Che si fa con il ‘governo nemico’?, di Salvatore Cubeddu
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA: “….. Se, per tre giorni di seguito, riportiamo le prese di posizione della leadership del ‘partito dei sardi’ ci sono tre motivi: dicono cose che condividiamo, le dicono bene, dicono anche altre cose che bisogna mettere in discussione”.
Gli articoli politici, normalmente, questo sito li scrive in proprio. Se, per tre giorni di seguito, riportiamo le prese di posizione della leadership del ‘partito dei sardi’ ci sono tre motivi: dicono cose che condividiamo, le dicono bene, dicono anche altre cose che bisogna mettere in discussione.
I concetti che legano la libertà dei popoli alla loro prosperità, insieme al concetto del ‘governare la Sardegna come uno Stato” arrivano, applicati alla Sardegna, il primo da un seguace di Aristotele (IV secolo a. C.), il secondo da un saggio di Vindice Ribichesu pubblicato ne ‘L’ora dei Sardi’ (1998) e disponibile nelle ‘pubblicazioni’ di questo sito. Le idee sono lì, a disposizione di tutti, possono rimanervi secoli o decenni, ma procedono e possono realizzarsi solo se uomini generosi e validi le mettono in azione. Non a caso il sardismo nasce ‘d’azione.
I due leaders del partito dei sardi ci stanno dicendo che, se avessero loro la delega (comunque il potere) nel gestire ‘pieghe’ presenti tra le attuali leggi di questo Stato italiano, oppure, evidentemente meglio, il popolo affidasse a loro il potere sulla Sardegna, sarebbero più capaci di difendere i nostri interessi e di realizzare i nostri obiettivi di quanto non ci sia ora permesso. Un presente di limitazioni ed inganni, rappresentato dai nostri con un’efficacia sconcertante. E sono convinzioni che accomunano tutto il segmento di posizioni che va dall’attuale autonomismo similfusionista-all’indipendentismo più ferocemente separatista.
La vera novità è che lo dice e lo scrive un assessore ‘attualmente regnante’, dopo due anni di autorevole presenza al governo con Pigliaru, con precedenti che possono distorcere (e l’hanno subito prodotto) obiettivi e senso delle sue parole.
Certo, potremmo equivocare, quel ‘noi’ potrebbe riferirsi a “noi sardi”, quindi ad un Pigliaru che fa meno ‘l’italiano’ e finalmente ‘il sardo’; ma, controllando il testo, non pare così: “Mi diano una legge speciale con poteri commissariali per la Gallura, La Maddalena e le zone alluvionate, loro non ci mettano neanche un euro, e io sono sicuro di mettere tutto a posto con i nostri soldi e con capitali privati chiamati a gare pulite, trasparenti, ma rapide e efficienti. Provare per credere”. E perché – più d’uno ha pensato – non farlo anche ‘commissario su tutto e per tutta la Sardegna?”. Gli antichi romani lo facevano nelle situazioni drammatiche, con il ‘dictator’; e quale situazione più drammatica della nostra? Ma si trattava di ‘Annibale alle porte’, in situazioni di guerra. E la durata era limitata ai sei mesi.
Abbiamo capito bene: Paolo parlava del suo attuale settore, i lavori pubblici, e usava una figura retorica in un momento di esasperazione per il susseguirsi di ‘danni ed offese’ che quei cialtroni (lui, però, non lo scrive così) di italiani arrecano da decenni (andiamo sui tre secoli…nella modernità, perché poi bisognerebbe….) ai sardi. E anche su questo siamo d’accordo.
Dunque: la vera novità non è il nervosismo per la vicinanza del giro di boa di metà legislatura, ma l’interrogativo che l’Assessore Maninchedda ed il suo partito pongono attualmente alla Giunta regionale cui partecipano e alla maggioranza che li sostiene in Consiglio: cosa dite degli schiaffi che continuate a prendere dai vostri amici al governo in Italia? E agli autonomisti/sovranisti/indipendentisti: fino a quando sarete disponibili ad accettare il grigio governare che andate sostenendo? Ancora ed inevitabile, dovrebbe porsi il problema politico che cava gli occhi a tutti i Sardi: cosa state combinando? Dove volete andare? Altro che verifica di giunta, è tutta la linea del presente e del futuro della Sardegna che non vediamo leggersi e prospettarsi da parte di chi ci governa!
Secondo punto: tutte queste cose Paolo e Franciscu le dicono bene, frizzante il primo, pianamente dialogico il ragionare del secondo. E’ gradevole e fa piacere concordare con idee ben scritte.
Qualche importante osservazione, in ultimo: tra le richieste senza risposta che Maninchedda rimprovera al Governo ci sono alcuni segni della nostra subordinazione. L’economia sarda non può avere interesse alla ripartenza dell’Alcoa senza la certezza delle seconde e terze lavorazioni a valle del primario dell’alluminio, sempre richieste in più di 40 anni e mai ottenute… quando il sindacato in quella fabbrica era forte e quella linea era scritta nelle leggi dello Stato 588/1962 e 269/1974!. Il problema principale delle zone industriali resta oggi il totale risanamento ambientale che, applicato all’Eurallumina, comporta che vada smobilitata ed il sito risanato, togliendo dall’assistenza i suoi operai per impegnarli nelle bonifiche. Quei territori vanno riportati il più vicino possibile allo status quo ante, a come erano prima, e a questo dovrebbero servire i lavoratori fino all’arrivo della pensione. I cardi e le canne che servirebbero alla cosiddetta chimica verde distruggerebbero le nostre poche pianure, quelle che ci possono permettere un differente futuro agricolo: neanche se ne dovrebbe più accennare! La presenza della Glencore nella Portovesme srl va già criticamente verificata nel suo principale ruolo di riciclo e di sotterramento delle scorie delle acciaierie di tutta l’Europa. Lo stesso approccio va mantenuto per Ottana.
L’unica industria che ci è conveniente è quella legata all’agricoltura, all’ambiente e alle nuove tecnologie. E’ la linea per la quale si batterono i sindacati metalmeccanici nel corso dello chok petrolchimico della fine degli anni settanta, quella che si sarebbe dovuta praticare nei quarant’anni che ci separano da quella vicenda.
Ciononostante, il ragionamento di Maninchedda regge. Tutti (quasi) i presidenti della Regione hanno subito le continue umiliazioni, non dico dei governi, ma persino da parte di funzionari ministeriali italiani. La loro colpa è semmai quella di aver tollerato questo stato di cose, di averlo nascosto alla pubblica opinione, per amor di partito (italiano), per sfiducia nel proprio popolo, per continuare a governare, per non assumersi la responsabilità delle conseguenze. Fino a quando?
E’ bene, una volta tanto, fare chiarezza, continuare a parlarne. Per agire.
By Benedetto Sechi, 3 aprile 2016 @ 08:26
Ha ragione Salvatore Cubeddu, all’analisi condivisa e condivisibile o segue un’azione positiva della società sarda: partiti, movimenti, associazioni sindacali ed imprenditoriali, oppure siamo alle solite, si predica bene e si razzola male. la Sardegna deve comprendere quali siano le “SUE” convenienze, oppure è destinata al sottosviluppo. Progetti il suo futuro, non con lo stantio rivendicazionismo che ha caratterizzato più stagioni dell’autonomismo, ma mettendo al centro le sue potenzialità, di avanguardia europea nel Mediterraneo, valorizzando le economie turistiche, del mare, dell’agroalimentare, della cultura, Ajò!