Lasciate che i cattolici parlino, di Antonio Polito
Vanno ascoltati perché su nessuno dei grandi dilemmi della modernità si può ragionevolmente decidere senza aver prima considerato il loro punto di vista.
Ogni volta è la stessa storia. Se i cattolici decidono di dire la loro – e l’unico modo di dirla al giorno d’oggi è ad alta voce – si levano lamenti e proteste contro l’«ingerenza». È una strana idea di laicità. Sembra consistere nella convinzione che solo i laici, o meglio i sostenitori del laicismo, abbiamo diritto di parola in una società laica. Mentre invece laicità significa libertà di discussione e autonomia della decisione pubblica dal potere religioso. La cosa curiosa che a molti sfugge, e che molti dimenticano, è che l’idea stessa di laicità dello Stato è un’idea cristiana, importata nella storia dell’Occidente dalla predicazione del Cristo. Un libro di Aldo Schiavone appena uscito per Einaudi lo spiega bene: è nel dialogo tra Gesù e Ponzio Pilato, quando il Nazareno dice le parole “il mio regno non è di questo mondo”, che si pongono le basi per la separazione tra potere civile e fede, tra Dio e Cesare. Si rompe così una tradizione teocratica in cui capo politico e capo religioso si identificavano (l’imperatore romano fu anche pontifex da Cesare in poi) e si identificheranno di nuovo qualche secolo più tardi nell’lslam (con Maometto).
Non sono credente, non ho mai votato per un partito cattolico neanche quando esisteva, né condivido molte delle obiezioni che dalla piazza del Family day verranno domani sollevate contro la legge sulle unioni civili. Ma nessuno che non sia accecato dalla faziosità dovrebbe scandalizzarsi, e nemmeno lamentarsi, se persone impegnate nel sociale, solitamente capaci di splendide famiglie, che hanno
a cuore la vita della comunità, mosse da ideali e valori invece che da interessi, decidono di dire la loro nell’arena pubblica. I cattolici sono in Italia una grande risorsa civile, in un Paese in cui sono sempre meno quelli disposti a impegnarsi per il bene comune. Vanno ascoltati, dunque. Non per dargliela sempre vinta, ma perché su nessuno dei grandi dilemmi della modernità (quando inizia la vita, quando inizia la morte, dove è il confine tra diritti e doveri, fino a che punto possiamo manipolare n nostro corpo?) si può decidere con ragionevolezza senza aver prima considerato il loro punto di vista (che tra l’altro non è monolitico, come è ovvio, perché ogni credente ha le sue idee sui fatti della vita).
Ecco, questo è davvero cambiato rispetto al passato. Un tempo poteva anche avere senso una polemica contro la cosiddetta gerarchia ecclesiastica, contro quella che i laici consideravano una casta di vescovi con la pretesa di dettare regole ai cittadini italiani, inquinando il dibattito pubblico. Ma oggi, più che mai dopo l’arrivo di Francesco, così non è, la Chiesa si limita a dire la sua, e anche con una certa prudenza a dire n vero (sui gay n Papa ha detto: “Chi sono io per giudicare?”, non ha certo promosso lui n Family day) e non ha più né la forza né la voglia di condizionare i partiti e i legislatori.
Sette, settimanale de Il corriere della sera, 29 gennaio 2016.