E’ morto don Gianni Spiga, vicario episcopale e prete buono di Gianfranco Murtas
La Chiesa di Cagliari ha perduto uno dei suoi uomini di maggior esperienza di vita e di ministero: asseminese classe 1933, consultore diocesano e, dal settembre 2012 – dal tempo delle prime nomine del nuovo arcivescovo Miglio – pro-vicario generale con delega al clero anziano e ammalato. Dal 1999 al 2006 era stato vicario generale dell’archidiocesi, promosso dall’arcivescovo Alberti e confermato nel 2003 dal suo successore Giuseppe Mani. La promozione episcopale di don Mosè Marcia, nel 2006, con il rango di ausiliare, aveva per automatismo trasferito a quest’ultimo l’effettiva funzione vicaria, e don Gianni aveva comunque continuato a svolgere quel lavoro in curia, in buona armonia con il collega destinato a sua volta a succedere nel 2011 a don Pietro Meloni nella guida della Chiesa nuorese.
Don Gianni era un collaborativo nato, con un senso della disciplina come forse soltanto i preti di un tempo (o i migliori di quelle generazioni) avevano, e lavorò efficacemente, e lealmente, con tutti i suoi superiori.
Lo avevo ricordato in un articolo uscito su “Chorus” – la bella rivista condiretta da Alberto Lecis e Paolo Matta per lunghi anni – in un articolo del 2007, quando si trattò di dare onore – almeno l’onore della memoria e della citazione – ai presbiteri più anziani della Chiesa cagliaritana: si andava allora per i settant’anni di ministero di don Salvatore Lecca, classe 1912, per i sessanta di don Mario Pisano, per i cinquanta di don Ninetto Vacca, vescovo emerito di Alghero e Bosa (nativo di Quartu S. Elena) ed anche di don Mario Burranca da Villasalto, don Giandomenico Fais da Cagliari, don Nino Onnis da Samassi, don Gesuino Paschina da Villamar, don Eugenio Porcu da Serrenti e, appunto, don Gianni Spiga.
L’avevo ricordato, ordinato dall’arcivescovo Botto nella parrocchia del suo battesimo, quella antica, bellissima, di San Pietro in Assemini, affidata allora, da qualche mese soltanto, a don Callisto Pili, con don Beniamino Palmas a supporto. Era l’11 agosto 1957. Aveva studiato, don Gianni, al pari degli altri, al seminario regionale di Cuglieri, nel quale la diocesi di Cagliari era forte allora d’una cinquantina di studenti, fra il triennio liceale, l’anno di filosofia ed il quadriennio (per qualcuno quinquennio) di teologia.
Monsignor Botto gli fece fare pratica a ritmo intenso: come vice parroco – in tempi in cui ancora esistevano i vice parroci, impegnati più spesso nella pastorale giovanile – lo mandò per un anno fu a Nuraminis (San Pietro apostolo), per quattro a Serramanna (San Leonardo), per altri due a Quartucciu (San Giorgio martire); nel 1964 gli riconobbe i meriti maturati sul campo e gli conferì l’incarico di parroco della comunità di Nostra Signora del Rosario in Domusdemaria, e furono altri otto anni. Più stabile, e anche più impegnativa, la permanenza a Sestu (un altro San Giorgio martire!), dal 1972 al 1988. Così passarono i primi trent’anni di sacerdozio, collaboratore territoriale, dopo che di monsignor Botto, anche dei successori Sebastiano Baggio, Giuseppe Bonfiglioli e Giovanni Canestri.
Arrivato a Cagliari monsignor Alberti, egli fu trasferito per un quinquennio circa ad Elmas (San Sebastiano martire) e dal 1993, per sei anni, alla popolosa parrocchia cagliaritana della Beata Vergine del Rimedio, vale a dire a San Lucifero. Qui succedeva a don Ninetto Vacca, chiamato all’episcopato ed a reggere le diocesi unite di Alghero e Bosa.
Altro giro. Perduto l’ausiliare assegnato ad Iglesias – era don Tarcisio Pillolla inviato a succedere a don Arrigo Miglio in rientro nella sua Ivrea! – l’arcivescovo Alberti lo volle, come già accennato, suo vicario generale: ufficio nel quale venne confermato dall’arcivescovo Mani che lo ebbe anche suo convisitatore nella Visita pastorale per tutte le parrocchie della diocesi protrattasi addirittura un biennio.
Dal 2005 fu nominato anche canonico del capitolo metropolitano e qui poi successe, come decano (presidente), al collega Giandomenico Fais deceduto nella primavera 2013.
Fra gli altri incarichi ricoperti da don Spiga merita ricordare anche quello, svolto per qualche anno, di prelato protettore dell’arciconfraternita di Sant’Efisio. Più di recente era stato incaricato della temporanea surroga del parroco della cattedrale di Cagliari, all’interno di una opaca vicenda clericale più che ecclesiale, sulla quale ancora si attende una parola di doverosa chiarezza da parte dei responsabili della Chiesa locale.
Di un prete di un così lungo corso meriterebbe di dire molto di più, entrando nello specifico di ciascuna delle missioni a lui attribuite e da lui assolte, per unanime riconoscimento, con equilibrio e bontà. Ricorderei però in generale la funzione di “cuscinetto” – per quanto gli fu possibile così attivarsi e mostrarsi – fra il clero diocesano e l’ordinario degli anni fra il 2003 e il 2012, Giuseppe Mani cioè. Per quanto io conosca l’ambiente (anche per pluridecennali amicizie confidenziali con numerosi preti – sempre di meno, purtroppo, per algide cancellazioni di natura), i rapporti dell’arcivescovo oggi emerito con il presbiterio “maturo” ebbero in ripetute occasioni necessità di un accompagnamento di cordialità, e prima ancora di educazione, che don Spiga seppe spiegare. Forse questo non avvenne a Sant’Eulalia, al tempo della sgradevole, immotivata, arrabbiata rimozione di don Mario Cugusi. Anche don Spiga dovette soggiacere, in quella tarda estate del 2010, all’arroganza imperiale di chi impose sé e non la carità apostolica al fare della comunità della Marina…
Desidero adesso qui portare una rapida conclusiva testimonianza personale sulla signorilità di don Gianni Spiga. Il 27 settembre 2000 – anno giubilare – venne a trovarmi a casa accompagnato da don Mosè Marcia, al tempo economo diocesano. Venne in funzione mediatrice fra l’arcivescovo Alberti e me, che contestavo svariati atti del governo pastorale del presule (a cominciare dalla mancata rendicontazione del cospicuo 8 per mille devoluto alla diocesi di Cagliari, nell’ordine dei due miliardi e mezzo all’anno). Pensava di incontrare un supponente o sfrontato guerrafondaio, capì subito che così non era; conversammo per un’ora piena lasciandoci soltanto quando vennero a prendermi dalla comunità di Campu’e Luas per la celebrazione/festa di famiglia ispirata da San Vincenzo. Fu un incontro per me edificante, mi consegnò infine una lettera dell’arcivescovo e da lì, auspice anche il mio amico e maestro caro e sempre rimpianto Efisio Spettu, s’avviò un recupero, in amicizia, del rapporto con don Ottorino, il che durò per tutta la vita di quest’ultimo, fra Cagliari e Nuoro, con mille episodi di squisitezza sacerdotale e affettuosità da parte sua. Ricordo quindi don Gianni come uomo di pace.