Il gesuita in cravatta che scomunica banche e alta finanza, di Pier Luigi Vercesi

Consulente di François Hollande, dopo una vita passata tra istituti di credito e investimenti, ha preso i voti e conduce la sua battaglia contro la fìnanziarizzazione dell’economia.

Gaedi Giraud, 45 anni, fulminato sulla via di Damasco. Legge bilanci e listini di Borsa con la stessa naturalezza con cui commenta la Bibbia. Dice Messa e sussurra strategie economiche al presidente francese Hollande. E capo economista dell’Agence Francaiae de Développement ma la sera torna in convento a cena con i confratelli. E suo ultimo libro, Transizione economica,  è un pesante atto d’accusa contro la flnanziarizzazione dell’economia che rende schiavi» interi popoli e ampie fasce sociali nei Paesi sviluppati.

Dottor Giraud o, meglio, dovrei dire don Gael, lei è un economista tra i più noti in Francia: non mi dica che proprio per questo è diventato gesuita?

l alla ragione più profonda è l’incontro con i bambini di strada, in Ciad. Ho vissuto due anni in quel Paese, insegnando matematica e fisica in un istituto gesuita. Loro mi hanno convertito al Vangelo. Quando ho lasciato il Ciad, volevo continuare l’esperienza e ho chiesto che esaudissero il mio desiderio di prendere i voti, ma era appena morto mio padre e mi hanno dello: aspetta, ora occupati dl tua madre e di tuo fratello. Così sono passati 5 anni prima di cominciare il mio percorso».

Pensa si debba convertire anche l’economia: si debba uscire dal capitalismo?

“Non so se sia necessario, anche perché non so cosa sia il capitalismo. Ve ne sono svariate forme: quello di Milano non è quello di Zurigo. Il modello di New York non e lo stesso della Parigi anni ’60 e, quindi, dal punto dl vista storico e geografico, esistono tante forme di capitalismo. Io credo si debba cambiare il modo di vivere insieme».

Lei parla di “transizione ecologica”. Ma servirebbe una rivoluzione culturale….

«Esatto, un cambiamento di civiltà. Dobbiamo abbandonare il modello sul quale abbiamo costruito la prosperità dell’Europa sin dalla rivoluzione industriale. Questo obbliga a riconsiderare la proprietà privata per dare spazio ai cosiddetti cammons, i beni comuni, ossia quei beni che devono essere della società civile nel suo insieme. Mi riferisco alle risorse naturali: l’ambiente, gli ecosisterni, la biodiversità…. E’ un concetto antico, i latini, nel diritto romano, lo definivano res medius: cioè che non appartiene a nessuno. Mi rendo conto di quanto sia difficile, per la società civile, riappropriarsi dei beni comuni in un mondo in cui l’ideologia neo-liberista vorrebbe privatizzare tutto. Ma è necessario uscire dal progetto politico neo-liberista e ricreare uno spazio in cui esistano i beni privati, i beni pubblici gestiti dallo Stato e i  comuni gestiti da istituzioni che  non sono né pubbliche ne private».

Non è solo un’utopia?

“Il processo di cambiamento sarà molto lento. Vi è una fortissima resistenza da parte delle élite che traggono un guadagno diretto a indiretto dalla rendita. Gli uomini con oltre 60 anni, che vivono in città e hanno fatto studi superiori, spesso non vogliono cambiare. I più inclini al cambiamento sono le classi medio-basse, i poveri, le donne, le persone con un livello di istruzione meno elevata. Se non cogliamo l’importanza di un cambiamento, andremo verso una società duale, con una minuscola élite che avrà accesso a tutti i servizi e gli altri sostanzialmente schiavi a disposizione delle élites.”.

Analisi estrema: cosa ha  reso il capitalismo, come dice lei, così “spietato”?

«La caduta del Muro di Berlino, nel 1989, ha cancellato la minaccia di un’alternativa al capitalismo, lasciando spazio a una sempre maggiore diffusione dei valori liberisti. L’Unione Sovietica non è mai stata una vera alternativa: era solo totalitarismo burocratico, ma obbligava i Paesi occidentalia un atteggiamento ragionevole. Dagli anni ’90, la scomparsa di questa minaccia ha favorito lo sviluppo del liberismo integrale e la finanziarizzazione della nostra società”.

Merkel, Hollande o Renzi: non sembra che destra o sinistra facciano la differenza. Chi dovrebbe, allora, sposare la rivoluzione su cui lei insiste?

«Deve partire dalla società civile, da leader non appartenenti alla classe politica tradizionale. La distinzione destra-sinistra non è più pertinente, perché la socialdemocrazia europea si è resa conto di non avere programmi politici: fino agli anni ‘70 ha raccontato a se stessa di essere filomarxista, ma in realtà non lo è mai stata, e non era nemmeno keynesiana, in quanto il keynesismo era già stato abbandonato dalle accademie. Così, negli anni ‘8o e ’90, i socialisti – francesi, italiani, tedeschi, spagnoli – hanno scoperto di non avere più un programma politico: un vuoto intellettuale incolmabile. In Francia, tra il 1981 e il 1983, Francois Mitterand provò a mettere in pratica politiche di sinistra, ma gli fecero credere che erano destinate al fallimento, che il protezionismo sui capitali stava penalizzando la classe media. Così, negli anni 1983-1985, i socialisti francesi sono diventati i più accesi sostenitori della mobilità dei capital. E hanno spinto l’Europa in questa direzione. Ora ci accorgiamo che quella scelta non ha fallo altro che accentuare le disuguaglianze e causare instabilità finanziaria».

A volte, in Italia, si ha la sensazione che il mondo si sia rovesciato: chi votava a sinistra ora è

a destra e viceversa..

Anche in Francia. Tu realtà c’è solo una terribile confusione. Sta accadendo ciò che avvenne negli anni ‘30: la sofferenza sociale fa sì che le classi medie abbiano bisogno, in tempi ristretti, di una soluzione politica, almeno apparente. Non hanno più il tempo, la disponibilità, le risorse interne e la libertà di riflettere e sono obbligate a prendere la prima soluzione politica che viene loro proposta”. In Transizione ecologica lei scrive che il rischio maggiore non è la possibilità che Grecia o Italia vengano cacciate dall’Europa, ma che Germania e altri Paesi escano dall’Euro,..

«I politici di Berlino hanno fatto una promessa ai tedeschi: non pagheremo per greci, gli italiani, gli spagnoli, portoghesi o i francesi. Si sono penò resi conto che finché la Grecia resterà nell’Euro, sarà impossibile mantenere la promessa. Così se non si riesce a estromettere  dall’Euro i Paesi del Sud,  la Germania, l’Austria e i Paesi Bassi potrebbero decidere di uscire dalla moneta unica e creare qualcos’altro. So che si sta delineando un piano B che consentirebbe ai Paesi del nord di creare una nuova valuta.

Secondo lei, l’Euro è positivo o negativo?

«L’errore fondamentale è stato quello di credere che con una maggiore mobilità di capitali in Europa saremmo riusciti a costruire una “zona monetaria ottimale”, ossia un’area in cui il capitale può estere investito ovunque e le differenze tra i vari modelli industriali si assottigliano, tendendo  verso una convergenza delle varie economie all’interno dell’Eurozona. Ma sin dalla creazione dell’euro stiamo invece assistendo a una divergenza: i Paesi del Nord continuano a industrializzarsi mentre i Paesi del sud continuano a deindastrializzarsi. Inoltre, i capitali del Sud sono investiti nei Paesi del nord, in quanto, fino a quando vis sarà un tasso di interesse uguale per tutti, mentre i tassi d’inflazione sono, i capitali verranno investiti dove è garantito un maggior rendimento. Così il nodrd continuerà ad arricchirsi e il sud a impoverirsi”.

Lei cosa propone?

«La transizione ecologica e quella energetica si possono avviare sin da ora con il piano Juncker. I 300 miliardi di euro stanziati potrebbero essere utilizzati per il rinnovamento termico degli edifici, per la mobilità verde e l”inverdimento” dei processi industriali e agricoli. In Francia, è stato creato un comitato di esperti a livello nazionale, di cui faccio parte, che ha redatto una lista con una deriva di scenari di transizione energetica. Stessa cosa si potrebbe fare In Italia, Spagna, Germania e inciderebbe significativamente sul tasso di occupazione e sulla bitlancia commerciale, perché si importerebbe meno petrolio. Tutto questo non si fa perché gli uomini politici hanno paura della novità, sono bloccati da un’amministrazione pubblica intrappolata dall’alta finanza privata e la transizione ecologica non è redditizia per le banche. Per quanto riguarda la riforma dell’Euro, so bene che si tratta di un lungo processo, ma potremmo immaginare una coalizione di Paesi del sud – Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo – che potrebbe presentare una proposta di riforma. E difficile far lavorare insieme Hollande, Rajoy, Renzi e l’attuale governo greco ma, allo stesso tempo, si tratta di una questione di sopravvivenza per l’Europa”.

E poi c’è la variabile Cina…

«In futuro potremmo fare riferimento alla Cina anziché agli Stati Uniti, ma con tutti gli errori che abbiamo fatto in Ucraina, abbiamo spinto la Russia verso la Cina e aumentato la distanza tra noi e loro. Una parte delle èlites dell’Europa occidentale continua a pensare che gli Stati Uniti ci proteggeranno, ma non è vero, e quindi non facciamo alcuno sforzo di intelligenza diplomatica per approfondire il nostro legame con la Cina. Anche se Pechino si è già dichiarata pronta a sostenere l’Euro, perché ha capito che il dollaro non vale più nulla e vuole diversificare le valute legate alla propria eccedenza commerciale”. SETTE 04.12.2015.

 

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