Ma la vera democrazia è aristocratica, di Massimo Cacciari
Il ceto politico ha svolto la sua funzione finché ha saputo conciliare consenso popolare e poteri “non eletti”. Oggi tutto questo non esiste più.
Stiamo vivendo un mutamento di stato nella formazione delle élite politiche paragonabile soltanto a quello che travolse le loro forme notabilari-liberali all’inizio del XX secolo e che segnò il tracollo della centralità europea attraverso la tragedia di due guerre mondiali.
Quella crisi si superò nel secondo dopoguerra, all’ombra dei Titani vincitori e della contesa, con l’affermazione di classi politiche certo in competizione tra loro, ma sulla base di una concezione sostanzialmente affine della democrazia.
Esse erano consapevoli che per ottenere consenso (poiché ormai l’uso della forza doveva essere considerato assolutamente eccezionale) era necessario sapersi distinguere.
La democrazia rappresentativa appare ragionevole e funziona se i rappresentanti non si limitano ad ottenere con ogni mezzo voti, ma sono anche in grado di rendere plausibile l’idea che questi voti premino i migliori.
La democrazia implica fisiologicamente in sé valori aristocratici. E le classi politiche europee, selezionate all’interno dei grandi partiti di massa, dagli anni della ricostruzione fino alla fine dei ’70, sembravano capaci di esprimerli.
Esse sapevano anche che il “valore” fondamentale premiato dal voto dell’homo democraticus consiste nella capacità di soddisfarne la domanda di benessere economico crescente, di mobilità sociale, di eudaimonia. Ciò che implica come fine primo dell’ordinamento lo sviluppo quantitativo e qualitativo .(l”’egemonia” anche culturale) del ceto medio. Finalità impervia, compatibile soltanto con determinate situazioni geopolitiche, con ragioni di scambio favorevoli ai paesi occidentali, ma soprattutto perseguibile solo se funziona un accordo strategico tra ceto politico e gli altri, decisivi soggetti del regime democratico, che in nessun modo sono espressione della “sovranità popolare”.
Il ceto politico del secondo dopoguerra ha funzionato per più di una generazione perché parte integrante di una classe dirigente.
Infatti, per soddisfare le domande fondamentali di benessere e uguaglianza proprie dell”’uomo democratico” è indispensabile disporre di una immensa competenza tecnica, amministrativa, burocratica e, insieme, è necessario che esse siano in qualche modo condivise dagli attori primi del “progresso” economico, dai grandi decisori industriali e finanziari.
Esse richiedono, cioè, strutturali alleanze con soggetti che, per loro conto, esigono di non essere selezionati con metodi democratici. L’attuale crisi delle tradizionali élite politiche europee, di cui la Brexit è il segno ad oggi più clamoroso, è il prodotto della rottura (irreversibile?) di questa alleanza o, almeno, di questo “compromesso storico”.
Si sono via via imposti processi complementari, tra i quali è difficile, e forse inutile, stabilire legami causa-effetto. L’esigenza primaria di indefinito sviluppo ha “scatenato” la potenza dell’apparato tecnico-scientifico-produttivo-finanziario, concentrando tendenzialmente al suo interno l’aumento di ricchezza prodotta. Contemporaneamente, la immensa difficoltà di mantenere condizioni di sicurezza e di ordine in un contesto di crescita insofferente a ogni controllo, ha moltiplicato le pretese della burocrazia, rendendola, a un tempo, sempre più conservatrice.
Razionalità burocratica, burocrazia selezionata per merito, e decisione politica minacciano così di divorziare – ma la democrazia rappresentativa si fonda sulla loro intesa. Assistiamo ogni giorno alle accuse di politici “incompetenti” alla burocrazia, e di burocrazie ciecamente conservatrici alla “irresponsabilità” dei politici. Con esponenti occasionali dell’una o dell’altra parte transfughi nello schieramento avversario: pseudo-politici burocratizzati, e pseudo-burocrati assoldati da questo o quel politico (spoil-system).
Un ceto politico che non operi come elemento integrante della classe dirigente di cui si è detto, non corrisponde più alle domande del suo “mercato”, perde di autorevolezza e alla fine appare “illegittimo”. Ma le condizioni che l’avevano formato nel secondo dopoguerra non sussistono più. Qui si spiega il collasso delle grandi famiglie politiche europee che ci hanno guidato fino all’euro. Esse sembrano poter sopravvivere solo abbracciandosi l’un l’altra, in infecondi connubii, arrendendosi con ciò stesso agli imperativi burocratici di” stabilità” . Oppure inseguendo le grandi Frasi della democrazia diretta, o, ancora, arcaiche visioni di sovranità territorialmente chiuse. Percorsi diversi per raggiungere la stessa mèta: cantare il de profundis della democrazia rappresentativa. Consumata la quale certamente il mondo proseguirà e, come sempre, vi saranno governanti e governati e si rifonderanno élite e classi dirigenti. La “società liquida” è un bel modellino sociologico, ma nessun regime politico lo è, se non quando si va disfacendo.
L’ESPRESSO 7 luglio 2016
By fra, 10 luglio 2016 @ 07:00
I filosofi e i matematici hanno da sempre saputo comprendere il mondo. E anche oggi è così. Con buona pace dei politologi, sociologi, bloggologi ecc.
By gloria fuzzi, 9 luglio 2016 @ 20:37
Certo, sono d’accordo sulla descrizione e lo sviluppo futuro … e penso che oggi occorrano finalmente valori forti e certi ed esempi altrettanto veri e certi …. solo questo puo’ ricostruire …. lentamente ma inesorabilmente … di gente volonterosa e seria se ne trova in tanti ordini e classi sociali , basta rafforzare le coscienze e imparare a dialogare … la semplicità di tante persone semplici … puo’ unirsi alle colte con il buon senso che aiuta ad andare avanti — poi uomini di buona volontà … e il cielo aiuta !