenata delle donne della Baronia”, “Lamento di un quadro del Maestro di Olzai”, “Coro”]
n. 2 – febbraio 1959
Una vita (è dedicato a Giovanni Ciusa Romagna)
n. 6 – giugno 1959
Cesare Cabras (fra gli espositori alla mostra dedicata alle “bellezze di Cagliari”)
n. 12 – dicembre 1962
Morte di un poeta (è dedicato a Salvatore Cambosu)
n. 1 – gennaio 1963
Un bardo (è dedicato ad Attilio Maccioni)
n. 3-4 – marzo-aprile 1976
(rassegna stampa: quattro suoi articoli sul pittore Franco Lai)
Altre presenze associative e/o in quanto conferenziere, oppure note su di lui:
n. 4 – aprile 1957
(compare nel comitato organizzatore degli “incontri col libro” presieduto da Achille Cappuccio, prefetto di Cagliari, con vice Eulo Atzeni, provveditore agli Studi di Cagliari)
N. 6-7 – giugno-luglio 1967
Francesco Masala (nota critica di Nicola Valle nel numero monografico Figure d’oggi e di ieri)
n. 9-10 – settembre-ottobre 1969
(compare fra gli amici promotori di un numero speciale dedicato a Giovanni Pepitoni in occasione del suo 80° compleanno)
n. 9-10 – settembre-ottobre 1972 e n. 12 – dicembre 1972, ripetuto nel n. 6-7 – giugno-luglio 1973 (compare fra i partecipanti alla settimana celebrativa del centenario deleddiano, proponendo con Mario Ciusa Romagna “una nuova lettura della Deledda”)
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S’ischiglia
Fondata a Cagliari nel gennaio 1949 da Angelo Dettori, inizialmente con Michele Contu direttore e con Dettori stesso alla direzione dal gennaio 1952 (più tardi, molto più tardi, seguiranno lo stesso editore Gianni Trois in tandem soprattutto con Aquilino Cannas ed infine Gavino Maieli), la rivista, ora mensile ora bimestrale, ora rapsodica anch’essa, guarda alla storia poetica isolana ma anche alla contemporaneità letteraria del territorio, tanto più in lingua sarda. Masala vi figura fra i collaboratori fin dal primo anno – egli era allora un giovane, 33enne, insegnante di lettere in quel di Sassari – con composizioni in versi tanto in sardo quanto, da principio in prevalenza, in italiano. Alternò ai versi poetici le note d’arte, tanto più dal 1953-54, quando appunto si trasferì a Cagliari, città che conosceva per precedenti più brevi permanenze.
Ecco le sue presenze:
Collaborazioni poetiche in lingua italiana o in lingua sarda (segnatamente per gli anni ’50 il ricaccio è stato effettuato dalle collezioni in reprint uscite nel 1979 dalla 3T di Gianni Trois; le successive dai fascicoli liberi):
n. 5 – maggio 1949
A mama mia (versi in sardo, siglati F.M.)
n. 4 – 1950
Tempesta, Solitudine (distinte composizioni in italiano)
n. 8 – 1950
Cammello stanco (versi in italiano tratti dalla raccolta dello stesso titolo premiata al concorso “G. Deledda”, 1950)
n. 3 – 1951-52
Antelucana (versi in italiano)
n. 7 – 1951-52
Conforto (versi in italiano già anticipati nel novembre 1945 su Riscossa)
n. 11 – 1951-52
Ninna-Nanna (versi in italiano)
n. 13 – 1951-52
Oras tristas (versi in sardo)
n. 15 – 1951-52
Serale pena (versi in italiano)
n. 20 – 1951-52
Natale lontano (versi in italiano: sono quelli, appresso riproposti, già pubblicati su Riscossa nel 1944)
n. 10 – 1953-54
Su mudine meu (versi in sardo siglati F.M., dedicati ad Anzelu Dettori)
n. 11-12 – 1955
Albata delle giovani del Logudoro, Veglia del pastore del Goceano (distinte composizioni in italiano)
n. 3 – 1956
Canto della ricamatrice della Planargia
n. 7-8 – 1956
Lamento di un quadro del “Maestro di Olzai”, Lamentazione funebre della madre di Barbagia, Consolazione del figlio dal Supramonte, Serenata delle donne della Baronia (distinte composizioni in italiano, di cui la prima e la quarta saranno riproposte nell’antologia de Il Convegno n. 6 – 1957)
n. 11-12 – 1956
Lettera della moglie all’emigrato del Sarrabus (versi in italiano, letti in occasione della premiazione di Chianciano)
Versi dedicati a Francesco Masala, in risposta o in provocazione
n. 8 – 1950
Alzati e cammina! (versi in italiano di Angelo Dettori)
n. 8 – 1953-54
Mudìne (versi in sardo di Angelo Dettori)
n. 7-8 – 1955
E andamus, andamus (versi in sardo di Foricu Secchi “A su Prof. Cicitu Masala”)
Articoli sulla produzione letterario-poetica di Francesco Masala
n. 13 – 1951-52
“Poesie” di Francesco Masala (nota di Antonio Palmas sulla raccolta di 36 poesie in lingua italiana di Masala, uscita nella collana “Poeti d’oggi” a cura dell’editore Gastaldi. «Il suo camminare nell’angoscia del nulla è la chiarificazione del cercare qualcosa, del cercare se stesso. Il suo canto è ancora desiderio del cuore grande, aperto al dolore degli altri, per non essere “arido e stanco e solo”. Ma la nota dominante è quella del dolore: dolore di una vita intensamente vissuta, lontano dalla madre e dalla Patria, nelle solitudini desolate della Russia, senza speranza di ritorno… Nelle ultime liriche il dolore è placato: è subentrata una leggera e dolce malinconia che lo trasporta nel sogno e nella felicità sboccata da un idillio. C’è qualche riminiscenza Rilkiana e Verlainiana, ma esse nulla tolgono alla personalità del poeta. Tutte le poesie sono legate da un succedersi cronologico di particolari stati di animo e ci danno la possibilità di apprezzare in Francesco Masala un vero poeta per la sua spiccata sensibilità lirica e per la sua arte che ha trovato un accento proprio e che lascia prevedere grandi possibilità future»)
n. 11-12 – 1955
Fronde nuove (sul riconoscimento al premio “Ausonia” di Siena, esistente ormai da sette anni. La relazione della commissione giudicatrice, comprensiva di autori e critici come Massimo Bontempelli e Bonaventura Tecchi, porta il nome di Masala «sullo stesso piano dei vincitori», Luigi Capelli e Maria Teresa [Luisa?] Spaziani. «Di questo meritato successo, mentre andiamo fieri per puro amore di sardità e per buona amicizia, trarranno viva soddisfazione principalmente i poeti di Sardegna, oltre che motivo – i più degni di essi – di esortazione a tentare le migliori prove, così come lo stesso Masala ne avrà tratto stimolo per far lievitare sempre meglio il suo tormento creativo e superare le sue migliori affermazioni. Hoc est in votis»)
n. 9-10 – 1956
Il 2° “Premio Chianciano” a Francesco Masala (sul successo, con l’assegno di £. 200.000, del poeta per il volume di poesie Pane nero, ex aequo con Aldo Accasati. Nel corso della manifestazione, assente il premiato, viene letta la poesia “Lettera della moglie all’emigrato del Sarrabus”. Si riporta il giudizio critico di Elio Battistini: «Il poeta più semplice e più efficace, e forse più poeta di tutti, di questa quaterna è il sardo Francesco Masala. Il quale, con il suo “Pane nero”, appellandosi al senso di sofferenza universale e veramente sentita dalla sua gente di Sardegna, ha saputo trovare un linguaggio commosso e cristallino per cui gli crediamo sinceramente. Il suo mondo che si rivela su un panorama di tradizionale folklore, abbandona all’atto pratico questo obiettivo esteriore e si manifesta per quello che contiene di umano e di pensoso. Le sue donne, i suoi uomini, i suoi paesi, le tradizioni antichissime della sua gente formano una serie di belli affreschi nei quali la vita di tutti questi personaggi viene redenta nel segno di questa poesia che si può chiamare di ispirazione». Il libro, pubblicato ad aprile dalla Maia di Siena, ha ricevuto «un coro di apprezzamenti veramente lusinghieri in campo critico nazionale. All’amico e collaboratore giunga gradita da queste colonne l’espressione sincera del nostro contento e l’augurio vivissimo che la sua recente affermazione sia promessa e pegno di una silloge poetica di più gran respiro e di maggior successo per la Sardegna»)
Rubrica “Note d’arte”
n. 1 – 1953-54
Tre incisori agli “Amici del Libro”, Giacinto Satta postumo
n. 2 – 1953-54
Gli artisti umbri de “La Soffitta”, Tarquinio Sini o della modestia
n. 3 – 1953-54
Il pittore Ausonio Tanda agli “Amici del Libro”
n. 4 – 1953-54
Pittori sassaresi al Gabinetto delle Stampe
n. 9 – 1953-54
Una personale di Toni Geic
n. 10 – 1953-54
Una personale di Guido Cavallo
n. 11 – 1953-54 (1-2 –1954)
Maria Lai, Postuma di Enea Marras
n. 13 – 1953-54 (4 –1954)
Mostra di B. Melis
n. 14 – 1953-54 (5-6 –1954)
Mele e Fois “Pictores optimi”
n. 16 – 1953-54 (8-9 –1954)
La “colonna” di Eugenio Tavolara
n. 9-10 – 1955
Ceramiche di Tilocca al Giardino d’inverno
Pagine di narrativa o recensioni librarie
n. 8 – 1953-54
Bardana dell’ottocento (nella rubrica “L’aneddoto del poeta”, siglato F.M.: fa riferimento a «una tyrribile bardana [che] infuriò a Nughedu San Nicolò» ottantacinque anni prima)
n. 9 – 1953-54
Un libro sulla Sardegna (è la recensione di “Un’isola antica” di Francesco Zedda)
n. 13 – 1953-54 (4 –1954)
Storia della letteratura di Sardegna (è la recensione dello studio di Francesco Alziator portante lo stesso titolo)
Nella nuova serie di S’ischiglia, anni ’80 e ‘90
n. 4 – 1980
Cunsiderassione subra sa limba de sos sardos. Una littera de Franziscu Masala pro Anzelu Dettori (la lettera ha la risposta da parte di Dettori sul n. 5 – 1980)
n. 12 – 1981
Ventisei e ventisei poesie bilingui di Francesco Masala (nota critica di Aquilino Cannas)
n. 7 – 1982
Giuseppe Satta: una vita per la poesia (Satta è un sardo emigrato a Firenze, autore di undici volumi di poesie usciti nell’arco di trentacinque anni)
n. 8 – 1982
Chi era Pilleri? (evocato come «imbriagoni perdiu» da Aquilino Cannas in una sua «Passillara Casteddaia», Masala ne ricorda l’amicizia con un «fabbro ferraio, anarchico e poeta» del suo paese , il quale lo aveva così dipinto: «Era uno scienziato. Aveva inventato, in onore della Regina Margherita, un liquore tricolore, bianco, rosso e verde, fatto di acquavite, alchermes e menta, una diabolica composizone di tre elementi alcolici che non si mescolavano mai dentro la bottiglia, una specie di cocktail tricolore, che applicava il principio scientifico dei differenti pesi specifici»)
n. 9 – 1982
Su primu romanzu in limba sarda (si riferisce a Larentu Pusceddu «de Oroteddi», che meriterebbe di esser fatto segretario di un futuribile «sindacadu nou», «su pimu sindacadu de sa nazione sarda… de sos iscrittores in limba sarda»)
n. 11 –1982
A vint’annos da-e sa morte. Ammentu de Bobore Cambosu
n. 1 –1983
Ammentu pro Montanaru
n. 2 –1983
“Is zeracas”, una cumedia in duas limbas (su soggetto di Roberto Olla, «una cumedia chi, rie rie, ponet in rughe un’antiga pelea de teracos e meres»)
n. 8 –1983
Ricordo di Pedru Mazza (poeta bilingue: «Fisicamente, Pedru Mazza era un ugro-finnico, un eschimese, un protosardo nuragico, sicuramente non ariano, un epigono della civiltà dell’ascia, quella misteriosa, sconosciuta gente dell’occidente, uscita dal caos alla luce, contro il corso del sole, che ebbe come simbolo un’ascia di pietra e che, dopo aver costruito i kromlek, i talaiot, i dolmen e i menhir, se ne venne in Sardegna a costruire i primi nuraghi, senza lasciare nessuna traccia scritta, quasi una civiltà muta, dalla lingua tagliata… In Pedru, scorbutico e scontroso come un cinghiale pattadese nei salti di Monte Lerno, c’erano sentimenti e risentimenti acri e puntuti nei confronti di una società ingiusta…»)
n. 2 – 1984
Sa scomuniga de predi Antiogu arrettori ‘e Masuddas (commento alla nuova edizione curata da Antonello Satta)
n. 7 – 1984
Da “Quelli dalle labbra bianche” (traduzione di alcune pagine del romanzo masaliano da parte di Giorzi Princivalle)
n. 10 – 1984
Comente s’iscriet su Sardu? (con un provocatorio incipit: «Si Dante e Petrarca e Boccaccio fin naschidos in Sardigna, sa limba italiana haiat tentu comente “mama” sa limba sarda: s’italianu, pro narrer, fit istadu “fizu” de sa limba de sos condaghes…»)
n. 4 – 1985
Una tesi di laurea sul bilinguismo sardo in una università americana («Da qualche giorno si trova a Cagliari, per preparare una tesi sul Bilinguismo in Sardegna, lo studente americano Brad Willits, della Facoltà di Antropologia Culturale della Abilene University. Si è incontrato con me come ex Presidente del defunto “Comitadu po sa Limba Sarda”, che elaborò, nel 1978, la Legge di Iniziativa Popolare sul Bilinguismo Perfetto, attualmente giacente, inevasa, nei labirinti del Parlamento Italiano. Corre voce di un probabile intervento di Ronald Reagan per ottenere l’applicazione dell’articolo 6, sulle minoranze linguistiche, della Costituzione della Repubblica Italiana»)
n. 5 – 1985
Un inedito di Sebastiano Satta («Mi è stato inviato pochi giorni fa, da un amico nuorese, un vecchio lessigologo, Luiseddu Farina, un testo poetico sattiano, inedito, mai apparso né in libro né in rivista né in giornale. Ve lo trascrivo, così come mi è pervenuto. E’ intitolato “Gesù”»)
n. 5 – 1985
Sebastiano Satta, dal mito alla storia («Il 22 Settembre del 1901, Sebastiano Satta pubblicò sulla Nuova Sardegna, l’Ode al Gennargentu, con una insolita dedica…»)
n. 11 – 1985
Sepulta Domus, di Sebastiano Satta («bortada in limba sarda da-e Franziscu Masala»)
n. 1 – 1986
Pro ammentu de Bustianu Dessanay («Bustianu fit fizu de Pascale Dessanay, unu de sos poetas de su connottu, chi haiat postu una pedra subra sa poesia de s’Arcadia sarda…»)
n. 3 – 1986
Il Dio Petrolio (recensione dell’opera masaliana a firma di Aquilino Cannas)
n. 10 – 1986
Una litera di Giorzi Princivalle a Franziscu Masala (e la breve risposta dello scrittore: «Caru Giorzi, no mi piaghet a iscrier literas ma a tie ti rispondo ca ses unu “moicanu”…»)
n. 11 – 1986
A Franziscu Masala “s’anzone immaguladu” (sonetto in sardo di Mario Cocco) e S’ultima bardana (sonetto irregolare di Pietrinu Mandras dedicato «a Cicitu Masala», con risposta ad entrambi – «ambosduos poetas de Bono» – circa la natura del racconto lungo dal titolo S’Istoria de Biddafraigada: «no est unu contu de foghile. Est istoria. S’urtima bardana de Sardigna la fatteit zente de Bono contr’a sa ‘idda de Nughedu, su trinta de Abrile de su milleottighentossessantotto. No bos azzicchedas : sas bardanas de oe sun peus»)
n. 2 – 1987
Arzininas mortas de tiu Grolle (in memoria del «poeta-massaju» di Nughedu San Nicolò, deceduto novantenne)
n. 12 – 1987
S’umbra de su laru iu Otieri («Duos seculos de poesia»)
n. 3 – 1988
La storia del teatro sardo di Francesco Masala (recensione dello studio masaliano a firma di Franco Carlini)
n. 5 – 1989
Is froris mius arrubius (composizione poetica di trentuno versi firmata da Emilio Lussu e trasmessa alla rivista da Masala con la seguente nota: «A cantu ischimus nois, custa est s’unica poesia de Emiliu Lussu, su babbu mannu de sa zente sarda. Est iscrita in limba campidanesa, cun d’una grafia chi mezus no podimus disizare. La bogamus a campuj, torra, in S’ischiglia, pro onore a totu sos poetas sardos e pro disonore a sos cussizeris regionales chi han mortu, torra, sa leze de sa Limba Sarda»)
Un racconto lungo, quasi un congedo
Dal n. 5 –1986 al n. 3 – 1989
S’istoria de Biddafraigada (in 35 brevi puntate nella successione delle uscite del periodico. Questa la conclusione dell’autore: «Dispedida – Custa istoria – narat Franziscu Masala – est finida ca Biddafraigada est morta. No est beru: est mortu solu chie l’hat iscritta». E così invece chiosa il direttore Aquilino Cannas sotto il titoletto di “Accasaggiu”: «A nai miu, Franziscu Masala est unu de cussus ominis chi est arrenesciu a portai sa “perdixedda” sua in sa “Domu de su Tempus”. I est po custu chi no hat a morri mai. Po custu chi, in s’acabai, hat allonghiau s’Istoria cun sa morti e no po tristura o denghi ma po apretai a biviri: de morriri po torrai in gioventudi, sempri. Una manera de essiri bius sene tempus aintru de su tempus e totu. E inzandus – “fuor di metafora” – nosus, a bonu fini de custa “sarda memoria”, intendeus immoi donai grazias a Franziscu Masala po s’essiri aici intratteniu in totu custu traballu mannu de “restauro”, e mancai giustu arresighendi calincuna… folla ‘e figu, de s’antiga Biddafraigada, beni augurendi a issu e asu “villaggio globale” suu saludi meda, longa vida e trigu a muntonis»).
***
Addenda: fra i drammi del Novecento nel vasto mondo e nell’Isola natia
Francesco Masala 1941,1944, Natale lontano
Mi sento ancora fanciullo / vicino a mio padre / in questo Natale di guerra. / Lontano sono, lontano / e non la neve cade soffice, / quasi calda, / ma il gelo siberiano / stringe l’isba nella notte / senza campane, / striata dalla mitraglia spettrale.
Mi sento ancora fanciullo / vicino a mio padre / che nella notte sente, non vede, / un desiderio accorato / del suo figliolo lontano.
Un pianto dolce, no, triste / mi sale agli occhi, mi sale, / mi guarda il soldato poi dice: / “non pianga, non pianga! è Natale!”.
“Non sai, soldato, non sai / chi piange; / colui che non pianse sui morti, / sui vivi non morti ancora / ma quasi, / non piange il guerriero ma piange / il fanciullo che stava / vicino a suo padre / la notte di un altro Natale”.
Francesco Masala 1946, S’attilipirche
Un uomo camminava lento, curvo sotto lo zaino grande, su di una strada muta, arsa dal sole.
Egli aveva camminato molto (ora erano stanchi i suoi piedi dentro scarpe grandi e rotte) e il desiderio che l’aveva spinto a camminare si era spento.
Il desiderio ormai era tristezza dei luoghi un tempo conosciuti e dove un tempo lontano era vissuto col riso lieve che fa bene al cuore.
Poi la guerra, che lui aveva conosciuto nella montagna bianca, era passata anche in quei luoghi: ma a lui la morte continua non aveva tolto il ricordo e la notte, sulla bianca montagna, una stella, non sempre, brillava e gli pareva il rider lieve dei luoghi dove un tempo era vissuto.
La strada ora saliva muta, sotto il sole.
L’uomo pensò che, terminata la salita, avrebbe visto i luoghi; pensò anche che si sarebbe tolto le scarpe.
Giunto in cima l’uomo guardò i luoghi, poi pose a terra lo zaino, sedette, poi si tolse le scarpe, che giacquero daccanto, grandi e rotte.
Altri due vi erano già seduti, lui non se n’era prima accorto, ma nemmeno loro si erano accorti di lui: essi parlavano.
Egli nuovamente guardò: la strada ora scendeva e dopo attraversava una grande valle. L’uomo vide il riso della valle e ricordò la stella sulla bianca montagna.
La promessa del raccolto nei luoghi era molto buona. La strada poi si perdeva muta lungo i fianchi di un monte molto lontano.
L’uomo dello zaino guardò fino al monte lontano e poi ascoltò quei due.
Sentì una parola nella lingua loro: s’attilipirche. Uno dei due mormorò: «Il prete dice che in italiano si chiamano locuste», e si alzò, era molto alto.
«Ha torto – rispose gravemente l’altro – cavallette si chiamano» e si alzò anche lui.
Guardarono il monte lontano, il fondo della valle, il cielo e poi si sedettero di nuovo.
«Nulla» disse uno, «nulla» rispose l’altro.
«E’ già arrivato a Baddemala e non ha lasciato niente, hanno gettato il veleno ma il veleno ammazza gli animali e i cristiani ma non s’attilipirche».
«Il prete ha detto che sono le larve delle malemorti di tutta la guerra; sulle ali c’è scritto “flagello di Dio”: peccatori siamo, confessarci dobbiamo».
«Il maestro, che ha letto la storia, dice che s’attilipirche è figlio di Attila, quello degli Unni che gettava il sale nelle campagne».
«Le galline e i maiali ne mangiano e ne ingrassano molto ma poi la loro carne puzza e non se ne può mangiare».
«E ne hanno fatto anche il sapone ma fa venire la rogna».
«A Vallecieca un contadino e i figli coi tendoni cercavano che esso non entrasse nel loro campo ma hanno visto il diavolo che colle ali spingeva s’attilipirche verso il loro grano: quando tutte le spighe furono divorate il contadino s’impiccò».
Così dicevano.
Allora sulla strada apparve uno a cavallo, a corsa sfrenata, scomposto in sella, passò e urlò: «s’attilipirche».
Quei due si alzarono, anche l’uomo dello zaino si mise le scarpe e si alzò.
I tre guardarono in fondo alla valle e poi guardarono il cielo.
Dal silenzio della terra e del sole sorse un brusio indistinto, una nebbia sorse dal monte lontano al fondo della valle e salì a loro e poi oscurò il sole. Poi la nebbia si posò sui luoghi. La strada divenne cinerea e l’erba si colorì di mestizia.
L’uomo alto e il suo compagno fuggirono urlando.
L’uomo dello zaino ricordò la stella sulla bianca montagna e il riso del cuore, poi stette ritto in piedi, molto tempo, a guardare.
Dopo che le cavallette furono passate nei campi rimase solo l’inutile asfodelo.
Ora nei luoghi era pianto muto.
L’uomo si caricò lo zaino sulle spalle e poi, curvo e lento, s’avviò lungo la strada donde era venuto.
Uno stralcio di corrispondenza (datata) custodita come un tesoro
Da Cagliari, 3 gennaio 1972: «Caro Murtas, ho ricevuto la Sua lettera e La ringrazio. Non ho ricevuto, invece, l’invito per la mostra di pittura. Accetto la Sua proposta per una serata al Circolo dei Giovani Repubblicani, anche e soprattutto se c’è la possibilità di un dibattito sul rapporto cultura-società e arte-politica…».
Da Cagliari, 20 ottobre 1974: «Caro Gianfranco Murtas, rispondo, subito e in ordine, alla Sua lettera: 1) non ho mai avuto contatti con giovani del PSd’A desiderosi di passare al PSI per fare “gruppo culturale” intorno a me all’interno del Partito Socialista Italiano; 2) non ho né la mentalità né la volontà di leader, 3) sono rientrato nel Partito Socialista (dopo lo scioglimento del PSIUP) perché ritengo che questo Partito (attualmente) soddisfi, da un lato, il mio “regionalismo”, e, dall’altro lato, il mio “internazionalismo”: a pensarci bene, il “separatismo” è un fenomeno di “nazionalismo borghese”, perciò non si adatta a me che prefiguro una “etnia” senza classi dentro un mondo di “etnie senza nazioni”; 4) non credo possibile ed attuabile sul piano pratico (ma posso aver torto) la sua “idea” di far coagulare attorno ad un “interpartito culturale sardo” (ma cultura uguale politica uguale economia) forze politiche contrastanti: dai liberali (che vogliono rapporti di produzione e di distribuzione di tipo capitalistico e pluriclasse) ai socialisti (che vogliono una società di uguali, economicamente uniclasse): non ho mai capito bene che cosa vogliono, sul piano dei rapporti di produzione e distribuzione, i repubblicani, i socialdemocratici e i democristiani; 5) certamente, invece, ci potremo trovare, provvisoriamente, d’accordo su certi “temi” illuministici, laici, libertari…».
By gianfranco murtas, 10 settembre 2016 @ 16:41
Caro Salvatore,
come una preghiera laica avevo inteso l’articolo recentissimo in memoria di Francesco Masala. Il suo repertorio è felicemente frammentatissimo per i luoghi in cui egli ha diffuso il suo genio poetico, le sue figurazioni narrative, perché leggendo imparassimo non soltanto a stare sempre dalla parte del giusto, ma anche e soprattutto a pensare in grande nel nostro Arasolè ricapitolativo del mondo, come fu anche per il Norbio o San Silvano o Cuadu dessiano. E sotto questo profilo mi pare molto bello, bellamente indovinato, il tempo che sarà nei prossimi giorni dedicato, proprio a Villacidro, al poeta e scrittore di Nughedu San Nicolò.
L’intento compilativo che mi aveva mosso a celebrarlo, oltre l’affetto, nel centenario della nascita che ora è imminente, dava per scontata la parzialità del risultato. Ma bisogna pur partire per arrivare alla meta.
E dunque, almeno per quanto riguarda S’ischiglia, mi preme integrare l’elenco già presentato con altri due titoli prima sfuggitimi. Si tratta di Cantone de su campanarzu de Arasolè, uscito sul numero 4 del 1994 (aprile), in lingua sarda evidentemente, e di Sa promissa isposa (La promessa sposa), uscito sul numero 1 del 2012 (luglio), in lingua sarda ma con testo a fronte in italiano.
Però colgo l’occasione anche per altre notizie.
Dono del… mercatino domenicale nei pressi del palazzo della Regione, a Cagliari, ecco il terzo numero (anno II, fascicolo II, Gallizzi, Sassari, 1950) di Ichnusa, la “rivista bimestrale di letteratura, arte, tecnica, economia ed attualità” della Sardegna fondata e diretta da Antonio Pigliaru. In quel numero sono i versi di Camminare, del nostro autore, parte della silloge risultata vincitrice del primo piazzamento (ex aequo con Marcello Serra) alla prima edizione del premio per la poesia “Grazia Deledda”.
Riporto qui appresso quelle strofe ¬– distici non rimati – perché costituiscono comunque un passaggio importante della formazione morale e letteraria del grande poeta nostro, e perché colpiscono, nella parte conclusiva, gli abbandoni spirituali o religiosi perduti forse nella produzione più matura.
Ma aggiungo altro, proprio perché le circostanze hanno voluto che le edizioni dei Quaderni Oristanesi mi inviassero, giusto ieri l’altro, alcuni numeri arretrati (annate 2005 e 2007), in cui compaiono due articoli a firma di Giorgio Farris – compianto oggi anche lui, l’allievo prediletto di Ovidio Addis! – dedicati al professore: “Omaggio a Francesco Masala, il poeta-scrittore, cantore vivente dei caduti in guerra di Arasolè” e “Francesco Masala un poeta scrittore da non dimenticare. Dalle trincee del Don ai sentieri della sua terra”.
Entrambi gli articoli – il secondo in mortem – contengono, tratta da Poesias in duas limbas, ed. Scheiwiller, Milano, 1981, un’ampia antologia di cantones, di ballate cioè, che rappresentano, a mio parere, una delle varianti più suggestive della cifra stilistica di un autore magnifico sempre: per la morte di un soldato fesso, per tric-trac soldato-stregone, del campanaro di Arasolè, per Serafina vedova di guerra, per Rosa fidanzata di guerra, dei fanciulli contadini (de sos piseddos campagnolos), dei mietitori, e ancora Lettera della moglie dell’emigrato, la promessa sposa, cantones de sas ispigaroras, manzanile de sa tessidora, muttos de pentimenti, epitaffio per un abigeatario, boghe ‘e notte de su pastoreddu, cantone de sos bestidos de biancu.
Dunque ecco i versi di Camminare:
«Camminare dove la pioggia è l’unica cosa / che viva sul lucido asfalto della città.
«Camminare sulle foglie morte che vengono ai piedi / portate dal vento e dalla paura dell’inverno.
«Camminare dove la luce cade di sbieco e la tua / ombra, in ansia, s’allontana furtiva.
«Camminare dove le finestre, occhiaia di scheletri, / ti osservano con uno sguardo vitreo e ghiacciato.
«Camminare strascicando amarezza nei crocicchi / senza porte aperte alla tua insonnia disperata.
«Camminare tra l’urlo di alberi stecchiti / e il gemito delle pietre sotto le scarpe rotte.
«Camminare con la voglia pazza di essere tutto / e lo sconforto desolato di essere niente.
«Camminare con l’assillo e il tormento di non potere / essere come gli altri, vivere come gli altri.
«Camminare col terrore selvaggio della terra / quando solo con Pan l’umanità t’ha lasciato.
«Camminare con la rassegnata certezza di gente / che va nella vita come tra croci di un cimitero.
«Camminare e sentire crescere sopra di te / i cipressi e l’erba che nessuno falcia.
«Ora sono qui, fermo, Signore, abbi / pietà di me, guardami, dammi la mano».
Sarebbe estremamente interessante approfondire il primo Masala, il Masala degli esordi o del cantiere ancora aperto.Bisognerà farlo.
Grazie, Salvatore, della ospitalità. Abbracci, gianfranco murtas