Antonio Pennacchi e Arborea, fra visite fatte e visite promesse, di Alberto Medda Costella
«Questo Giacone era un prefetto fascista, e non nel senso che tutti gli altri non lo fossero. Tutti – con le buone o con le cattive – erano fascisti oramai in Italia; pure il re, i vescovi, i preti, le monache e mio zio Dolfin. Figuriamoci i prefetti. Che però normalmente venivano dalla carriera statale. Il duce invece a un certo punto ne nominò d’autorità alcuni che venivano dal fascio e basta – fuori carriera – e fra questi c’era il fascistissimo Giacone, magnifico prefetto. Prima di venire a Littoria nel 1936 era stato a Rovigo e lì – quando ci fu la prima emigrazione di contadini veneti in Sardegna, per le bonifiche della piana di Terralba – fu lui che trovò i soldi ed impose la fondazione e la costruzione, per i suoi rovigotti che emigravano, di un villaggio che poi divenne, nel 1928, Mussolinia di Sardegna, oggi Arborea»[1].
A scrivere è Antonio Pennacchi,vincitore del Premio Strega nel 2010 con “Canale Mussolini”. Si tratta di un estratto del suo ultimo lavoro, il seguito del romanzo che lo ha consacrato al grande pubblico. Non è la prima volta che lo scrittore pontino parla di Arborea. L’aveva fatto anche nel primo, quando, nel decantare le gesta dello zio Adelchi in Abissinia, tirò in ballo il capo della milizia locale, Camillo Hindart Barany, l’ebreo fascista bonificatore a Littoria e Mussolinia.
«Leggiti questo libro. Parla di un ragazzo di Latina, con madre veneta e padre umbro» mi disse mio fratello, circa dieci anni fa. Il ragazzo in questione era Accio Benassi, protagonista de “Il fasciocomunista”.
È un’opera narrativa in gran parte autobiografica, che ha ispirato il film di Daniele Lucchetti “Mio fratello è figlio unico”, con Elio Germano, Riccardo Scamarcio e Luca Zingaretti (quello del “Montalbano sono”), pellicola poi in parte disconosciuta dallo stesso Pennacchi.
Prima di quel romanzo e dopo aver già pubblicato con Donzelli, questi era già stato ad Arborea. Fu nel 1999, lo stesso anno in cui aveva iniziato a curare una rubrica, “Viaggio per le città del duce”, per “Limes”, la rivista di geopolitica del gruppo “L’Espresso”. Se ne trova traccia in un opuscolo donato dallo stesso scrittore, con tanto di dedica, alla Biblioteca comunale. A confermarlo è lo stesso direttore Leonardo Mura che dice: “Era una mattina di dicembre e l’entrata della Biblioteca allora dava verso il mercato. Entrò un signore, che, con una leggera inflessione romana, si presentò ‘Piascere Antonio Pennacchi’ “. Di tratto cordiale e semplice. Allora la sorella Laura era sottosegretario di stato nel Governo Prodi, e, probabilmente, a chiunque, che segue con attenzione la politica, sarebbe sorta spontanea la domanda: «Ma lei è parente di…? ». Oggi avverrebbe il contrario, ma allora era così. È una ruota che gira. All’epoca, forse ancora dipendente della Fulgorcavi, Pennacchi si mostrò insofferente a rendere conto delle sue parentele. Era lì per avere qualche informazione sulla bonifica di Arborea e pare fosse cascato dalle nuvole – almeno queste sono le parole usate da Mura raggiunto telefonicamente –, quando venne a sapere che il risanamento idraulico e agrario di Mussolinia non era stata opera del fascismo. D’altronde, ancora oggi, molti arborensi credono che a compierlo sia stata la volontà del piccone risanatore. Ma così non fu e lo stesso Pennacchi l’ha poi scritto nei suoi lavori: ad Arborea «ci si erano messi gli elèttrici»[2].
E ovviamente lo ribadiva anche il suo amico Antonio Michele Angioni, con cui verosimilmente era entrato in contatto dopo aver visto la sua opera monumentale “Arborea… e l’Arboreino”, che «per il numero delle testimonianze, la quantità e qualità dei materiali, l’acribia delle ricostruzioni e delle argomentazioni, mette fuori gioco pure certi storici di professione», disse di lui Pennacchi nel 2009[3]. Erano amici per davvero. Si erano più volte scritti e sentiti per telefono, condividevano le stesse passioni, e «perfino gli stessi nemici», probabilmente gli accademici, che faticavano a riconoscere a entrambi i meriti dei loro sacrifici nella ricerca.
Antonio Pennacchi ed Arborea. Appena l’anno passato Stefano Orrù, un ragazzo della locale consulta giovanile, l’aveva chiamato per sondare la sua disponibilità a partecipare al festival di “Istòria”. Dati altri impegni ormai assunti, dovette rimandare a tempi migliori. E per l’eventuale soggiorno si era comunque raccomandato ad una prenotazione “in quella bella locanda vicino alla piazza”, con al centro l’alto simulacro di Maria Ausiliatrice, davanti alla parrocchiale con le statue di Don Bosco e Domenico Savio, che tanto gli hanno ricordato la Littoria rurale, cresciuta, non sotto i colpi del piccone risanatore, ma della pala e del cemento democristiano, che hanno fatto di Latina una “moderna” città.
Se ho riportato qualche inesattezza me ne scusino le persone interessate. Quanto a lei, caro Pennacchi, ci vediamo al Gallo Bianco, graditissimo ospite.
1 A. Pennacchi, Canale Mussolini. Parte seconda, Mondadori, Milano, 2015.
[2] A. Pennacchi, “Fascio e martello. Viaggio per le città del duce”, Roma-Bari, Laterza, 2008.
[3] A. Pennacchi, “Camillo Barany e il prefetto Giacone”, in Limes – A est di Berlino, 5/2009.