L’Europa non venda la sua anima, di Angelo Panebianco

La guerra si combatte sul fronte militare in Medio oriente e su quello interno: per vincere l’estremismo dovremo fare delle concessioni alle comunità dei seguaci di Allah più ragionevoli. Dobbiamo sapere fino che punto possiamo andare loro incontro.

Quale prezzo dovrà pagare l’Europa, quali concessioni dovrà fare alle comunità musulmane che risiedono nei suoi territori per ottenere che esse si impegnino a contrastare le vaste aree (così risulta dai sondaggi) di simpatizzanti e sostenitori dell’estremismo islamico presenti al loro interno? La guerra santa viene combattuta su due scacchieri distinti ma interdipendenti: il Grande Medio Oriente (dal Pakistan alla penisola arabica, a una parte dell’Africa) e l’Europa. Il primo scacchiere corrisponde al dar al-islam (la dimora dell’islam), ossia i territori a maggioranza musulmana. Qui le minoranze cristiane (come in Pakistan) sono oggetto di attacchi continui perché considerate filiazioni dell’odiato Occidente, ma il principale bersaglio della guerra santa sono altri musulmani. Il secondo scacchiere è l’Europa (ex) cristiana, il dar al-harb (la dimora della guerra), dove vivono gli infedeli e dove l’islam è minoranza.

Naturalmente, ciò che accadrà nel primo scacchiere influenzerà ciò che accadrà nel secondo. Se, ad esempio, lo Stato islamico subirà brucianti sconfitte militari, gli entusiasmi che oggi suscita in molti giovani musulmani europei, col tempo si smorzeranno. Ma non si creda che ciò sia semplice da ottenere. Non si tratta di una questione risolvibile solo sul piano militare. Si pensi al fatto che se si vorranno stabilizzare politicamente le zone ove è nato e si è sviluppato lo Stato islamico non si potrà tornare alla situazione precedente Alla sconfitta militare dello Stato islamico dovrà accompagnarsi una conferenza di pace, presenti tutte le potenze interessate, che dia vita, sulle ceneri del vecchio Iraq e della vecchia Siria, a nuove organizzazioni statali (rispettivamente dei sunniti, degli sciiti e dei curdi) e a nuovi confini. E sapendo comunque che nella futura carta geopolitica del Medio Oriente, se si formeranno, come è probabile, Stati mono-religiosi o mono-etnici, non ci sarà spazio, purtroppo, per altre minoranze, cristiani in testa. L’Europa dovrà allora accoglierli con la necessaria generosità.

Ma anche se questa complicatissima operazione riuscisse è evidente che non basterebbe per mettere in sicurezza l’Europa. Ciò potrebbe accadere solo se venissero avviate trattative con i rappresentanti della seconda religione di diversi Paesi europei per numero di adepti, l’islam appunto. Perché solo le comunità musulmane possiedono le risorse culturali per riportare alla ragione tutti quei giovani (ma non solo) che oggi simpatizzano per l’estremismo. Ma poiché nessuno fa niente per niente, il problema diventerà: quali concessioni verranno fatte dai governi europei in cambio dell’aiuto richiesto? Non è difficile immaginare che natura e entità di quelle concessioni avranno una grande influenza sul futuro dell’Europa.

Gli europei sono soliti nascondere la propria inerzia e la propria impotenza dietro a una cortina fumogena fatta di bolsa retorica e di parole vuote, del tipo (una delle preferite) «difenderemo i nostri valori e i nostri principi». Il bello (o il brutto) è che questi valori e principi vengono spesso lasciati nel vago: di quali valori e principi si parla? Il punto non è affatto irrilevante. Soprattutto se si andrà (e ci si andrà senz’altro) a negoziazioni, aperte o tacite, con le comunità musulmane europee. Fra questi «valori» c’è per caso la laicità, a sua volta fondata sulla capacità di distinguere fra il sacro e il profano, fra il regno di Dio e il regno di Cesare? E, ancora, fra questi valori c’è per caso l’uguaglianza giuridica fra gli individui a prescindere da sesso, religione o altro? E c’è, infine, per caso, il principio della libertà individuale? Perché se è così, allora bisogna sapere che quando si andrà a trattare con le comunità musulmane per ottenere il loro appoggio, i suddetti valori e principi dovranno essere difesi con particolare accanimento. Occorrerà pronunciare degli inequivocabili «no» di fronte alle eventuali richieste, se non di sospendere, quanto meno di attenuare la validità e l’applicabilità di tali principi in presenza di cittadini musulmani.

Sembra facile ma non lo è. Soprattutto perché le società europee sono divise e, per questo, non daranno un sostegno compatto, sincero e coerente ai governi impegnati in queste cruciali negoziazioni. Uno dei fatti più singolari della storia recente è l’alleanza che si è stabilita fra certi settori della società europea (con parecchi intellettuali al seguito) che questa società, in sostanza, detestano e la parte più reazionaria, chiusa alla modernità, del mondo islamico. I nemici europei della società liberale hanno trovato in quella parte un alleato. Sono quelli che «è sempre colpa dell’Occidente». Quelli che «Salman Rushdie, l’autore dei Versetti satanici, si meritò la condanna a morte, la fatwa di Khomeini del 1989». Quelli che qualunque intellettuale di origine musulmana denunci i difetti dell’islam è uno spregevole e pericoloso «islamofobo». Eccetera, eccetera. È evidente che la folta presenza di questi «compagni di strada» dell’islamismo indebolirà le capacità negoziali degli europei.

Quali «patti» verranno siglati? Quali alla luce del sole e quali sottobanco? La parte più insidiosa di qualunque patto sta nei suoi effetti differiti, nel fatto che le conseguenze sociali, politiche, economiche, culturali, del patto stesso si vedranno solo molto tempo dopo, probabilmente molti anni dopo. Riuscirà l’Europa ad ottenere l’appoggio delle comunità musulmane contro il terrorismo e l’estremismo in genere senza vendersi l’anima? Servirebbe a tutti (anche ai musulmani) se laicità, libertà individuale, uguaglianza di fronte alla legge, non risultassero infine formule vuote e retoriche ma principi non negoziabili.

1 aprile 2016 (modifica il 1 aprile 2016 | 20:02)

 

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