Una piazza per Franco d’Aspro, all’ombra della chiesa di San Pio X, a un passo dallo stadio Amsicora, di Gianfranco Murtas
Venerdì 3 giugno 2016: qualche minuto dopo mezzogiorno il sindaco Zedda – e con lui sono l’assessore Coni ed i consiglieri Perra e Montaldo – scopre, insieme con la signora Immacolata Giorgi d’Aspro, una targa marmorea che reca il nome dello scultore Franco d’Aspro e battezza così uno spazio gradevolmente ombreggiato, sul fianco destro della chiesa intitolata a San Pio X, quella chiesa – meriterebbe ricordare – dominata dalla enorme tela del Cristo colto nel passaggio dalla morte violenta della croce alla risurrezione gloriosa del sempre, opera di Foiso Fois, a lui ispirata da una scena della resistenza in Piemonte. Certo non si è considerato questo nesso, nella scelta dell’area – bisognava restare in piena città e non complicare con gli ordini numerici della toponomastica già registrata –, eppure qualcosa si potrebbe dire: appunto della colleganza, nel liceo artistico del primo impianto, nella via Sant’Eulalia, fra i due professori Fois e d’Aspro. Così come si potrebbe dire della prossimità fisica di quello spazio santamente fresco ed ameno – dove presto andranno le panchine di riposo di residenti e parrocchiani – con una chiesa dedicata al pontefice che guidava il popolo cattolico nell’anno in cui d’Aspro nacque, a Mondovì – era il 1911. Coincidenze che piace portare alla mente e magari raccontare.
Una piccola folla ha assistito alla cerimonia (e s’è spiegata, allora, anche con un fatto puramente burocratico la maiuscola invece della minuscola nella particella cognominale – D’Aspro invece di d’Aspro – incisa nella lastra che, si spera, fra qualche tempo sarà accompagnata da un’opera del Maestro).
L’assessore Coni e il consigliere (oggi anche regionale) Mondo Perra – il quale è stato il più insistente ed abile nel chiedere questa intitolazione, già ormai da quattro anni – hanno aperto con brevi interventi di inquadramento dell’evento, e prima del discorso necessario del sindaco Zedda è stato chiesto a me di dire qualche parola, riepilogando, a chi però già le conosce, le tracce rapide di una biografia ricca di stagioni umane, civili ed artistiche. E’ toccato quindi al genero e amico Giorgio Bertorino aggiungere alcune considerazioni e portare una gustosa testimonianza di lui, al tempo giovanissimo studente di ingegneria, che assisteva il Maestro nella fusione bronzea delle sue opere per lo più con la tecnica della cera persa.
Ha detto, Bertorino, che la qualifica più idonea a rappresentare il genio e il talento di Franco d’Aspro sarebbe quella di “artigiano”: giusto nella accezione che il termine aveva nel medioevo, fra i “costruttori” del bello semplice e del bello gugliato, del romanico e del gotico, prima della stagione rinascimentale, quando la parola “artista” subentrò a quella, apparentemente più umile nella sua allusione, di “artigiano”. Sarebbe un argomento da approfondire, questo, con tutte le sue suggestioni. Certo è che nel mestiere dell’artigiano c’è tutta quella professionalità manuale che poggia però su lunghi studi – metti sulla natura dei materiali – innervati e vitalizzati da sensibilità e intuizioni proprie del creativo.
Accenno a quanto anche io, dunque, mi sono sentito di dire. Franco d’Aspro è l’autore di opere plastiche che più di tutti – credo anche più di Sciola, di lui peraltro molto più giovane – ha diffuso entro il perimetro urbano di Cagliari i suoi lavori. In occasione della edizione 2012 di Monumenti Aperti io allestii una mostra fotografica di 60 pannelli riproducenti le sue opere collocate in siti pubblici, e facendo di esse come le tappe di un ideale percorso cittadino: dal Municipio di via Roma (busto della Deledda) alla Banca d’Italia e alla Camera di Commercio nel Largo Carlo Felice (nella prima tre bronzi traforati evocanti il lavoro dei sardi, fra miniere e pesca, pascoli e campagne, nella seconda una grande testa di Carlo Delcroix, eroe mutilato della prima guerra mondiale); dalla ex clinica medica (il busto del professor Aresu e una testa anch’essa di grandi dimensioni di Ippocrate) all’ospedale civile (coi busti dei professori Garau e Ligas, chirurghi di superiore levatura anche umana); dal caseggiato ex Medicina legale (testa di Porcell, protomedico cagliaritano del Cinquecento ed un grande Cristo bronzeo in croce) alla casa massonica in piazza Indipendenza (busto di Armando Corona gran maestro); dalla cattedrale di Santa Maria e l’annesso museo diocesano (croci e stazioni della Via crucis, anche un tondo di monsignor Piovella) alla biblioteca universitaria (busti di Alziator e della Marongiu Pernis, oltre ad una croce bronzea a muro); dalle chiese di San Domenico e Santa Lucia (tabernacolo, croce astile e bassorilievo della Pietà) al conservatorio di musica (una testa pure gigantesca di Pierluigi da Palestrina); dall’ex EPT nel palazzo della Provincia di via Cadello (quattro opere fra cui una variante equina al galoppo) alle due facoltà di Lettere e di Ingegneria (i busti rispettivamente di Dante Alighieri e del preside minerario prof. Mario Carta); dal santuario di Sant’Ignazio (nella chiesa di Sant’Antonio) con opere d’altare e scene francescane in bronzo e il santo cappuccino a presidio fuori, spalle all’anfiteatro, alla chiesa del Carmine (con una Vergine sulla cuspide del campanile, a 50 metri di altezza, lei alta tre metri padrona del cielo di Cagliari); fino al piazzale di Bonaria con le caravelle sul fianco destro e su quello sinistro di basilica e santuario – inaugurate e benedette in occasione della visita di Paolo VI a Cagliari nel 1970 –, ed alla chiesa del Poetto, con le quattordici stazioni della Via Crucis (vincolate dalla Soprintendenza), non a formelle ma a triplice soggetto in verticale su base di marmo (e sono complessivamente 42 elementi); per non dire dei due cimiteri, il monumentale ed il civico di San Michele, con almeno un’altra decina di lavori, taluno anche imponente per dimensioni. Uno splendore tutto quanto.
Questo ha donato d’Aspro alla città che fece sua elettivamente, dopo una residenza di circa tre lustri a Villamassargia, dove allestì la sua prima fonderia, di fianco allo studio. Lì prese la prima residenza dopo la venuta in Sardegna per una mostra: era il 1938, la galleria era la Palladino, nella via Manno. Ebbe subito delle commissioni, poi sbocciarono emozioni e amori che coinvolsero persone e luoghi. In Sardegna fece famiglia, lui piemontese figlio di abruzzese e fiorentina, studente a Belle Arti di Bologna e scultore esordiente fra Napoli ed Avellino.
All’indomani della seconda guerra mondiale fu iniziato alla Massoneria, lui che discendeva da massoni e carbonari; salì in breve molti gradini della gerarchia scozzese, e nel 1963 passò a Palazzo Giustiniani, nella loggia Nuova Cavour (e successivamente nella Hiram, qui condividendo la militanza con personalità d’eccezione come Armando Corona e Mario Giglio, ma anche come Sabino Jusco e Fernando Pilia, come Nino Ciusa figlio del grande Francesco…). In fondo, quello spiazzo erboso e accogliente, nel quartiere dell’Amsicora, potrebbe essere anche vissuto come riconoscimento della città alla Libera Muratoria: passando per il nome di Franco d’Aspro, sì, un riconoscimento per il tanto che, sul piano prettamente umanistico, culturale e civile, nella fermezza democratica, le logge massoniche hanno donato a Cagliari non solo nella remota stagione dell’unità d’Italia o in quella bacareddiana, ma anche in quest’ultimo settantennio, dopo le devastazioni morali della dittatura e materiali della guerra.
Tante opere portano la firma del Maestro. Quando lo conobbe, l’anno credo fosse il 1992 o il 1994, Vittorio Sgarbi si innamorò della originalità del Nostro, ne comprese la ricerca, la dinamica evolutiva che andava sempre più verso l’essenziale. Per questo partecipò con un suo contributo ad una bellissima monografia curata da Piercarlo Carta per le edizioni della Torre.
Di quella produzione amplissima e singolarmente suggestiva, Cagliari avrebbe dovuto averne come una collezione speciale e permanente, sotto l’egida del Municipio. Fu proposto questo, dieci anni fa, al sindaco Floris che pur si disse favorevole, ma riferì anche della contrarietà dell’allora assessore competente per materia. E quindi si fece avanti il Comune di Sinnai – centro dell’hinterland amatissimo dallo scultore sia per l’amicizia che lo aveva legato al professor Ligas, sia perché qui tenne la sua ultima mostra personale – e con il sindaco Barbara Pusceddu – un’eccellenza fra i giovani amministratori sardi – e il suo predecessore si avviò una pratica alla Regione che ben volentieri finanziò l’acquisto di una parte considerevole del magazzino artistico lasciato alla vedova. E oggi quella folla di sculture di vario pregio e dimensione fa bella mostra, appunto speciale e permanente, nella casa della cultura sinnaese.
Potrà, vorrà, il Municipio di Cagliari “arricchirsi” anch’esso, pur in ritardo, pur ormai soltanto parzialmente, delle creazioni che sono ancora disponibili e starebbero meglio in qualche spazio museale pubblico che non, frazionate, nelle case, tutte private, di questo e quello?
Nel suo intervento conclusivo il sindaco Zedda ha promesso il proprio impegno – sia che sia rieletto, sia che debba proseguire la sua azione amministrativa dai banchi dell’opposizione nel post elezioni – perché il Comune non segua il cattivo esempio del tempo passato e mostri maggiore sensibilità ai valori d’arte che le opere di Franco d’Aspro – materializzazione del suo genio inventivo – esprimono interamente.