Cari ragazzi, l’Europa è vostra: non lasciate vincere i venditori di paure, di Mario Calabresi
Cari ragazzi europei, siete nati in un continente di pace, non avete mai visto la guerra sotto casa, siete cresciuti senza frontiere, progettando di studiare in un altro Paese, fidanzandovi
durante l’Erasmus, scambiando messaggi con gli amici sulle occasioni per trovare lavoro o sui voli meno costosi per vedere un concerto.
Non importa se siete nati a Cardiff, a Bologna, a Marsiglia a Barcellona o a Berlino, oggi le paure dei vostri genitori e dei vostri nonni hanno deciso che la Gran Bretagna tornasse ad essere un’isola, che voi diventaste stranieri dall’altra parte della Manica.
I vostri nonni, che sanno cosa è stata la guerra, dovrebbero avere a cuore un futuro di libertà per voi, ma insieme ai vostri genitori si stanno lasciando incantare da chi racconta che rimettere muri, frontiere, filo spinato servirà a farci vivere più tranquilli, sicuri e sereni. Che tornare ad avere ognuno la propria moneta riporterà lavoro, prosperità e futuro.
Vi stanno raccontando che la democrazia diretta e i sondaggi in tempo reale risolvono magicamente i problemi, che esistono sempre soluzioni semplici e a portata di mano, che non c’è più bisogno di esperti e competenze, che la fatica e la pazienza non sono più valori, che smontare vale più di costruire. Il continente è malato, ma la febbre di oggi è la semplificazione, l’idea che sia sufficiente distruggere la casa che ci sta stretta per vivere tutti comodamente. Peccato che poi restino solo macerie.
Aprite gli occhi, guardate lontano e pretendete un’eredità migliore dei debiti. Vogliamo avere pace, speranza e libertà, non rabbia, urla e paure.
Tappatevi le orecchie, non ascoltate gli imbonitori e pretendete politici umili, persone che provino a misurarsi con la complessità del mondo e siano muratori e non picconatori.
Segnatevi sul calendario la data di ieri, venerdì 24 giugno 2016, e cominciate a camminare in un’altra direzione, a seminare i colori e le speranze.
Una ragazza inglese che ha votato sì, ma non è riuscita a convincere suo padre e suo zio a fare lo stesso, ieri ha promesso ai suoi amici europei, con una voce tremante che mescolava imbarazzo e rabbia: “Verrà il nostro turno della nostra generazione e allora torneremo”. Ci contiamo.
Da La Repubblica, 25 giugno 2016