NON TIRATE LA CHIESA PER LA GIACCA! di Salvatore Cubeddu
Si sa che i popoli del libro sono particolarmente litigiosi. Basta leggere della società israeliana. Basta seguire gli ultimi decenni di discussione sulla lingua sarda.
E’ possibile, però, individuare un percorso che, intanto, dia per condiviso l’accordo su alcuni importanti obiettivi, quali la promozione di ogni iniziativa che incrementi l’utilizzo della limba nella vita quotidiana e nel funzionamento delle istituzioni, la sua standardizzazione in funzione dell’utilizzo istituzionale-amministrativo ed il suo arricchimento letterario e comunicativo nei confronti delle altre lingue attraverso le quali noi sardi comunichiamo con il mondo.
Una premessa di questo tipo può servire a rapportarci alla presente discussione nata a seguito della continuità di alcune esperienze di preghiera e di celebrazioni liturgiche (novene, in gran parte) in lingua sarda. Cosa che, peraltro, avrebbe dovuto essere un fatto normale da molto tempo, non appena anche la Chiesa sarda aveva smesso l’utilizzo del latino, rispetto al quale la nostra risulta, peraltro, la lingua più vicina.
La Fondazione Sardinia da anni promuove incontri per approfondire il rapporto tra il modo tutto proprio con la quale i sardi vivono la propria fede cristiana e l’arricchimento che ad essa arriva dall’utilizzo della propria lingua. Nelle pubblicazioni (Agostino di Ippona e le apocalissi dell’occidente”, a cura di Placido Cherchi, “Società sarda e religiosità”, a cura di Placido Cherchi; B. Bandinu, R. Turtas, A. Pinna, “Linuga sarda e liturgia; Novena de Pasch’e Nadale; Missa po sa Pasca de Is Tres Urreis….) e nei video (♦ Convegno di studi “Limba: in chiesa, a scuola”, I e II parte - 18 marzo 1995♦Quando la terra produce Santi: Fra Nicola da Gesturi; Concilio Plenario Sardo: dieci anni dopo – Cagliari 13 giugno 2011; ♦ Lingua Cultura Fede 1 Vol. 2 17/18 Dicembre 2010; ♦ Lingua Cultura Fede 1 Vol. 2, 17/18 Dicembre 2010♦ “Società sarda e religiosità”, Crisi e nuove forme del sacro - 9 dicembre 1994, ♦ Sa Novena de Pascha e Nadale 2010, ♦ Sa Novena de Pascha e Nadale 2009)
consultabili in questo sito, vengono documentati dei contributi che potranno essere utili.
In diversi incontri col clero circa novene e sante messe, da noi si è sempre insistito sulla necessità di una traduzione in lingua sarda come lingua nazionale del popolo sardo, anche per la sua valenza politica unitaria e identitaria. L’opinione di alcuni rappresentanti del clero, senza nessuna ufficialità, osserva la questione linguistica secondo una logica propria: la parola e l’ascolto dei testi sacri e della Santa Messa devono corrispondere alle parlate locali della lingua materna e, non potendosi fare trecentocinquanta traduzioni per ogni paese, si ricorre alle due varietà unificanti: il campidanese e il logudorese. Non riconoscendo alcuna lingua nazionale sarda unificata che ancora sia parlata e accettata da tutta la popolazione. In questa tesi, non c’è una preoccupazione politica bensì un intendimento e un obiettivo religioso. In fondo si estende alla comunità un tema che in tanti si pongono rispetto al sardo che si utilizza in famiglia.
Che si fa, allora? Si rinuncia alle occasioni, che si possono costruire con i vescovi ed i sacerdoti più sensibili, rinunciando all’esperienza religiosa che si arricchisce della liturgia celebrata attraverso una delle due varianti? Dobbiamo pretendere di imporre in campo religioso le consapevolezze e le acquisizioni di una minoranza di militanti linguistici?
Certo, possiamo e dobbiamo farne argomento di un dibattito; ma senza le solite polemiche che avvelenerebbero il delicato rapporto che si sta portando avanti sul sardo nella liturgia.
Nella concretezza delle esperienze religiose in lingua sarda si danno due fatti nuovi: lo scopo, la preghiera e la comunicazione con Dio, risulta quello principale; l’utilizzo della nostra lingua serve/migliora/stimola quell’obiettivo.
Senza paura di smentite, credo che non possiamo non trovarci d’accordo che lo scopo della Chiesa, anche di quella che sta in Sardegna, non sia quello di risolvere l’importante questione linguistica, ma quello di trovare il modo di ampliare la predicazione del Vangelo.
Alcuni credenti, che hanno sperimentato che l’utilizzo della lingua sarda nella preghiera, insieme ad una connaturata silenziosità, migliora il rapporto con l’Interlocutore della loro fede, chiedono alla Chiesa di cui fanno parte, di continuare, allargare, approfondire questo processo, insieme culturale e religioso. Si sa che, in una associazione ecclesiale complessa, ci sono responsabilità differenti, sensibilità e richieste persino contrastanti, strumenti e percorsi propedeutici da esperire. D’accordo, ci sono dei problemi. Ma questi non possono diventare alibi per restare paralizzati, come è successo per troppo tempo.
Alcuni tra noi, credenti e no, pongono il problema di “quale lingua sarda…”, “quale ortografia …” “quale unificazione …”. Si tratta di persone che su questi non facili quesiti lavorano da decenni, con risultati decisamente apprezzabili. In talune posizioni è esplicita la preoccupazione che, se la Chiesa sarda lavorasse su due varianti – metti il campidanese e il logudorese – ne potrebbe risultare mortificato l’impegno unificatore, si tratti di lingua sarda comune o di lingua di mesania. Nella realtà può non essere così: cosa vieta agli uffici della Regione di seguire il lavoro di traduzione dei testi biblici e liturgici fatti in quelle due versioni aggiungendovi la versione in lingua-standard da essa decisa? O, addirittura (se potessimo permettercene i lusso), con entrambe (LSC e mesania)? Ma – e deve essere chiaro – è una questione delle istituzioni civili, ci riguarda in quanto cittadini, non tanto in quanto credenti o non credenti.
I problemi veri sono ancora due: primo, molti fattori spingono nella direzione che i Sardi rinuncino (o/e si opera perché ci rinuncino) alla propria lingua; secondo, i Sardi stanno rinunciando alla fede cristiana, come testimoniano vari indicatori. Ci vuole intelligenza ed equilibrio nella ricerca di soluzioni ai due problemi, che solo in parte si intersecano. Bisogna essere limpidi nelle intenzioni, perché in questo campo le eventuali strumentalizzazioni durano poco e procurano danni.
Le due questioni si unificano allorchè si osservi che, tra le poche forme pubbliche di religiosità che resistono al procedere secolarizzante della modernizzazione, soprattutto nei nostri paesi, ci sono quelle della religiosità popolare. Queste parlano in sardo. Esse possono continuare e venire ri-attivizzate (oserei dire, se non temessi fraintendimenti, addirittura ri-evangelizzate) dicendole nelle forme del popolo che le ha create per comunicare con la divinità. In lingua sarda, appunto.
Tutto questo interessa alla Chiesa sarda? Ai vescovi ed al clero prima di tutti? Noi, e in tanti, li vorremmo disponibili a intraprendere con decisione e fiducia questo meraviglioso percorso.
Questo è importante e decisivo, per tutti. Anche per i militanti linguistici. E’ la Parola che cambia il mondo, in tutti i sensi. Non dobbiamo avere paure.
By Steafno, 14 febbraio 2016 @ 10:21
Dae wikipedia: “Il còrso viene per quanto possibile scritto in maniera sovradialettale tralasciando le variazioni dialettali minori. Le regole generali di ortografia scritta non differiscono molto da quelle in uso nella lingua italiana (che del resto vi è stata per secoli l’unica lingua scritta), fatte salve alcune particolarità”.
By Stèvini Cherchi, 10 febbraio 2016 @ 21:12
In su lìburu de Pittau “Grammatica del sardo illustre” nci est sa “missa in limba sarda”, chi narat “Leade e mandigàde-nde totus” (pag. 156). Custa iat a essi LSC scheta. Insandus nosu campidanesus dda podeus ligi “Pigai e papai-ndi totus” ? O Martino, lassa stai… Comenti a lèssicu funt casi duas lìnguas… No fait a tenni una bersioni sceti, tocat a si-ddu ponni in conca
By Martino Faedda, 12 febbraio 2016 @ 22:10
Istèvene istimadu. In su chi as iscritu si cumprendet proite semus mortos. Sintesi non nde bolimus fàghere. E tandu nos meritamus su peus.
By Martino Faedda, 10 febbraio 2016 @ 14:39
Sa LSC est una norma de iscritura. Nemos dda bolet “chistionare”.
Ateru (e giustu) est a declarare sa missa onniunu in sa faeddada de su logu.
By Gianni, 16 febbraio 2016 @ 11:04
Infatti Sintesa vuole insegnare proprio a parlare la LSC http://sintesa.eu/
pp.10 – 13, 14, 31, 39, 215, 229, 234 . Bisogna aggiornarsi.
By Martino Faedda, 10 febbraio 2016 @ 10:26
Scrivere in standard, declinare ognuno con la propria parlata, è questo che chiediamo. Cosa ci vorrà per capirlo.
By Massimo, 10 febbraio 2016 @ 10:14
Ma chini ddu at nau ca nosu in Crèsia depeus sighiri amarolla s’imperu de sa LSC ? Aundi e chini chistionat sa LSC ? Imprus poita no castiaus ita faint is àterus ? Bollu nai, in Còssiga imperant duas bariedadis de sa matessi lìngua, no mi eis a bolli nai ca su pòpulu cossu est partizu !?!