In un libro la storia del bisecolare Museo zoologico di Cagliari, di Gianfranco Murtas
Andrea Serra – l’autore di un libro prezioso e di gradevole lettura quale si presenta la recentissima Storia del Museo di Zoologia dell’Università di Cagliari – è un ottimo ricercatore, uno dei quei giovani “esploratori” del più che è ignoto, i quali collaborano con il nostro ateneo non rinunciando alla loro piena libertà nella scelta delle piste di studio e delle interpretazioni conclusive. Direi di più
: che mostrano, con padronanza della materia che soltanto l’umiltà dell’approccio consente, la necessità di compulsare una platea archivistica che però non esaurisce mai la riserva delle fonti, ma si estende ed indirizza la ricerca a ogni altra risorsa disponibile perché il soggetto trattato raggiunga, affascinandolo, il lettore di oggi (se va in libreria) e di domani (se andrà in biblioteca). Perché non è soltanto il supplemento bibliografico e dell’emeroteca – e qui sono 83 i titoli, in aggiunta alle 51 unità archivistiche – ma sono anche le immagini che arricchiscono l’opera: quelle storiche opportunamente inframmezzate al testo, agile e sciolto, ma sempre puntuale e puntato volta a volta sul protagonista, lo scenario ed il fatto, e quelle dell’attualità ereditata nell’esposizione museale sempre visitabile, in una appendice di 35 quadri fotografici che riprendono ora gli eroici attori (a cominciare da uno splendido avvoltoio monaco ed a concludere con uno statuario pinguino imperatore ed una paradisea minore dai sofisticati tratti tuttocoda) ora suggestivi diorami marini…
Fondato da Carlo Felice al tempo (1800) ancora viceré, che aveva recuperato una bella idea lanciata da Lodovico Baille ed aveva promosso l’allestimento nel palazzo che si farà reale al prossimo arrivo della corte sabauda (in conseguenza della straripante campagna napoleonica nel nord Italia a cominciare dalla Savoia e dal Piemonte), il museo – nato come gabinetto di storia naturale e antichità – ha vissuto una storia tribolata, fatta di trasferimenti continui, continui aggiustamenti ora allocativi ora puramente organizzativi o di statuto anche in rapporto alla sua iniziale associazione tanto al comparto puramente archeologico quanto, e perfino, al gabinetto anatomico dell’ateneo regio. E così ecco la sequenza delle sue ubicazioni: nella sede universitaria di Castello dal 1806 (per la donazione effettuata da Carlo Felice), nelle dispersioni fra siti diversi (dal municipio di via Roma negli anni della grande guerra – e dopo la sistemazione della parte archeologica a palazzo Vivanet –, a vari istituti scolastici fra cui le elementari di Santa Caterina, alla stazione biologica del canale di Terramaini, in zona di San Bartolomeo, che ancora resiste come l’isola Tiberina nel Tevere ), ecc.
Intrecci e separazioni dei vari corpi tipologici (e didattici, considerati anche i nessi con la facoltà di Medicina e il suo gabinetto di Anatomia, non soltanto con gli istituti di mineralogia e geologia) contrassegnano per un secolo circa l’impianto originario. E’ per esempio del 1858 il disgiungimento dalle attività del gabinetto di Anatomia con le sue raffinate cere confezionate dal Susini; è dell’anno successivo (anche se materialmente soltanto del 1895) il distacco delle collezioni di antichità (che faranno museo a sé); è del 1864 quello riguardante i reperti mineralogici.
Si tratta – specificamente per il settore Zoologico – di collezioni via via implementate e di valore scientifico (e didattico) altissimo – un autentico tesoro che abbiamo in casa e per il più ignoriamo se non nei giorni felici delle edizioni di Monumenti Aperti – che possono essere paragonate, secondo certi aspetti, all’unicum dell’orto botanico: come a Palabanda sono riunite specie botaniche di mezzo mondo, o del mondo intero, anche qui sono come in permanente ostensibile assemblea specie animali (comprese le esotiche e rare) provenienti da tutti i meridiani e paralleli del globo, e le sarde (di particolare suggestione sono le collezioni ornitologiche) giocano nel mezzo.
Serra, il quale ha curato dall’inizio alla fine il saggio avendone tutti i meriti che, con generosità, ha voluto condividere con alcuni docenti della facoltà in cui si è formato e laureato, quella di Biologia e Farmacia (settori ora unificati) – dal professore ordinario Anna Maria Deiana (attuale direttore del museo) al professore associato Rita Cannas , entrambi in capo al dipartimento di scienze della vita ed ambiente –, ha abilmente esposto il suo saggio con un taglio di scrittura quasi leggero, narrativo, facendo risaltare dalla pagina l’umanità, non soltanto il valore scientifico, dei protagonisti.
In primis egli riferisce infatti, pur nel quadro istituzionale in progress, del talento dei vari direttori (e dei loro collaboratori, come assistenti e preparatori). Nel novero rientrano, a partire da Leonardo de Prunner e Lodovico Baille, uomini come Alberto Ferrero della Marmora, come Giovanni Meloni Baille – medico e sindaco di Cagliari (giusto nell’anno dell’unità d’Italia), e anche parlamentare – e come Patrizio Gennari, benemerito fondatore dell’orto botanico, e altri trenta in successione, fino a Renzo Stefani (1991, ordinario di Zoologia e direttore dell’istituto di Zoologia e anatomia comparata). Di particolare efficacia – documenta Serra – è l’opera prestata per tre lustri, dopo il 1950, dal professor Celso Guareschi, e andando all’indietro – negli anni della seconda guerra mondiale – dal professor Ernesto Puxeddu, preside della facoltà di Scienze fisiche matematiche e naturali e provvido reggente (un chimico che sarà rettore dell’università e da giovane, nel 1913, era stato – lui acceso anticlericale – fra i promotori del monumento a Giordano Bruno alle porte di Castello). Certamente fra i più significativi del lungo elenco è quel Gaetano Cara che reggerà l’ufficio di direzione per quasi due decenni, a metà Ottocento, in un rapporto di amore-odio con il canonico Giovanni Spano, in quello stesso periodo chiamato a guidare l’università di Cagliari.
Cara, al servizio del museo già un decennio prima di assumerne la direzione, e accusato infine – chissà se veramente per dolo – di venale commercio di falsi bronzetti nuragici, poté avvalersi della collaborazione diretta e duratura di suo figlio Francesco, medico e naturalista, noto anche come cognato di Efisio Marini (per averne sposato la sorella Giulia). Dico quell’Efisio Marini, il celebre pietrificatore dei cadaveri dell’Ottocento, che fu anche lui, per quattro anni circa (dal 1860 al 1864) addetto assistente/preparatore al Museo.
Insomma, il racconto della storia del museo zoologico cagliaritano come ce lo presenta Andrea Serra è avvincente per quel suo saper collegare quella specifica realtà di studio accademico ed esposizione scientifica al maggior contesto sociale, politico e culturale cittadino e isolano nel lento ma complesso corso bisecolare lungo cui quella storia si è sviluppata.
Adesso è alle viste – annunciato dallo stesso giovane ricercatore (da qualche anno anche lui impegnato in attività didattiche) – un lavoro che ben può dirsi complementare, quasi in una logica di focus della storia museale: la biografia della famiglia Cara, la ricostruzione delle sue mille relazioni sociali e professionali nella Cagliari dell’Ottocento. Ancor più di questa ora offerta alla nostra lettura, si tratterà di una storia-romanzo per rivelare la nostra città nelle sue vicende pubblico-private, più sconosciute che conosciute, del secolo XIX. Quello, appunto, di Giovanni Spano ed Efisio Marini, coprotagonisti con Gaetano, Francesco, Alberto e gli altri Cara della bella dinastia…