Tonino Uras, ovvero la fine educazione dei repubblicani che ci credevano, di Gianfranco Murtas

Una scissione dolorosa ma necessaria, quella sardista del 1968. Una intervista inedita con Tonino Uras, di Alberto Medda Costella

 

 

 

 

La figura dell’avvocato oristanese che ci ha lasciato due giorni fa.

 


 

 

 

 

Avevo diciotto anni quando incontrai la prima volta Tonino Uras, e lui circa il doppio, neppure quaranta. Uno scarto anagrafico che allora contava più di oggi, benché la militanza in un partito insieme d’élite e popolare come era quello repubblicano portasse a ad approcci tendenzialmente paritari. Meno forse con quella quota di militanza e dirigenza referenziale la quale, proveniente dal Partito Sardo d’Azione, era allora confluita nell’Edera antica e nobile che aggiornava, nella fedeltà al simbolo, il programma della Giovine Europa.

Ripenso a questo, nella tristezza dell’oggi per la scomparsa dell’amico politico e del fratello di idealità umanistiche, a quel giorno del primo ancorché fuggevole incontro – domenica 21 marzo 1971 –, al cine-teatro Ariston della via Grazia Deledda per il comizio di Ugo La Malfa e poi presso la vicina sede del PRI nella via Sonnino civico 128, per l’intervista che con somma sfrontatezza mi permisi di provocare e raccogliere, seduti noi tutti – capi e cadetti – a circolo, al leader, padre della patria, venuto a Cagliari per celebrare l’unificazione fra il Movimento Sardista Autonomista e la federazione sarda dei repubblicani. Gran giorno per le idealità politiche di noi, ancora adolescenti, e debuttanti sulla scena pubblica, che sarebbe diventata la scena elettorale, dei comizi, degli incontri con le altre federazioni giovanili, degli articoli sui giornali, per raccontare – direi con uno spirito critico che soltanto la giovane età orientava più sugli avversari che sui sodali (e si sarebbe invece dovuto puntare, per migliorare, prima sui sodali) – di quel sardismo passato ai repubblicani per protesta contro le deviazioni ancora non nazionalitarie, ma certo troppo spinte su un federalismo (“elementi di statualità” nella nostra autonomia speciale) che doveva essere ancora tutto da meditare, tanto più all’indomani dell’avvio del regionalismo ordinario in tardiva attuazione costituzionale. Gran giorno anche per i sardisti attendati giusto da mille giorni nelle capanne del MSA, fra Marmilla e Sulcis, Barbagia e Sassarese, i Campidani d’Oristano e Cagliari, il capoluogo e il suo hinterland: con noi dell’Edera prevalente impegnati nelle assemblee rappresentative con uomini dell’alleanza come erano Armandino Corona alla Regione e Razzu al Consiglio provinciale di Sassari, Pisanu e Marini in quelli rispettivamente di Nuoro e Cagliari (comprensivo, questo secondo, dell’area oristanese), con Saba al Consiglio comunale di Sassari, Marletta, Canu e Marcello in quello di Nuoro e Vincenzo Racugno in quello di Cagliari. Eletto ad Oristano Tonino Uras con 181 preferenze, pochi altri gli eletti ad Alghero, Sorso ed Olbia. Minoranza assoluta. E d’altra parte minoranza erano i repubblicani nazionali, con appena nove deputati e due senatori, undici parlamentari su 945.

Giusto da venti giorni, a dire di quel 21 marzo, i repubblicani avevano lasciato il governo quadripartito di centro-sinistra presieduto da Emilio Colombo. S’erano dimessi il ministro Reale guardasigilli e il sottosegretario alla Pubblica Istruzione Oddo Biasini, che nella vita professionale era stato docente di scuola pubblica e preside e portava nelle istituzioni l’esperienza del suo lavoro.

Tonino Uras era, dei sardisti passati ai repubblicani, uno dei più legati, affettivamente, a Titino Melis che, credo (ma potrei sbagliare), era stato addirittura suo testimone di nozze. Certamente era uno di quelli che più acutamente, eppure laicamente, aveva sentito il sardismo per quell’impasto magico che esso era stato e continuava ad essere nonostante tutte le baruffe interne: impasto di idealità e di sentimenti, amore alla ritualità di territorio e di bandiera, pulsione missionaria in partibus infidelium, apostolato di vita prima che di parola – valeva infatti il magistero esistenziale di un Ovidio Addis per dire soltanto di Oristano.

Era una quercia di cultura sardista e politico-amministrativa, e prima ancora giuridica, Piero Soggiu, ad Oristano, nelle stagioni dell’esordio autonomistico e in quelle del radicamento istituzionale della Regione autonoma, con la sua legislazione e le rapsodiche difficoltà del rapporto con l’Amministrazione centrale dello Stato, oltre a quelle più immediate e imbarazzanti per l’inadeguatezza dell’apparato burocratico interno ereditato proprio dallo Stato.

Sul piano ideale l’alleanza dei sardisti con i repubblicani datava dal 1921, dallo stesso anno di fondazione del PSd’A (candidato repubblicano Agostino Senes e secondo dei non eletti nella lista sardista alle politiche di quell’anno), e prima ancora – nella preparazione del movimento dei combattenti – i rimandi a Mazzini e Cattaneo erano stati continui. Poi ancora nel 1924, con Lussu intervistato in prima pagina da La Voce Repubblicana. Poi nell’antifascismo clandestino e galeotto, in prigione insieme Michele Saba e Anselmo Contu (e già nel 1928 Ugo La Malfa venticinquenne e Titino Melis ventitreenne), in Spagna con gli Angeloni e i Viezzoli erano Zuddas e Giacobbe. Nella ripresa democratica i repubblicani sardi avevano sostenuto la lista del PSd’A alla Costituente e così nel 1949, quando addirittura Ferruccio Parri aveva animato molti comizi fra lo sventolio dei Quattro Mori… così alle regionali del 1953 e del 1957, così alle amministrative del 1960 e alle precedenti e alle successive, così alle regionali del 1961 e del 1965, così alle politiche del 1963, le prime orientate al centro-sinistra riformatore, con Giovanni Battista – Titino –  Melis deputato nel gruppo repubblicano ed esponenti sardisti inseriti nelle commissioni di lavoro nazionali del PRI, e le strutture direttive o sezionali dei due partiti fratelli coabitanti le stesse sedi…

Tonino Uras era vissuto così, giovane dirigente locale che da giovanissimo – allora ancora studente universitario – aveva partecipato ai primi nuclei sardi del Movimento Federalista Europeo, da sempre vicino alle formazioni di scuola democratica. La scuola democratica – autonoma da quella socialista e da quella liberale – che nel dato civile e istituzionale, prima ancora che in quello economico poneva il centro della libertà del cittadino e della società, in questo ancora una volta, ideologicamente, associando repubblicani e sardisti.

Salvatore Cubeddu ha dato ampio spazio, nel secondo volume del suo “Sardisti. Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia” (Cagliari, Edes, 1995), alla parte avuta anche da Tonino Uras nelle vicende approdate alla scissione del 1968 e al graduale passaggio in forze dell’ala “italianista” (o chiamala  “autonomista” in dialettica con la maggioranza in marcia accelerata verso un indipendentismo e un nazionalitarismo a suo parere, e a mio, senza sbocco il primo e senza orizzonti il secondo) nel Partito Repubblicano di composito assetto, fra mazzinianesimo (o aspronismo-tuverismo) storico ed azionismo modernizzatore.

Partecipai a tutti i congressi regionali repubblicani di quei primi anni ’70, e sempre incontrai Tonino Uras signore gentile, sorridente per nativa disposizione d’animo, positivo e concreto; così a molte direzioni regionali che spesso erano convocate proprio ad Oristano – piazza baricentrica nell’Isola – e appunto, per risparmiare l’affitto di una sala, nel suo studio legale. Intanto, consigliatura dopo consigliatura , era elemento di permanente rappresentanza dei repubblicani nel Comune di Oristano, e uomo forte elettoralmente anche nelle competizioni politiche per il Parlamento o il Consiglio regionale. Uomo forte ma non opprimente, mai, ogni nuovo talento al primo affaccio, anzi generoso e intelligente valorizzatore delle risorse offertesi alla collaborazione con la nostra minoranza. Per questo, tanto più per questo, riconosciuto per carisma di leader e mediatore.

Una scissione dolorosa ma necessaria, quella sardista del 1968. Una intervista inedita con Tonino Uras

di Alberto Medda Costella

Verso la metà del 2014, in preparazione di un dossier sul Partito Repubblicano Italiano in Sardegna nel cinquantennio della cosiddetta “prima repubblica” (1944-1994), nei piani di lavoro concordati con il professor Francesco Atzeni per gli Annali della Fondazione Ugo La Malfa, un focus territoriale lo fissammo sull’Oristanese, dandone incarico ad Alberto Medda Costella, giovane e valente studioso di storia civile ed economica della Sardegna. S’era pensato inizialmente a tre schede: una su Agostino Senes, figura storica del mazzinianesimo e dell’antifascismo oristanese, consigliere comunale negli anni precedenti la dittatura ed esponente di punta alla ripresa del secondo dopoguerra (designato anche nella Consulta regionale); una seconda su Ovidio Addis che, scomparso nell’autunno 1966, si risparmiò le dolorose tensioni scoppiate all’interno del Partito Sardo d’Azione alleato politico del PRI, ma da sempre vicino – anche come firmatario delle mozioni congressuali – alla corrente che quasi due anni dopo avrebbe deciso per la rottura con il PSd’A a causa della crescente affermazione della linea (invero ingenerosamente) definita “separatista”; una terza su Antonio (Tonino) Uras, leader di quel sardismo passato nelle file dei repubblicani nel marzo 1971, dopo un triennio circa di “parcheggio” nella formazione detta del Movimento Sardista Autonomista.

Medda Costella incontrò più volte, nel suo studio legale di Oristano, l’avv. Uras. Raccolse al registratore le sue dichiarazioni, gliele riportò in una prima stesura grafica, gliele riportò di nuovo emendate da valutazioni che egli aveva creduto di dover meglio esprimere, in uno sforzo perfino estremo, e faticoso, di buona memoria. Ma tutto ancora non soddisfece l’anziano esponente repubblicano, che i danni della salute malferma allontanavano talvolta dalla certezza di ricordare tutto e al meglio. Insomma, gli scrupoli del gentiluomo che intendeva offrire esattezza di riferimenti e non soltanto riverbero di impressioni remote, consigliarono a tutti – a lui per primo, a Medda Costella ed a me stesso – di soprassedere, per il momento. Riservandoci tutti di poter tornare in argomento e mettere meglio a fuoco quanto a lui non bastava di rendere nel modo o nella misura in cui aveva allora potuto.

Io stesso – impedito da mali miei di raggiungerlo ad Oristano – ebbi con lui una lunghissima, affettuosa telefonata. Era il pomeriggio di giovedì 30 ottobre 2014. Rievocammo in fraternità molti passaggi del comune inoltro nel servizio della politica, all’interno di una formazione di minoranza che molto ci onorò accogliendoci e offrendoci ogni spazio possibile; trattammo di altre comuni esperienze ideali e umanistiche che pure con la politica – cioè verso il bene pubblico – convergevano.

La scomparsa dolorosa di cui abbiamo avuto notizia ci ha indotti a riprendere in mano quel testo in cui, forse dopo lungo abbandono a pro esclusivo degli interessi affettivi e professionali, egli riportava la sua mente alle fatiche di un’età ancora rispondente, buona compagna di una generosità appassionata. Quella del bene superiore della sua Oristano, non però mai nel range localistico, quello di un territorio chiuso, ma nelle coordinate grandi che soltanto il mazzinianesimo italianista ed europeista tradotto dal sardismo delle origini gli garantiva.

Parrebbe di un qualche speciale interesse il suo giudizio politico ribaditamente laico e progressista (potrebbe dirsi – ad onta delle alleanze quasi obbligate – naturaliter antidemocristiano, e infatti le cronache politiche registrano episodi di mutua incomprensione fra l’onnivora DC oristanese e il grillo parlante del laicismo sardo-repubblicano) e una dichiarata propensione fieramente autonomistica offesa o mutilata da un certo scadimento del PSd’A ante-scissione in termini di opzioni clientelari, in parallelo a certo (supposto) demagogismo ideologico.

Certamente mesta (ma direi amaramente condivisibile) la conclusione. La cosiddetta “seconda repubblica”non ha mostrato nessuna delle virtù della “prima” e di questa ha invece raccolto e talvolta enfatizzato i vizi. Purtroppo anche a sinistra, non soltanto a destra: quella destra estranea da sempre alla cultura politica democratico-riformatrice dei repubblicani e, direi, dei sardisti del buon tempo credente (scivolati fra i populisti di forza italia e lega e parafascisti – tutti al minuscolo  per provato malgoverno – nella peggiore stagione che con la segreteria/presidenza di Giacomo Sanna si identifica, certamente non incrociando alcuna lode dalla storia che qualcuno scriverà un giorno). (Gianfranco Murtas)

1 – Avv. Uras, lei è stato fra i protagonisti della scissione sardista del 1967-68 conclusasi con la confluenza nel Partito Repubblicano Italiano nel 1971. È stato successivamente il maggior dirigente provinciale ad Oristano dei repubblicani e più volte anche consigliere comunale. In sintesi, come possiamo ricostruire la sua biografia politica?

Ho iniziato la mia attività politica nel Partito Sardo d’Azione, quando insieme a Marco Deidda avevo contribuito alla fine degli anni ’50 ad organizzare la sezione sardista di Oristano. Eravamo un bel gruppo, con una nostra sede e un nostro giornale creato nel ’58 (“Oristano Sera”). Si organizzavano riunioni, incontri, perfino balli, etc, che portarono ad un aumento considerevole dei consensi nei confronti del partito.

2 – Negli anni ’60 i maggiorenti sardisti nell’Oristanese erano senz’altro ancora Piero Soggiu, consigliere regionale fin dalla prima legislatura nel 1949, Emanuele Cau, già sindaco di Samugheo, Ovidio Addis – il grande intellettuale di Seneghe – e qualche altro. Lei era un giovane avvocato però attivo nel partito. Come ricorda quegli anni di vigilia di scissione nel PSd’Az cittadino e provinciale?

A questi sardisti che lei mi ha citato è doveroso aggiungere Italo Ortu sindaco di Bauladu e l’avv. Angelo Corronca che assunse la presidenza dell’Esit. Fu un periodo di grande sofferenza accompagnato da una grande confusione. Si sentiva la necessità del cambiamento, perché il dibattito all’interno del partito si era ormai cristallizzato alle sue beghe interne, anziché spostare il confronto a temi che mettessero al centro soluzioni per lo sviluppo generale della Sardegna. Noi oristanesi cercammo di portare il partito a incentrare le proprie discussioni sulle questioni politiche, ergo a riprendere la campagna per la richiesta di una piena autonomia della Sardegna, battaglie che in quel momento erano state accantonate. Infatti, gran parte dei sardisti oristanesi si mostrava insofferente rispetto a come Soggiu e Corronca portavano avanti l’attività del partito, troppo presi dagli impegni in Regione e dai posti di sottogoverno per ricordarsi dei principi su cui il Partito Sardo d’Azione era stato fondato.

3 – L’on. Giovanni Battista Melis era allora – nella IV legislatura (1963-1968) che fu anche la prima di centro-sinistra – deputato eletto nella lista Edera ma con candidati quasi tutti sardisti e attivo membro dello sparuto gruppo parlamentare repubblicano a fianco a Ugo La Malfa. Dunque il PSd’Az era legato da uno stretto patto politico non soltanto elettorale con i repubblicani. Si disse che fu la titubanza dell’on. Melis, che era anche direttore regionale del partito, a contenere il fenomeno separatista dei Simon Mossa che intanto cresceva soprattutto nel Sassarese, a creare i primi malesseri “ideologici” all’interno del PSd’Az, tanto da portare alla scissione. Altri sostengono che all’origine della rottura fu la ribellione di diversi dirigenti per lo spazio marginale loro riservato nella maggior dirigenza. Uomini come l’on. Puligheddu (assessore all’Agricoltura) a Nuoro o il dottor Corona a Cagliari (assessore provinciale) chiedevano un ampliamento di quegli spazi, anche perché essi erano degli autentici uomini-voto. Vista da Oristano, quale era la condizione generale del Partito Sardo in quegli anni?

Parte della situazione era certamente imputabile a queste sue considerazioni, ma dopo che il Partito Sardo era entrato in giunta regionale, a molti tesserati, compresi noi di Oristano, aveva dato fastidio che chi ci rappresentava si fosse adeguato alla politica clientelare e di corto respiro con i democristiani, socialisti, etc, con un conseguente calo dei consensi, tralasciando i problemi della Sardegna senza più fare riferimento a quei i principi per il quale il PSd’Az era nato, ossia un’attuazione piena dell’autonomia. I sardisti del secondo dopoguerra, che provenivano in buona parte dal Partito d’Azione, o direi meglio: che con Lussu qualche importante condizionamento avevano ricevuto dalle esperienze nazionali, e certamente potevano qualificarsi progressisti, non erano mai stati fiancheggiatori della Democrazia Cristiana, perché avevano una forma mentis che andava contro i principi cattolici o per meglio dire, che rispondeva a una visione laica della vita sociale.

4 – Quando si decise per la scissione, quale fu la sua parte? Quali erano i suoi maggiori collegamenti con i dirigenti “ribelli” del Cagliaritano (Oristano allora era ancora nella provincia di Cagliari) e delle altre provincie, e quali furono le prime mosse organizzative per passare dai propositi all’azione?

Armando Corona a parte, al tempo medico condotto di Ales, cioè del cuore della Marmilla e consigliere provinciale del PSd’Az, i nostri maggiori interlocutori e anche sodali erano soprattutto i sardisti nuoresi. L’incrinatura dei rapporti al nostro interno coincisero con l’emergere della figura di Antonio Simon. Si realizzò una spaccatura e io ne ebbi parte rilevante insieme col gruppo di Oliena guidato dall’on. Puligheddu consigliere regionale e in quegli anni anche assessore all’agricoltura e  con i sassaresi che come maggiore riferimento avevano l’altro consigliere Nino Ruju. Ritenevamo di portare il partito alle vecchie basi sardiste, ossia a una Sardegna riconosciuta anche in Europa come regione autonoma. D’altronde noi avevamo iniziato la nostra attività nel PSd’Az come sardisti proiettati in un mondo che era quello che La Malfa difendeva a livello italiano. Quando si trattò di fare una scelta, decidemmo di seguire quello che la coscienza ci consigliava, avvicinandoci al Partito Repubblicano, che fino a quel momento praticamente non esisteva. A Oristano non vi era alcuna struttura organizzativa, ma esistevano diversi sardisti lamalfiani. Dopo il congresso di Cagliari del febbraio 1968 eravamo ufficialmente fuori dal Partito Sardo d’Azione.

5 – Il Movimento Sardista Autonomista che costituiste fra il 1967 e il 1968, e cui facevano riferimento in Consiglio regionale i due consiglieri scissionisti Puligheddu e Ruiu (quest’ultimo primo coordinatore del MSA) e anche l’on. Salvatore Ghirra, già segretario regionale della CGIL, appena uscito dal Partito Comunista Italiano, resse tre anni circa. Cosa ricorda della vita interna del Movimento in quel passaggio di decennio? Nel 1968 il simbolo dell’Isola – cioè il vostro simbolo – si sovrappose a quello dell’Edera alle politiche, idem l’anno successivo alle regionali (quelle che elessero l’on. Corona), idem ancora nel 1970 alle provinciali e comunali.

Fu certamente un periodo sofferto per noi, perché già nel PSd’Az eravamo pochi. Al tempo eleggevamo infatti quattro o cinque consiglieri regionali e vedere che questo partito andava a dividersi ulteriormente fu per noi un dolore veramente grande. Con la nostra fuoriuscita il PSd’Az ebbe una conseguente perdita di consensi. Molti sardisti si schierarono con i repubblicani, ma senza apparati di partito.

6 – La confluenza nel PRI fu un dato scontato dall’inizio o qualcuno, all’interno del MSA, pensò fosse possibile un recupero di unità con PSd’Az (benché sia da dire che il PSd’Az aveva formalizzato la vostra espulsione)?

No, nessun ripensamento nessun dubbio: eravamo lamalfiani. La strada era quella per il centro-sinistra riformatore, meridionalista e autonomista.

7 – Il vostro gruppo di Oristano contava certamente sulla personalità rilevantissima di Ovidio Addis. Date le relazioni personali e l’impostazione ideale politica di Addis, lei ritiene che se fosse sopravvissuto avrebbe aderito anche lui alla operazione della scissione sardista che portò alla creazione del Movimento Sardista Autonomista che poi confluì nel Partito Repubblicano?

Impossibile a dirsi. Era una personalità fortemente legata al Partito Sardo, a cui poco importava la carriera politica, premeva invece far sì che il partito fondato da Lussu rimanesse ben ancorato ai suoi ideali. Con Ovidio Addis ero legato da una profonda amicizia, tanto che lo feci commemorare in cimitero qui a Oristano.

8 – Come si attrezzò, organizzativamente, il nuovo PRI oristanese dopo il 1971, cioè dopo la vostra confluenza al XII congresso regionale repubblicano cui partecipò anche l’on. La Malfa?

Io diventai coordinatore a livello oristanese, adoperandomi per aprire una nostra sede, esattamente in via Garibaldi, che fungesse da punto d’incontro per tutti i repubblicani della costituenda provincia di Oristano.

9 – Quali furono le vostre scelte politiche sul territorio, in particolare dopo che, nel 1974, si costituì la Provincia di Oristano? Quali le vostre esperienze di maggioranza o di opposizione rispetto alle varie amministrazioni in Provincia e al Comune?

Abbiamo partecipato a quasi tutte le giunte comunali oristanesi e quelle provinciali che si sono costituite, pressoché sempre a guida democristiana a parte la parentesi di Maria Teresa Secchi in provincia, ma le forze modeste del partito non ci hanno consentito di mettere al centro dei vari programmi di giunta le nostre idee. Il nostro contributo è stato solamente di tipo propositivo.

10 – Quali sono state le personalità di maggior spicco del Partito Repubblicano Italiano ad Oristano e provincia lungo gli anni ’70, ’80 e primi ’90?

In un primo tempo Armando Corona ad Ales, ma sicuramente l’avv. Piero Carloni che divenne consigliere comunale a Oristano nella legislatura 1975/80, l’allora giovane avv. Sergio Segneri, che pure fu consigliere comunale negli anni successivi, Boricheddu Trogu, Berto Muroni di Tresnuraghes (N.d.R. padre dell’attuale direttore de “L’Unione Sarda”), inoltre, Raffaele Peralta che entrò in giunta in provincia con Peppino Chessa presidente (N.d.R. dal novembre ’84 all’agosto ’90).

11 – Davanti alle novità anche delle regole elettorali del 1994, e al fenomeno Berlusconi che sostenne di voler comprendere in Forza Italia le diverse energie del pentapartito DC-PSI-PSDI-PRI-PLI, come si atteggiarono i repubblicani oristanesi? Si divisero fra i destri e i sinistri come altrove?

Eravamo troppo pochi per poter fare una scelta e con quelle elezioni della primavera 1994, all’insegna del maggioritario e non più del proporzionale, il Partito Repubblicano scomparve dalla scena pubblica rinunciando a portare avanti le sue idee in nuovi soggetti politici che in quel periodo andavano a formarsi anche a Oristano.

12 – Cosa rimane oggi di quella esperienza?

Non è rimasto nulla.

 

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