“52″, il romanzo autobiografico di Mario Piano presentato da Michela Deriu


Numero 52 di Mario Piano (Aletti editore, 95 pagine pubblicato nel 2013 dalla Albatros di ROMA) è un romanzo autobiografico breve.

Racconta la storia  di un bambino che, orfano di madre, viene affidato prima all’istituto  Infanzia Abbandonata poi all’ospizio per minori di San Vincenzo di Paoli. Entrambe gli orfanotrofi sono tenuti da religiose .

Le suore più che madri amorevoli ricordano gli aguzzini Auschwitz.

La scelta del titolo n. 52 è dovuta al fatto che in quegli anni gli indumenti di Mario nell’istituto

erano contrassegnati appunto dal  n.52.La prima parte si svolge a Cagliari  una Cagliari tra gli anni 50 e gli anni 60 ancora poco costruita. Nel  collegio, non a caso, vicino a Buon Cammino, Mario conosce Luigino, un ragazzo di colore che diverrà in tutto il romanzo un riferimento mentale per l’autore. Gli abiti di Luigino sono contrassegnati dal n.46.

Nella seconda parte Mario Piano racconta come si evolve la sua vita quando il suo unico genitore si fa vivo. La storia di Mario ha una svolta insperata e, sembra impossibile, molto peggiore della prima. La scena si sposta nel cagliaritano tra Sardara e altri paesi del Campidano. Il bimbo recalcitrante dell’istituto diventa un giovanissimo lavoratore di salute cagionevole impegnato in una costante battaglia per la sopravvivenza.

La generazione di Mario è ben lontana dal mito del posto fisso. “Bisognava inventarsi tutto”dice Mario, per questo il racconto è attuale.

Mario ripercorre le tappe drammatiche della sua adolescenza vagante da un padrone all’altro.

Il rapporto con il padre è tragico.

Un carro funebre diventa il suo ricovero notturno.

Il rapporto con una prostituta la cosa più tenera e dolce di quel periodo.

Sembra una canzone di De André ma è storia vissuta.

Personalmente non amo i romanzi dove si raccontano le proprie sfortune, ma inaspettatamente questo n.52 rivela molteplici sfaccettature che rendono la lettura interessante.

Innanzi tutto la prospettiva, Mario Piano si pone anche lui come spettatore del suo passato con un distacco e un senso dell’umorismo raro. Tanta sofferenza e tanta fragilità si sono evolute nel tempo, sembra impossibile che la vittima delle malefatte delle suore e della inumanità del padre sia lo stesso soggetto di chi narra la storia.

Mario in questo libro, oltre che raccontare, si sofferma a pensare sul mondo e sulle cose.

Tra le tante riflessioni trovo che quella che riguarda l’istinto sia da citare.

“Per questo bisogna attrezzarsi per i tempi che verranno. Per questo l’istinto vale più di qualsiasi  approfondita e fondata ragione.

In un mondo dove ogni tuo passo è stato programmato in precedenza, ragionare non serve più a nulla. Arrivi sempre nel punto stabilito da qualcun altro…….seguire l’istinto dunque resta la strada che può offrire migliori prospettive.”

E’ vero viviamo una realtà dove i giochi sono stati già stabiliti da altri  ricorrere all’istinto primordiale come risorsa individuale per costruire il proprio mondo è un suggerimento prezioso.

Un mistero resta il linguaggio, un linguaggio insolitamente colto per uno che confessa di avere la quinta elementare e non ha passato certo la vita a frequentare circoli letterari. Anche i manuali tecnici dell’HOEPLI non credo siano lettura consona a riflessioni, con la dovuta distanza, di sapore proustiano. Il mondo di Mario Piano è un mondo dove si legge poco e si scrive ancora meno, cosi’ afferma nel suo libro. Dove avrà imparato la narrativa il nostro autore?

Incuriosita ho chiesto a lui la provenienza della sua formazione letteraria.

Mario Piano ha risposto così..

“ Leggo quotidiani e mi informo, non ho fatto letture particolari. Forse il sindacato mi ha formato, per il resto le mie riflessioni vengono in gran parte dalle discussioni fatte, da noi operai, al bar. Per scrivere questo libro ho impiegato tanti anni. Ho figli che hanno studiato e conosco la differenza tra chi ha una vera istruzione scolastica e chi non ce l’ha.”

Evidentemente il lungo percorso personale di sindacalista ha fatto si che la scrittura diventasse non un fatto sconosciuto ma un modo piacevole di raccontare eventi sgradevoli, dote rara.

In fondo per Mario, dall’orfanotrofio ad aspirante scrittore, pensionato non amante delle panchine dei giardinetti, l’importante è la vita per poi poterla raccontare.

A tratti compare il lungo percorso nel sindacato.

I favolosi anni 60 non son stati vissuti per tutti nello stesso modo:

“A distanza di anni è bastato conoscere i dati sulla produzione di ricchezza di quel 1960 che si capiva subito che si era consumato qualcosa di incongruo o indegno sulla distribuzione dei beni frutto del lavoro di tutti. Soprattutto a danno di tanti minori. Alla fine uscirne vivi è stato l’unico risultato degno di nota. Poteva andare anche peggio.”

Poteva andare anche peggio….Sembra soddisfatto Mario Piano e su un tema insiste:

“Odio il posto fisso, ho cambiato tanti posti di lavoro. Detesto le cose che ti legano. Dipendere da qualcuno è come affermare che è tutto merito degli altri.”

Bella risposta per Checco Zalone abbastanza inusuale per un sindacalista ma anche in questo Mario  si conferma un personaggio fuori dagli schemi

 

 

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