Quel segretario, allievo e figlio di un grande e santo papa. Il cardinale don Loris F. Capovilla e la Sardegna, di Gianfranco Murtas
E’ giunta la notizia, inaspettata nonostante gli anni fossero già cento, quasi centouno, della morte di don Loris F. Capovilla. La rassegna fotografica subito apparsa su internet presenta la scena, triste e serena ad un tempo, della bara aperta, con il lume acceso di fianco (simbolo di resurrezione), e attorno in preghiera i suoi, le suore della famiglia giovannea di Sotto il Monte Giovanni XXIII, il paese natale di papa Roncalli, a lui reintitolato e fattosi nel tempo centro di una colossale raccolta archivistica, bibliotecaria, memorialistica e pubblicistica del pontefice che sognò e introdusse il Concilio Ecumenico Vaticano II. Don Loris fu l’apostolo di tanto lavoro – raccolta, censimento, valorizzazione piena dei documenti (sempre con sovrana generosità e lungimiranza condivisi) –, durato cinquantatré lunghi anni, dopo la scomparsa dolorosa del suo don Angelo.
I miei rapporti personali con don Loris rimontano a tre lustri fa, al tempo della preparazione del saggio pubblicato poi con il titolo “Papa Roncalli e la Sardegna” e un sottotitolo che, dato un mio grezzo suggerimento, egli stesso rielaborò, e nella sua formulazione passò drittodritto alla copertina: “Corrispondenze, Incontri, Amicizie”. Conservo molte lettere e biglietti e numerosi preziosi e abbondanti allegati, la traccia-verbale di una conversazione telefonica durata forse mezz’ora, forse un’ora, con l’esplicitazione da parte sua dei consigli e delle riserve, del sentimento di liberalità sopra tutto nel rispetto della mia fatica, delle mie intenzioni, del mio rigore problematico.
«Santo Padre, siete contento della testimonianza resavi da Gianfranco Murtas?», scrisse ad un certo punto del testo finale che misi in apertura – giusta premessa – del saggio, poi introdotto da don Tonino Cabizzosu.
Non appena possibile darò conto minuzioso, come atto di speciale omaggio alla memoria del cardinale oggi perduto, dello scambio durato fra noi diversi mesi. Per adesso, desidero offrire alla conoscenza e alla riflessione di chi non conosce lo scrittocapovilliano quelle tre pagine che egli mi donò con gratuità evangelica. (Presentai il libro unicamente nella comunità di San Mauro e fra gli ospiti più graditi, insieme con i ragazzi delle tre comunità del tempo – incluse le due di Campu’eLuas – fu l’amico mio sempre dolorosamente rimpianto don Efisio Spettu).
Un cenno soltanto alla firma:«+Loris Francesco Capovilla arcivescovo di Mesembria in Bulgaria titolo appartenuto ad Ang. Gius. Roncalli negli anni 1934-1953». Fu dono speciale riservatogli da Paolo VI che dopo averne conservato la collaborazione in Vaticano per quattro anni, nel 1967 lo promosse metropolita di Chieti (consacrandolo egli stesso in San Pietro), e lo nominò successivamente, nel 1971, prelatonullius di Loreto, con l’ufficio specifico di delegato papale nel santuario (così fino al 1988) e il titolo, appunto, di arcivescovo di Mesembria.
Cardinale lo era da due anni, riconoscimento doveroso tributatogli da papa Bergoglio. Perse quel titolo onorifico, acquistò quello di presbitero di Santa Maria in Trastevere.
La lettera di don Loris: La Chiesa «madre e maestra» e l’Isola nostra
«Caro Signore,
«Con rispetto e simpatia le sono vicino mentre conchiude la sua fatica di mettere insieme il bel volume, ideato e realizzato “con intelletto d’amore” (Dante, Purg. 24, 51): Papa Roncalli e la Sardegna – Corrispondenze Incontri Amicizie. Per motivi di salute non sono stato in grado di esaminare minutamente il testo così da offrirle appropriati suggerimenti e l’invito a qualche sfumatura di giudizi e di apprezzamenti; mi sono dovuto contentare di brevi cenni telefonici e di trasmetterle alcune carte documentarie.
«Frattanto a lei preme consegnare in tipografia il corposo dattiloscritto, con cui segnala il filo d’oro che lega insieme storia e cronaca, impegno apostolico ed esemplare collaborazione ecclesiale, originati da appartenenza alla Chiesa madre e maestra, da esigenza di studioso coniugata con sofferta carità “che tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13, 7), senza perdere di vista il monito biblico: “Dio non ha bisogno dei nostri artifici” (cfr. Giobbe 13, 7).
«La Sardegna è Italia. Papa Giovanni amò quant’altri mai il suo Paese con mitezza evangelica ed infrangibile speranza.
«Anche sotto questo profilo, Papa Roncalli e la Sardegna sarà ben accetto ai Sardi ed oltre i confini dell’Isola; costituirà ulteriore contributo alla conoscenza dell’Uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni, “papa della bontà, della mansuetudine, della pastoralità della Chiesa” (Paolo VI, 2 giugno 1973).
«Roncalli è stato uomo di Chiesa. Questo è un punto fermo. “L’ha amata e ha dato per essa tutto se stesso” (cfr Galati 2, 26). L’ha amata nella sua costituzione divina, nei suoi ordinamenti disciplinari, nei suoi dottori e nei suoi santi, nei suoi gerarchi “costituiti pastori della Chiesa di Dio che egli si è acquistato con il sangue del Figlio suo” (Atti 20, 28). L’ha amata nei suoi figli incappati nei predoni (cfr Luca 10, 29), condizionati da ritardi e da infermità dell’anima e del corpo, spesso traviati da pseudo evangelizzatori e da occulti persuasori (Atti 20, 2931).
«Pagine di santità e di eroismo non ci esimono certo – ce l’insegna Giovanni Paolo II – dal recitare il mea culpa ove occorra, e dal ricominciare da capo dopo bufere sconvolgenti e dispersione del gregge.
«Lo sappiamo. A motivo della sua componente umana, la Chiesa non fu sempre pari agli imperativi del Libro, alla santità dell’Altare, alla dignità delle membra doloranti del corpo mistico di Cristo. Tuttavia, nonostante limiti, pregiudizi e deviazioni che talora soffocarono il messaggio, imprigionandolo dentro schemi meschini, la Chiesa ha compiuto decisamente il balzo in avanti “verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze in corrispondenza più perfetta all’autentica dottrina”, auspicato da Giovanni XXIII nel Discorso di apertura del Concilio Vaticano II (DMC IV, 585).
«Nel suo ministero di prete bergamasco e di papa romano, Angelo Giuseppe Roncalli ebbe in cima ai suoi pensieri il regno di Dio, “che significa ed è in realtà la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica, quale Gesù, il Verbo di Dio fatto uomo, l’ha fondata, da venti secoli la conserva, come oggi ancora la vivifica della sua presenza e della sua grazia, sempre in atto di rinnovare per essa gli antichi prodigi che durante le successive età, talora aspre e difficili, la trassero di balza in balza, di valico in valico, a moltiplicare le vittorie dello Spirito. Vittorie della verità sull’errore, del bene sul male, dell’amore e della pace sulle divisioni e sui contrasti” (Giovanni XXIII, 11 set. 1962).
«I Sommi Pontefici del secolo XX, in sempre più stretta comunione coi Vescovi, hanno operato eroicamente perché la Chiesa apparisse al cospetto delle nazioni “sine macula et sine ruga”, bella e giovane (Efesini 5, 27).
«Ben sicuro, c’è ancora molta strada da percorrere. L’hanno ripetuto Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I. Lo declama senza posa Giovanni Paolo II.
«“La mia giornata terrena finisce, ma il Cristo vive e la Chiesa ne continua la presenza nel tempo e nello spazio”, ammonì Papa Giovanni sul letto della sua agonia, esortandoci a mettere da parte diatribe e contrapposizioni, ad evitare facili processi sulla fragilità umana, a non accusarci scambievolmente di immobilismo o di progressismo.
«“Alla presenza dei miei collaboratori mi viene spontaneo ripetere l’atto di fede. Così sta bene tra noi sacerdoti, perché noi a beneficio del mondo intero trattiamo gli affari più alti, ispirandoci alla volontà del Signore. Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica. Le circostanze odierne, le esigenze degli ultimi cinquant’anni, l’approfondimento dottrinale ci hanno condotto dinanzi a realtà nuove, come dissi nel discorso di apertura del Concilio. Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio. Chi è vissuto più a lungo e si è trovato agli inizi del secolo in faccia ai compiti nuovi di un’attività sociale che investe tutto l’uomo; chi è stato, come io fui, vent’anni in Oriente, otto in Francia ed ha potuto confrontare culture e tradizioni diverse, sa che è giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di coglierne le opportunità e guardare lontano” (24 maggio 1963).
«Caro Gianfranco. Nel suo dattiloscritto leggo nomi di persone e di luoghi, di istituzioni culturali e caritative, di eventi lieti e tristi. Anche là dove le è sembrato di dover rilevare involuzioni e miopie, era presente la grazia misteriosa del Signore.
«Sono sacerdote da 61 anni, vescovo da 34. Tra i ricordi più soavi del mio lungo servizio annovero incontri e amicizie con donne e uomini della Sardegna, a Venezia e a Roma, in Abruzzo e nelle Marche, ed anche quassù tra le mie Suore delle Poverelle e i miei cari Amici del Pontificio Istituto per le Missioni Estere.
«Mi consenta di citare espressamente mons. Giuseppe Littarru e la sua nipote Ernestina, i quali, sul tramonto della loro giornata terrena, mi apparvero angeli dell’altare, adoratori del Sacramento, testimoni di povertà, di obbedienza, di bontà. E lei sa che la nostra Chiesa con questo e non con altro si edifica; con questo patrimonio coopera alla redenzione del mondo, alla ricomposizione dell’unità dei cristiani, al colloquio con le religioni e con tutti gli uomini e donne di buon volere.
«Dai cieli altissimi, il mite Papa Giovanni, associato a Nostra Signora di Bonaria e agli Angeli protettori della Sardegna, ripete a quanti condividono la passione delle anime, il rispetto del passato, la pazienza nel presente, la fiducia dell’avvenire:
«Gli occhi di carne vedono il chicco di grano che marcisce; gli occhi della Speranza vedono la spiga indorata dal Sole.
«Con fraterno amore trasmetto a lei e ai lettori del volume questa riflessione, nella certezza che ci sentiremo stimolati a far onore al nostro nome di cristiani cattolici e di italiani, sulla scia dei nostri Maggiori.
«Ora nel congedarmi ho come l’impressione di sentirmi avvolto dallo sguardo e dal sorriso di Papa Giovanni:
«-Santo Padre, siete contento della testimonianza resavi da Gianfranco Murtas?
«- “Quumpluranitent, non ego quidempaucisoffendarmaculis” (Orazio, Ad Pisonem 351352). Quando il più e il meglio della esposizione è buono, non sarò io a sottolineare eventuali imprecisioni e qualche smagliatura sopra le righe. L’intento è stato ottimo. Il complesso splende ed invita a lodare Iddio, sempre mirabile nei santi suoi. –
«Sotto il Monte Giovanni XXIII, 16 luglio 2001
«Madonna del Carmine
«+ Loris Francesco Capovilla arcivescovo di Mesembria in Bulgaria titolo appartenuto ad Ang. Gius. Roncalli negli anni 1934-1953».