La passione e s’iscravamentu, prima della resurrezione. La predica sacra, e sarda, di don Tonino Cabizzosu, di Gianfranco Murtas
Presentazione della Passione de Zesu Cristu secundu Zuanne, in limba sarda, di don Tonino Cabizzosu.
Il Cristo crocifisso e, dall’altra parte, sua madre: nei triboli del Calvario e dopo, a s’Incontru, nella Pasqua. Ma anche prima, e nel molto prima, nella preparazione alla missione cioè: dalla discesa, in un solo corpo, da Nazareth a Betlemme, alla nascita in qualche spazio buio e di fortuna, certamente in periferia, dominio di pastori più che di mercanti…, dalla presentazione al Tempio e dalla “purificazione”, nel quarantesimo giorno, all’impresa sorprendente che anticipava, dodici anni dopo, lo status nuovo di bar mitzvah, o della prima maturità etico-rituale, fra la quotidianità della Galilea e la pratica obbligata di Gerusalemme, nel montagnoso sud della Palestina giudea. Fino ai mille giorni della predicazione, delle chiamate apostoliche, delle dritte sui fondamentali – le beatitudini –, delle lacrime per Lazzaro morto, dei miracoli di pietà e dimostrativi, delle attese definitive, con la madre che sorvegliava discreta, fiduciosa, da Cana in poi, e lasciava compiere tutto secondo i piani, facendosi chiesa nei giorni tremendi – quelli dell’arresto e della condanna – , e in quelli successivi, fino alla domenica della pietra rimossa nel sepolcro, fino alla leadership carismatica che qualche esegeta affaccia nella probabilità, pur senza conferme documentali. Fino al maturare del quarantesimo giorno – un altro quarantesimo giorno – ed al congedo, press’a poco da Betania alla volta del cielo, tutto fascino e sorpresa un’altra volta.
Nell’arte del mio grande amico e maestro Franco d’Aspro – maestro d’arte, che nell’arte materializzava la propria sensibilità religiosa perfettamente sposata al suo umanesimo della ricerca, al suo pensiero libero (e libero pensiero) – i soggetti gesuani e mariani coprono il più delle sue produzioni religiose. E qualcuno se ne è sorpreso, io credo senza vera ragione. Perché l’umanità di Gesù e di sua madre è nel nostro stesso vocabolario, nel vocabolario universale, o chiamalo trasversale, per cui non ci può essere, nella nostra cultura filosofica e tradizionale, pur liberale e laica, estraneità possibile rispetto a quel riferimento celebrato dalla musica e dalla pittura o dal disegno, dai corali e dalla poesia, dalla scultura (quale che sia il materiale, mettici anche il filo come l’oro) e dalla drammaturgia, dalla letteratura e dalla danza, dal cinema e perfino dal fumetto… E mettici, arte fra le arti, la Sardegna.
L’arte religiosa di Franco d’Aspro, la poesia di don Tonino Bello
Ho in casa alcuni di questi soggetti di Franco d’Aspro, e con il Cristo di Buchenwald – un bronzo pieno di oltre due metri espressione di tutte le tragedie del mondo – ed a diverse altre rappresentazioni plastiche o pittoriche, anche un crocifisso nuragico, lavorato secondo le tecniche produttive degli avi nostri che fondevano i bronzi celebrando la religione e l’economia, magari la guerra e la difesa e l’amore. Sono immerso quotidianamente perciò, negli stessi spazi domestici, fra le suggestioni o provocazioni che chiamano l’esistenza pratica al confronto con l’esistenza del sopra-piano, quella morale e del dovere. Ed il crocifisso con l’impellenza riparatoria di s’Icravamentu – di lato allo sguardo registico di Maria così come la racconta don Tonino Bello, umana e necessaria, sciolta dalle banali svenevolezze inventate dai preti ripetitivi e talvolta mestieranti – è guida e orientamento verso il giusto, quale che sia il campo applicativo.
S’iscravamentu. Curato dalla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, don Tonino Cabizzosu ha dato alla stampe un piccolo gioiello che, giuntomi quest’oggi stesso come dono pasquale, mi ha riportato a questi pensieri. Passione de Zesu Cristu secundu Zuanne in limba sarda goceanina. Prefato da Antoni Canalis, che tanti meriti ha nella cultura della lingua sarda in quel di Ozieri, ed arricchito da diverse istantanee di quella meraviglia che è il Crocifisso “di Nicodemo”, rimontante al XV secolo e custodito e venerato nella chiesa oristanese di San Francesco, il libro raccoglie il testo della predica di passione che don Cabizzosu ha portato negli anni – dal 1993 ad 2016 (il prossimo 25 marzo nella cattedrale di Ozieri, oltreché nella basilica parrocchiale di Ardara) – ormai diciassette volte a Bottida e Lotzorai, a Buddusò e Nule, a Monti e Senis, a Benetutti e Narbolia, ad Abbasanta e Olbia, a Illorai anche, paese nativo, coprendo così diverse diocesi: Ozieri e Lanusei, Oristano e Tempio Pausania.
Non ho io, evidentemente, alcuna competenza per trattare il merito linguistico dell’opera, che intuitivamente avverto essere notevole, e neppure il merito esegetico, del quale comunque fa garanzia il nome dell’autore. Mi resta soltanto la possibilità della segnalazione e dell’elogio pubblico a un presbitero che ha saputo fare comunità, condividendo il pane della sua scienza, in qualsiasi campo abbia operato, come per quasi vent’anni è stato nell’Archivio storico diocesano di Cagliari, e per maggior tempo, e ancora, nella facoltà del Sacro Cuore. Ed ancora oggi, nell’ufficio dei beni culturali della diocesi di Ozieri, di fianco al suo santuario basilicale di Santa Maria del Regno in Ardara.
In lingua sarda, variante logudorese, sub-variante goceanina
Mi tocca l’incipit, perché si tratta dei versi della 119.a «istrofa de su rettore de Posada», quel Melchiorre Dore autore di Sa Gerusalemme Vittoriosa e zio e mentore del grande nostro Giorgio Asproni. Il che già subito mi riporta a quella universalità del sentire, capace di superare le dottrine fatte, e mi riporta anche all’esperienza (umana e cristiana, direi anche ecclesiale) del canonico Tommaso Muzzetto così caro a Cabizzosu, il canonico vicario capitolare tempiese che mostrò all’Ottocento clericale sardo e nazionale la profezia di una Chiesa liberata, per scelta autonoma ed evangelica, dal potere temporale…
In quindici alinee l’autore introduce l’assemblea dei suoi, radunata nelle navate ideali delle chiese, all’ascolto della cronaca di passione com’è stato reso da Giovanni apostolo ed evangelista, testimone e continuatore. Con Melchiorre Dore, don Cabizzosu richiama gli altri autori, o alcuni di essi, che nei secoli si sono impiegati, «cun sufferta cumpartecipatzione», nella stesura della sacra narrazione in versi di lingua sarda: da Juanne Delogu Ibba de Biddanoa Monteleone, ad Antoni Maria da Esterzili, da Juanne Battista Madeddu de Tadasuni a Frantziscu Carboni de Bunnanaru, all’indimenticato (e particolarmente caro a molti di noi) Pedru Casu de ‘Elchidda.
«Su popolu sardu, “poveru de pane, non de coro” comente at cantadu su poeta elchiddesu, vittima de sos potentes e de sos prepotentes in tottu s’istoria sua, s’ischidi immedesimare in sos suffrimentos de sos atteros, e pius de tottu in cussos de Zesu Cristu».
Il racconto evangelico è ripreso in tutti i suoi drammatici passaggi, fino all’innalzamento della croce, sulla croce: «Truncan sas ancas a sos duos ladrones; a Zesus, imbetzes, unu sordadu lu at fertu cun d’una lantzia e l’aberit su costazu, da inue essit sàmbene e abba. S’Iscrittura narat: “Non li an segadu perunu ossu”».
Segue «Su testamentu spirituale: sas urtimas sette paraulas». Protagonisti Maria madre di Gesù, Maria madre di Cleofa e sorella della madre di Gesù, Maria di Magdala, e Zuanne «su discipulu pius istimadu».
Le parole (a Maria di Nazareth ed a Giovanni): «Femina, mi’ a fizu tou», «Mi’ sa mama tua»; a tutti: «Appo sidis»; al Padre: «Deus meu, Deus meu, proite m’as abbandonadu?»; al ladrone: «Oe’ ettottu tue as a essere cun megus in su chelu»; al Padre: «O Babbu soberanu, perdonalos, ca non ischin su chi ana fattu»; ancora al Padre: «O Babbu Mannu in manos tuas ponzo s’ispiritu meu!»; a tutti ed a se stesso: «Tottu est cumpridu».
A tutto questo segue la guida a s’Iscravamentu. Si comincia con l’invito alla partecipazione popolare («Caru populu, isco chi in su coro tou s’agattan sentidos nobiles, chi a dainanti a sas sufferentzias ti cummoves e ses solidale»): «Enide a dainanti e, cun cuidadu, sighide sos ordines mios».
Entrano gli attori, si procede con il pietoso recupero: «Zuseppe de Arimatea e Nicodemu», «Conca», «Manu destra», «Manu manca», «Pes», «Presentade su corpus de Cristos a sa zente», «Presentade su Fizu a sa Mama»: «Dae Cana a su Golgota, Maria de Nazareth, cun s’amore e cun sa presentzia sua, at pius suffertu chi non gosadu, pius prantu chi non esultadu de fronte a s’ingratitudine de s’omine. Como chi est mortu, lu pranghede cun d’unu prantu isconsoladu: e custa sufferentzia intima at a durare tre dies, fintzas a sa dominiga manzanu, cando at a resuscitare dae sa morte…
«O mamas chi m’ascurtades, Maria est unu modellu pro onzuna de ois. Su compitu ‘ostru est de essere educadoras: non trascuredas mai custa missione…».
Concludono il rito le invocazioni «a cust’omine mortu in rughe pro amore nostru»: «salvesa eterna pro tuttu s’umanidade… paghe, salude, triballu e generosidade, pro amare a Deus e a frades nostros».