Sa missa est (apénas) comintzada: abarraus in paghe.
Il Coordinamentu pro su sardu ufitziale esprime preoccupazione per l’atteggiamento negativo delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti della liturgia in lingua sarda. Nonostante le rispettose petizioni, giunte da più parti e reiterate negli anni, la Chiesa Sarda non riesce ancora oggi a dare risposte convincenti. Il CSU è organizzazione laica che ha al suo interno credenti e no, ma è interessata all’affermazione del diritto dei sardi di poter esercitare il culto nella propria lingua. Si è perso il conto negli ultimi 20-30 anni degli incontri, delle dichiarazioni, dei convegni, delle commissioni, dei seminari convocati da Regione o organizzazioni con le autorità ecclesiastiche che invariabilmente si chiudono con la formula “siamo d’accordo per la liturgia in sardo”, senza però poi essere conseguenti. Siamo arrivati al paradosso che le tanto pubblicizzate “messe in sardo” vietano l’uso della nostra lingua al momento della consacrazione e sono quindi in realtà “messe che discriminano il sardo”, lingua evidentemente non degna del massimo ufficio divino. Le giustificazioni sono spesso di carattere linguistico: un tempo era l’assenza di un’ortografia ufficiale. Ora che esiste il sardo scritto comune i vescovi lo ignorano e sostengono che le popolazioni vorrebbero ognuna il proprio dialetto. Nell’intervento dell’arcivescovo di Cagliari Miglio, pubblicato nell’Unione Sarda del 14 gennaio scorso, il primate di Sardegna parla di uso di logudorese e campidanese, il che significherebbe un passo indietro. Perché campidanese e logudorese e non nuorese, sulcitano e arborense? Il CSU ricorda che la lingua sarda è una, divisa in oltre 300 dialetti municipali, che dal 2006 la Regione Sardegna ha approvato le norme ufficiali del sardo scritto comune e sono quelle che si devono utilizzare a meno che la Chiesa Sarda non voglia alzare muri e confini inesistenti tra sardi. Il CSU si dichiara contro questa opzione autocolonizzante. Così come è necessario agire per le minoranze linguistiche interne sassarese, gallurese e ligure che non vanno dimenticate. Fatto salvo il caso di Alghero che può invece per intervento diretto di Barcellona. Chi conosce il diritto canonico sa bene che è la Conferenza Episcopale Sarda, non altri, che deve inoltrare alla Congregazione competente della Santa Sede la richiesta del riconoscimento della liturgia in sardo con la traduzione del messale ufficiale. Proporre la chilometrica traduzione della Bibbia, come atto preliminare, è l’ennesima proposta dilatoria, già sperimentata nei decenni scorsi per giunta, per non fare nulla. Pertanto il CSU chiede rispettosamente che si proceda e cessi la discriminazione del sardo e delle altre lingue della Sardegna nella liturgia.
Coordinamentu Sardu Ufitziale.
Pubblicato su L’Unione Sarda del 19.01.2016
Saludos
G.C.
Il comunicato del Coordinamentu pro su sardu ufitziale mi lascia sconcertato. Dissento profondamente, nei toni e nel contenuto. Soprattutto non mi fa presagire niente di buono per il futuro di questa (nostra?) lingua.
In primo luogo, pensare che la Chiesa debba farsi parte, addirittura in qualità di apripista, , di un lungo, profondo e difficile processo di evoluzione della lingua sarda, quale quello in atto, significa essere totalmente fuori dalla realtà. La Chiesa utilizza le lingue, anche per la liturgia, in funzione della loro diffusione e condivisione tra i fedeli. Sino all’altro giorno era addirittura il latino la lingua, a vocazione universale, utilizzata nella liturgia.
Il Concilio Vaticano II° ha rivoluzionato il sistema proprio per superare quel distacco che impediva la piena partecipazione ai riti liturgici consentendo l’utilizzo delle lingue locali correntemente utilizzate dai fedeli. La decisione sulla scelta degli idiomi, da utilizzare nella liturgia, in sostanza, attiene alla sensibilità dei vescovi in relazione alla loro funzione pastorale. La Chiesa, o meglio molti dei suoi rappresentanti, hanno sbagliato, una volta, quando si sono prestati ad accompagnare un movimento, culturale e politico, che pretendeva di sradicare l’uso della lingua materna, in Sardegna, per imporre l’uso dell’italiano, la lingua nuova che avrebbe dovuto unificare anche culturalmente il paese dopo averlo unificato politicamente.
Chiedere oggi ai vescovi di prestarsi ad essere strumento della affermazione di una lingua in fieri, significa, mutatis mutandis, proprio ripetere lo stesso errore storico che tanto critichiamo.
Non dobbiamo prenderci in giro! Il “sardo comune” cui fa riferimento il Comitato è costituito da “norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale … che costituisca un punto di mediazione tra le parlate più comuni e diffuse”.
Ma la “Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”, Liturgiam authenticam, dell’aprile 2001” condiziona l’utilizzo delle lingue locali nella liturgia, proprio al fatto che si tratti di parlate comuni e diffuse, e non sperimentali. Precisa, addirittura, che non richiede neppure che abbiano una storia ed una letteratura (cosa che il sardo, peraltro, possiede anche in campo liturgico) ma non può prescindere dal fatto che siano effettivamente parlate.
Anzia, a volerla dire tutta, l’Istruzione del 2001, afferma che fuori da questa ipotesi, e quindi per le varianti sperimentali di cui parliamo, l’autorizzazione è “strettamente riservata alla Santa Sede” che la concede “soltanto per speciali circostanze”. Cioè non vi è alcuna possibilità, oggi, che la Chiesa possa accettare di utilizzare per la liturgia una lingua comunque sperimentale .
Chiedete che la Chiesa modifichi la Costituzione Liturgiam authenticam, o la Istruzione del 2001? O chiedete che l’Arcivescovo di Cagliari, si trasformi in pasdaran della Limba Comuna, disobbedisca alla Santa Sede ed issi sul campanile della cattedrale di Casteddu (o Castedhu?) quella “lingua bandiera, strumento per potenziare la idoneità collettiva” di cui parla la delibera regionale regionale del 2006?
Non vi sembri paradossale, sono assolutamente convinto della necessità di giungere ad una lingua comune, ma non credo che l’obiettivo possa essere raggiunto attraverso le scorciatoie, neppure quelle che passerebbero dalle sacrestie. C’è una strada maestra, che è quella politica, ed è su quel terreno che si vince o si perde la battaglia.
Tutto il resto, est vanagloria.
Nei giorni scorsi, l’arcivescovo di Cagliari, un piemontese che, probabilmente, non sa neppure pronunciare la parola cixiri, ha espresso la propria disponibilità, genuina e priva di fronzoli, a riprendere il processo di utilizzo del sardo nella liturgia, secondo i canoni che a noi tutti provengono dalla storia e dalla cultura sarda, nella tradizione liturgica dei secoli passati e giunta sino ad oggi anche nelle pratiche religiose diffusesi negli ultimi anni nella Chiesa sarda (tra cui la S. Messa in sardo – pur priva del canone – in occasione del passato 28 aprile in cattedrale).
Ha ricordato che gran parte delle traduzioni sono già pronte, naturalmente, come sta nella storia e nella tradizione, non dimenticatelo, nella variante logudorese e campidanese, che hanno conosciuto catechismo, liturgia e messa in sardo. Vi ricordo, tra i tanti, l’imponente opera di Antoni Canu, del 1895 “Sa Santa Missa in dialettu sardu”.
Ciò che determina maggiormente il mio dissenso, e mi spaventa, è che di fronte alla possibilità di ottenere, sicuramente ed in tempi rapidi, la possibilità di celebrare la Messa in logudorese e in campidanese, nel filone della storia, voi praticamente affermiate (perché questa sarebbe l’inevitabilealternativa): se la Messa in Sardo non sarà celebrata in Limba Comune meglio niente: mezus nudda!
Si: questo mi spaventa! Gianni Loy
By Franciscu, 27 gennaio 2016 @ 16:29
O Sarbadore t’arrispundu deu: poita po is sulcitanus su campidanesu andat beni, ca ddu consideraus parti de sa cultura nosta, ,mentras su ‘cabesusesu’ nou, ca est fueddada (e scritura) stràngia
By Giagu Ledda, 25 gennaio 2016 @ 18:29
Sos argumentos de Loy no los potzo nen defensare e ne atacare, ca no apo mai lèghidu ne istudiadu a pitzu de custu tema.
Un’afirmatzione sua però m’at ispantadu: ” La Chiesa utilizza le lingue, anche per la liturgia, in funzione della loro diffusione e condivisione tra i fedeli.” Bene.
A Gianni Loy chèrgio ammentare chi unos deghe annos a como sa Crèsia Catòlica at aprovadu sa liturgia in limba ebrea. Sos cristianos de espressione ebrea in Israele sunt 27.000, cantu sos abitantes de Assèmini, e b’est unu preìderu catòlicu ebbia, padre Jager.
By Martino Faedda, 25 gennaio 2016 @ 17:27
Su CSU no at MAI naradu “mègius nudda”. Tocat imbetze de si fàghere una pregunta. Si “nulla osta” proite semus galu inoghe a nde faeddare? Sa Crèsia bolet su sardu? Bene meda. Cando?
By Sarvadore, 25 gennaio 2016 @ 15:24
Pro ite petzi in “logudoresu” e in “campidanesu” e non, pro nàrrere, in nugoresu, baroniesu, o sultzitanu?
By Giuanne Masala, 24 gennaio 2016 @ 17:51
Non posso che essere d’accordo, come credo la maggior parte dei sardi, con le considerazioni di Gianni Loy. La lsc con la messa in sardo non c’intrat nudda, ma nudda abberu! Giuanne Masala
By Giagu Ledda, 27 gennaio 2016 @ 14:11
S’italianu istandard non b’intrat nudda cun sa missa in italianu? E su portughesu, su frantzesu, su catalanu e gasi sighende? Ses tue Giuanne chi ti deves pònnere de acordu cun tegus etotu si iscrìere in una limba, in duas o in unu misciamureddu.
By Stefano, 27 gennaio 2016 @ 15:26
Ma sa missa no depet essere celebrada in limba comuna! Sa liturgia at a essere iscrita in limba comuna ma in ogni bidda su predi at a lègere su testu sighende sa fonetica de su dialetu locale. Chi c’est iscritu “sa paghe siat cun bois (àteros)” unu predi de Casteddu at a lègere “sa paxi siada cun bos atrusu”, unu de Nùgoro “sa paghe siata cun bois” e un àteru “sa pake siata cun bois”. S’unicu problema sunt is faeddos chi cambiant de totu (faeddare-allegare) ma sa LSC acetat totu custas formas che sinònimos. In ue est su problema?
By Giuanne Masala, 28 gennaio 2016 @ 20:20
“Ha ricordato che gran parte delle traduzioni sono già pronte, naturalmente, come sta nella storia e nella tradizione, non dimenticatelo, nella variante logudorese e campidanese, che hanno conosciuto catechismo, liturgia e messa in sardo. Vi ricordo, tra i tanti, l’imponente opera di Antoni Canu, del 1895 “Sa Santa Missa in dialettu sardu”.
Ma se la chiesa vuol utilizzare quelle traduzioni perché vi dovete sempre mettere in mezzo che a su predusìmula, o: sèmpere in mesu che a su mèrcuris.
Voi profeti della lsc dovreste essere i più felici se la messa si celebrasse nel centro-sud in campidanese e nel centro-nord in logudorese! Accabbaechela chin custa zarra!
By Stefano, 29 gennaio 2016 @ 10:29
Chi sa cresia sceberat pro su sardu unu istandard campidanesu e unu logudoresu a mei diat andare bene su propriu (bastis chi s’imperet su sardu!). Ma scusa, cun su logudoresu e su campidanesu no ci diant èssere is matessi problemas de sa LSC? Pro esèmpiu: soli (campidanesu) si diat dèpere lègere soli, sobi e “sole” (logudoresu) si diat dèpere lègere sole e sohe. Aici, diamus a tènnere su problema de no rapresentare totu is variantes foneticas e su problema de traduere sa biblia e s’omelia duas bortas. DE UNU PROBLEMA NDE SEMUS FAGHENDE DUOS!! Chena contare is resistentzias in cussas regiones in ue is carateristicas prus rapresentativas de is duas areas dialetales s’ammesturant diant fàghere resistentzia a s’imperu de su logudoresu e de su campidanesu. Comente complicare sa situatzione…… Naradu custu, chi su vaticanu acetat s’imperu de su campidanesu e de su logudoresu (cosa chi no est scontada bitu ca sunt duos dialetos de su sardu e no duas limbas) diat tocare a istandardizare su logudoresu (pro su campidanesu sa proposta c’est giai e sunt is arregulas) e at a passare àteru tempus pro arribbare a una proposta bastante forte e a traduere sa biblia e s’omelia. Pro mei custu arrejonu est una scusa pro non fàghere nudda cando sa LSC est giai codificada e bastat imparare a is predis is règulas bases pro lègere in su dialetu issoro su chi est iscritu in LSC.
By cubeddu, 4 febbraio 2016 @ 09:35
“Ha ricordato che gran parte delle traduzioni sono già pronte, naturalmente, come sta nella storia e nella tradizione, non dimenticatelo, nella variante logudorese e campidanese, che hanno conosciuto catechismo, liturgia e messa in sardo. Vi ricordo, tra i tanti, l’imponente opera di Antoni Canu, del 1895 “Sa Santa Missa in dialettu sardu”.
Ma se la chiesa vuol utilizzare quelle traduzioni perché vi dovete sempre mettere in mezzo che a su predusìmula, o: sèmpere in mesu che a su mèrcuris.
Voi profeti della lsc dovreste essere i più felici se la messa si celebrasse nel centro-sud in campidanese e nel centro-nord in logudorese! Accabbaechela chin custa zarra! GIUANNE MASALA