Venire dall’Italia a “portare doni” ai Sardi? di Salvatore Cubeddu
La situazione drammatica dell’economia, della condizione sociale e della fragilità culturale invoca, oggi in Sardegna, politiche nuove, esige intelligenza progettuale e capacità creativa.
Sta per arrivare Renzi portando doni. Dovrebbe averli concordati con Pigliaru, ma noi non sappiamo con chi, a sua volta, Pigliaru li abbia concordati. Non vorremmo che i cardi della Nurra e le canne del Sulcis ci venissero presentati come regali, perché in tal caso la nostra ribellione dovrebbe essere obbligatoria: contro i sindacati chimici, prendendo le distanze dagli interessi sassaresi, chiamando a risponderne innanzitutto Pigliaru e spiegando a Renzi che le nostre terre servono per l’agricoltura, non per sostituire il petrolio (e, magari, Renzi crede pure di farci un favore…).
Il problema è che, in una Sardegna in cui bisogna re-iniziare d’accapo, chi è dalla parte delle decisioni non ci dice da dove intende ri-cominciare e da quali questioni.
Lo si dice da tanto: il destino futuro dei paesi rappresenta la priorità e, con esso, un intervento a breve sulla disoccupazione. L’arrivo di Renzi dovrebbe portarci in dote un primo importante finanziamento per un nuovo new deal. I lavori pubblici in cui impiegare la manodopera in cassa integrazione dovrebbe risanare la “terra-aria-acqua” rovinate da sessant’anni di colonialismo economico-istituzionale-culturale e creare le condizioni per una Sardegna totalmente differente.
Ne abbiamo scritto subito dopo la catastrofe dello tzunami del dicembre 2013. Poiché autorevoli autori vi fanno frequente riferimento (e li ringraziamo), riproponiamo le riflessioni che diedero occasione di due giorni di confronto all’interno della Fondazione Sardinia.
Post Sriptum del 4 luglio 2016. Mi rendo conto di chiamare il lettore ad uno sforzo di lettura che richiederà del tempo. Non gli dico che io ne ho impiegato tanto di più a scriverlo. Per rispondere al livello dei problemi che pone la Sardegna non bastano brevi editoriali. Mi auguro solo che i coraggiosi, alla fine della lettura, possano dire a se stessi (non c’è bisogno che lo riferiscano a me): “ne è valsa la pena!…”. (s.c.)
Per una Sardegna nuova, di Salvatore Cubeddu
E’ il momento storico a dirci che non c’è posto per una politica di sopravvivenza, per l’ordinaria amministrazione e neppure per un progressismo moderato. Si tocca con mano lo stato di depressione e ancora peggio la chiusura di ogni orizzonte, che ci fa dire: “non ce la facciamo, non ne usciamo, non c’è nulla da fare”. Troppe cose in Sardegna sono accadute senza ideazione e senza progetto, così si è offuscata persino la speranza di progettare, è stata cancellata la prospettiva del futuro, è stato tolto il diritto di sognare. Nell’idea di Sardegna manca l’amore della speranza perché non c’è tensione desiderante, capace di creatività.
Eppure proprio la situazione di stallo può diventare un fattore propulsivo e rivoluzionario, stimolo per un nuovo modo di dire e di fare e per un nuovo modo di rappresentare la Sardegna a noi stessi e agli altri. Paradossalmente la situazione drammatica attuale diventa il dispositivo per il rilancio di una nuova costruzione. Per noi la Sardegna non è oggetto della mancanza e del fallimento se davanti a noi poniamo l’impresa, il progetto e il programma. Ciò che è crisi diventa dispositivo d’opera e d’invenzione. Siamo convinti che dinanzi a noi c’è l’avvenire che non viene da sé e che si compie nel fare. A patto che la politica diventi invenzione, come l’economia, come la cultura. Niente scene del negativo, abbiamo cose da raccontare e da produrre: tutto da vivere, tutto da fare. L’identità sarda si costruisce nell’itinerario della produzione materiale e della produzione di senso.
Da queste riflessioni è sorta nella Fondazione Sardinia una serie di incontri e di dibattiti che sono provvisoriamente confluiti in questa proposta di Sardegna nuova.
Si tratta, nell’aspetto economico, di un programma di concrete opere pubbliche, non di un vero e proprio nuovo modello di sviluppo. Le linee di questo restano, piuttosto, sullo sfondo, sottintese e richieste. Ma l’innovazione riguarda tutti gli aspetti della realtà sarda.
Al di là di ogni schieramento e di ogni appartenenza politica, vogliamo fare partecipi di questa nostra riflessione quanti, tra i Sardi ed i loro estimatori, intendono impegnarsi per un contributo di arricchimento e di elaborazione, nella prospettiva di una diffusione più ampia e con il proposito di farne partecipi il popolo sardo.
“Quando tira vento, c’è
chi alza muri per difendersi
e chi costruisce mulini a vento”
(M. de Cervantes).
SARDIGNA NO(V)A
Un NEW DEAL per la SARDEGNA del terzo millennio: appunti per un nuovo inizio.
SOMMARIO: 1. le nuove drammaticità sarde. 2. Le urgenze dell’ora. 3. Un progetto inevitabile. 3.1. il risanamento dei territori; 3.2. Le pianure irrigate per lasovranità alimentare; 3.3. l’energia, della Sardegna, per i Sardi, dei Sardi. 3.4.L’emergenza linguistica. 4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. 5. La riforma delle istituzioni: la nuova Olbia, Sassari- Cagliari- Nuoro- Oristano con vecchie e nuove funzioni, Città di Sardegna, una burocrazia redistribuita e rinnovata, un altro destino per i paesi. 6. Provvisorie osservazioni conclusive.
- Le nuove drammaticità sarde . Per due settimane, nel dicembre 2013, nelle case e nelle campagne dei 60 comuni si è lavorato ad uscire dal fango. Il lavoro sarà lungo.
Il diluvio scende dalle alture alle coste e travolge gli arenili scarsi dell’immensa ciambella in costruzione. Siamo all’ultimo aggiornamento, ma il fenomeno si ripete ad intervalli sempre più brevi. La natura segue il suo corso, indipendentemente dall’insipienza dei nostri ostacoli.
Tra sette – otto mesi, nel nostro interno in abbandono potrebbe riproporsi il pericolo di sempre, il fuoco distruttore. Nel centro Sardegna, sempre più abbandonato, l’inselvaticamento della natura finirà per annientare gli antidoti di un’agricoltura millenaria ormai in estinzione.
Intanto è costante l’aria inquinata portata dai venti: da Sarrock e P. Torres verso Cagliari e Sassari, da P. Vesme nella direzione di S. Antioco, Carbonia ed Iglesias, da Macomer e Ottana nei quattro quadranti della Sardegna centrale. Laddove i fumaioli si sono spenti, il loro fumo ha lasciato sul suolo tracce forse imperiture.
Siamo alla fine del nostro mondo, gli uomini hanno avviato l’apocalisse. Possiamo cercare un’altra ‘rivelazione’? Siamo disponibili a pensare alla risoluzione dei problemi facendo fronte con finanziamenti, con progetti, con l’organizzazione e i tempi necessari? La responsabilità è nelle nostre mani. Per quello che è stato (se non altro per non averlo impedito) e per quello che sarà. Quello che è non può essere più accettato.
Dobbiamo cambiare, noi innanzitutto. I sardi sono la vera risorsa per se stessi. Se essi rinunciano, nessuno può portare loro la salvezza. Neanche se continuasse – e non può a lungo proseguire (né sarebbe corretto pretenderla!) – la straordinaria solidarietà che ci arriva dal Continente, dagli Italiani per una volta finalmente solidali con i Sardi. Anche al nostro interno, la solidarietà di queste settimane segnerà a lungo positivamente i giorni che ci aspettano. Perciò osiamo sognare. Per offrire un seguito a ciò che vediamo, per promuovere a progetto ciò che è positiva reazione all’emergenza, per darci la realizzabile immagine di una Sardegna nuova.
E la natura domanda la fine di certi comportamenti e la promozione di nuovi. Le istituzioni cercano da decenni un’ altra legittimazione. La società vede giovani ed operai in giro per le strade ad elemosinare il tozzo di pane dell’assistenza in attesa che qualcuno costruisca il lavoro. Ma, quale lavoro si creerebbe se pure ci fossero i finanziamenti? Come spenderemmo i miliardi se, per una qualche benefica resipiscenza dello Stato italiano, ci venisse restituito il mal tolto degli ultimi decenni? Come spenderemmo i soldi pubblici nel creare lavoro: per fare che cosa? Chi agirebbe? Secondo quale nuova idea di Sardegna?
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2. Le urgenze dell’ora. Otto province da abolire e nuove aggregazioni dei comuni da organizzare in vista dell’inevitabile necessità dell’ente intermedio: davvero, da Cagliari, è possibile guidare il territorio della Sardegna senza aspettarsi una ribellione a un centralismo già oggi denunciato come invadente? Cagliari, da sola, versus 376 comuni: esperimento già fallito con il feudalesimo. Non per i feudatari, ma sì per i Sardi. E’ invece indispensabile restituire un forte senso ai capoluoghi delle province storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano.
Città e paesi da ricostruire, ad iniziare da Olbia, secondo comune per numero di abitanti e primo in quanto capoluogo del turismo. E’possibile profittare del presente disastro per rimodellare l’urbanistica della città correggendone storture e valorizzandone le risorse? Olbia da rimodellare quale città del futuro. Lanciare una nuova idea di città gallurese – una città di mare in simbiosi con i bellissimi monti del Limbara, non in contrasto – fruendo delle presenze, delle amicizie, degli interessi internazionali, intelligentemente e accortamente orientati da una società locale che ora va facendo un’esperienza così amara degli errori commessi?
Trecento piccoli comuni sono in decadenza per il crollo demografico e per la fuga degli abitanti (sempre nella direzione di Cagliari ed Olbia): anche a loro bisogna restituire un senso. Un hinterland cagliaritano da bloccare nell’insana crescita demografica ristabilendo la funzione della città, il suo significato ed i limiti nei confronti dell’insieme del territorio isolano.
Cagliari come città dell’economia moderna, delle telecomunicazioni e della ricerca, del commercio e degli scambi, Cagliari città vedetta della Sardegna nei confronti delle numerose ‘capitali’ del Mediterraneo? Cagliari ha le potenzialità di diventare per la Sardegna quella che Milano è per l’Italia, New York per gli USA (pur essendo Washington la capitale), Rio de Janeiro per il Brasile (con Brasilia costruita ex novo). Non più rinserrata in un castello dove racchiudersi e difendersi, ma città guida nella prosperità, nella cultura e nell’arte.
Una cultura da riorganizzare, nei suoi aspetti istituzionali/scolastici e nella sua dimensione politica/identitaria. Cresce la pressione dei ministeri romani per l’unificazione delle due università di Cagliari e di Sassari, proprio mentre Nuoro ed Oristano insistono per mantenere i loro recenti insediamenti. Il processo, non facile né breve, domanderà un vero campus per un’Università della Sardegna. Dove, come, chi si assumerà la responsabilità di accelerare intelligentemente il processo?
Un progetto di opere pubbliche che alleggerisca la fame di lavoro domanda finanziamenti destinati a rispondere a questo non semplice carico di problemi che si impongono alla comunità sarda.
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3. Un progetto inevitabile. Si sente e si legge dappertutto: la prima cosa che manca in Sardegna è il lavoro. Eppure, anche se avessimo i finanziamenti – ad esempio, i soldi che lo Stato dovrebbe darci indietro, perché nostri (quanti? Mettiamo un miliardo di euro?) – non sapremmo quali opere pubbliche sarebbero in grado di occupare, mettiamo, diecimila lavoratori nel breve periodo per un’operazione da new deal.
Eppure la Sardegna è tutta da rifare, non solo avendo davanti la presente catastrofe, ma pure a partire dal risanamento dell’ambiente nelle zone industriali, alla rifondazione di un’agricoltura che si affianchi alla pastorizia, alla decisione sul riequilibrio demografico nel territorio, al ruolo delle due città (Cagliari ed Olbia) che divorano la popolazione dei paesi, al destino delle province, alla qualificazione complessiva dell’istruzione e della cultura.
Osservando con serietà la condizione dei Sardi, dobbiamo recuperare la lungimiranza e il coraggio di assumere decisioni che ci proiettino nell’arco dei prossimi 20/50 anni per la definizione delle decisioni economiche, istituzionali, culturali.
3.1. Le migliaia di lavoratori in cassa integrazione devono essere utilizzati per il risanamento dei territori di Macchiareddu, Porto Torres, Porto Vesme, Ottana, Arbatax. Dato che l’esigenza dell’assistenza è destinata a permanere (ma non altrettanto facile sarà garantire le necessarie risorse sine termine) , essa deve essere finalizzata a chiedere un contraccambio, a tempo totale o parziale (adeguandovi il salario), al personale uscito senza possibilità di rientro dal processo produttivo. Chi non venisse impiegato nel risanamento ambientale dovrebbe venire organizzato per altri lavori socialmente utili.
3.2. Le pianure irrigate dovrebbero venire solamente destinate alle coltivazioni che garantiscano la sovranità alimentare del popolo sardo. In nessun modo debbono essere messe a disposizione di Matrica o di altre società intenzionate a profittare delle presenti difficoltà dell’agricoltura per utilizzare le nostre terre e per produrre materia prima in vista del processo produttivo della cosiddetta chimica verde. Andrebbe anche verificata fino in fondo l’eventuale disponibilità di terreni marginali. Si ha la chiara impressione che in molti stiano barando per farci trovare tutti in condizioni di non ritorno, a livello governativo e locale, nel mondo imprenditoriale, associativo e sindacale. Tarda, purtroppo, a partire un movimento di opinione che chieda conto in anticipo di scelte che ci stanno sovrastando. La situazione appare straordinariamente simile alla segretezza delle decisioni che ci hanno portato fuori dall’obiettivo 1 dell’Unione Europea e, prima ancora, al grande inganno che riversò in Sardegna la grande industria di base petrolchimica e metallurgica.
3.3. La Regione sarda ha riavuto nella sua dotazione e in suo potere l’energia elettricadelle dighe. Si tratta di un dato importante, che però viene tenuto riservato e che non viene fatto rientrare nel presente dibattito sull’energia ‘verde’. Essa, invece, si aggiungerebbe alle energie rinnovabili per rendere l’Isola totalmente autonoma dalle energie fossili inquinanti e dispendiose. La Regione deve riprendere in considerazione l’esperienza della società sarda dell’elettricità (Ersae), per confermarne l’attualità e rimodernarne l’organizzazione.
3.4. L’emergenza linguistica rappresenta la realtà e la metafora della presente condizione del popolo sardo. Esiste un parallelo indiscutibile e impressionante tra la perdita della lingua e la perdita della nostra economia, tra l’espropriazione culturale e l’espropriazione delle nostre risorse, tra il lasser faire nella cura della nostra anima più profonda e la leggerezza con cui lasciamo che invadano di cardi e di eucaliptus le nostre pianure dopo che per cinquant’anni hanno avvelenato con la petrolchimica alcuni dei nostri migliori litorali. Parallelismi della nostra irresponsabilità voluta ed accettata.
4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. Bisogna avere il coraggio politico e la capacità finanziaria e organizzativa di proporre un grande progetto di opere pubbliche, che abbia quale punto fermo quello di evitare la funzione/ciambella dello sviluppo urbanistico intorno alle coste e di promuovere la continuità della distribuzione della popolazione nei paesi della Sardegna. Inevitabile agire su Olbia e Cagliari, attuali punti di attrazione a motivo dell’espletamento della funzione turistica (Olbia) e della concentrazione burocratica (Cagliari).
Ad Olbia bisogna risanare, riqualificare, cancellare. Alla città bisognerebbe offrire l’opportunità di rinascere come città d’eccellenza. E’ inutile mettere pezze a situazioni irrecuperabili. Bisogna ripensare la città, secondo la legge e la qualità del vivere. Olbia ha molti amici potenti e qualificati, che sarebbero interessati a collaborare ad operazioni ambiziose e di prospettiva.
A Cagliari ancora si va avanti ad occhi chiusi, in assoluto isolamento rispetto agli interessi della Sardegna, ubriachi di un’espansione demografica che ora troverebbe spazio solo nella cinta dei comuni dell’hinterland. Su Stangioni era uno stagno, procedere nel percorso verso la sua urbanizzazione è una follia, ambientale, urbanistica e demografica. Basta, con l’accettare la crescita del polo urbano a svantaggio degli altri comuni della Sardegna. Si pensi: quante famiglie ospiterebbe l’urbanizzazione di una SS 554 trasformata in semplice strada comunale? Resterebbero dei sardi al di fuori del promontorio e della costa intorno al Golfo degli Angeli? A Cagliari e nel suo hinterland bisogna migliorare quello che c’è, non estenderlo.
A Sassari, Oristano e Nuoro, una volta retrocesse dal loro ruolo di ente provinciale, cosa resterebbe per impedire al loro interno una crescita esponenziale di risentimento nei confronti della città ora capitale, già a ragione accusata di centralismo, sempre ma soprattutto nell’ultimo quinquennio?
5. La riforma delle istituzioni resta oggi elemento determinante anche negli aspetti economici, politici e culturali. E’ da considerare troppo tranchant l’abolizione totale delle province. Non regge una Sardegna dove il potere è concentrato tutto su Cagliari, diventando le unioni dei comuni nient’altro che decentramenti funzionali e burocratici, senza vera identità istituzionale (che è fatta di valori storici, economici, etc. ). Per questo è necessario ripensare la redistribuzione dei ruoli istituzionali tra i capoluoghi storici della Sardegna in modo che vi sia funzionalità delle città rispetto ai comuni circostanti, potenziale parità di opportunità tra gli ex capoluoghi di provincia, rispetto delle vocazioni storiche e culturali di tutte le città sarde.
La proposta: a) Sassari e Cagliari restano capoluoghi di provincia, e si dividerebbero il territorio sardo.
b) I presìdi attualmente aperti dalle due università sarde a Nuoro dovranno progressivamente allargarsi fino a costituire l’Università della Sardegna. Gradualmente si arriverebbe alla loro unificazione e, nel tempo (richiesto dal procedere dei grandi lavori di costruzione del campus, a partire dalla città ed allargandosi nei boschi e nei giardini, nell’Ortobene ed oltre), verrebbero spostate e unificate le facoltà in modo da riqualificare il capoluogo barbaricino nel segno dell’istruzione e della cultura (sarebbe la Cambridge sarda!). Non è difficile immaginare la grande massa di risorse e di occupazione necessarie nel corso delle differenti fasi del processo e nella successiva situazione operativa della grande Università della Sardegna. (L’idea, in fondo, non è originale: la Corsica, appena avute le istituzioni autonomistiche, ha fondato la propria università a Corte, l’antico capoluogo in mezzo alle montagne).
c) Non lontano da Oristano – e fruendo del suo porto, potenziando il suo aeroporto (offrendo, finalmente, a loro un senso), presso le le colline e nei boschi alle pendici del monte Arci (il monte sacro dell’età neolitica!) - dovrebbe costruirsi ex novo un Capitol delle nuove istituzioni della Sardigna No(v)a, esso pure pensato come un campus istituzionale – con le moderne condizioni dell’ospitalità – e non una nuova città della burocrazia. Nella nuova Città di Sardegna risiederebbe la sola dirigenza al servizio delle grandi istituzioni della Sardegna: consiglio, governo, apici degli assessorati; i segni della cultura (il rettorato) e dei valori universali (una chiesa cattedrale? Una sede monumentali a carattere interreligioso?).
Gli impiegati della nuova regione sarda sarebbero gradualmente individuati tra i giovani, e meno giovani, abitanti nei comuni di tutta la Sardegna, collegati tra loro e con i loro dirigenti del ‘Capitol’ tramite il telelavoro. Ovviamente, pensato nella prospettiva dei decenni, il processo di progressiva redistribuzione nel territorio del personale, attualmente concentrato in poche città, andrebbe curato sia nelle capacità professionali e sia attraverso un’apposita contrattazione di funzioni e riconoscimenti normativi ed economici. Questa soluzione, nel mentre alleggerisce la pressione demografica delle città, offrirebbe una chance di permanenza e di nuova prospettiva ai tanti comuni in via di chiusura, consentendo elementi di nuova qualità della vita ai lavoratori dell’impiego pubblico.
Anche il sistema stradale riceverebbe nuovi effetti benefici nell’indirizzare le sue direttrici verso il centro geomorfologico dell’Isola. Nessun amministratore comunale sarebbe più distante di centocinquanta chilometri dalla nuova capitale istituzionale della Sardegna.
6. Provvisorie osservazioni conclusive. Alla facile osservazione di utopia rispondo con la richiesta di altrettante soluzioni alternative alla elencazione dei problemi inizialmente esposti. Alla preoccupazione sulla scarsità dei finanziamenti c’è l’esperienza del new deal degli anni trenta, non solo in America: la scelta dei lavori pubblici viene fatta appunto nei tempi di crisi. Sulla questione della classe dirigente dico: noi tutti siamo classe dirigente, diamoci da fare, lasciateci immaginare e realizzare, noi saremmo in grado di avviare, dirigere, portare a compimento il processo, andando anche oltre la presente generazione.
Anche chi vuole l’indipendenza della Sardegna non vuole solo agitare una bandiera: vuole soprattutto far stare meglio i propri cittadini e rendere migliore la propria terra.
(Questo documento è stato redatto da Salvatore Cubeddu ed ha avuto una prima fase di discussione tra i soci della Fondazione Sardinia il 7 e il 9 dicembre 2013).
Cagliari 11.12.13