Gianfranco Contu, democratico socialista, federalista, massone giustinianeo, di Gianfranco Murtas
A un anno dalla morte, sembra doveroso portare un pensiero di rinnovata gratitudine alla memoria di Gianfranco Contu: all’uomo e al democratico consapevole dei valori universali nei quali egli, di formazione lussiana, aveva saputo inquadrare la sua tensione autonomistica, che derivava dai grandi della scuola federalistica italiana e sarda, da Cattaneo a Tuveri. Sommario: Un lussiano critico e gentile. Il medico e il professore. Il massone della loggia “Sardegna” .
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Un lussiano critico e gentile
Mogorese, sardo sardissimo ma, per elezione democratica, socialista, federalista, cittadino del mondo. Io ho questa immagine di Gianfranco Contu, amico perduto un anno fa. Compagno di ricerca storica e di scrittura, fratello di idealità umanistiche. Grande onore mi riservò Alberto – il suo primogenito – coinvolgendomi nella preparazione del “liber amicorum” che, con una signorilità delicata, gli donò in una memorabile serata del 2012, nell’aula solenne del palazzo regio di Cagliari.
Ho pensato da tempo come poterne onorare la memoria, nell’anniversario della sua caduta, del suo ritiro dalle relazioni sensibili per confinarsi nel non tempo della libertà assoluta. E restare forse soltanto nel grato sentimento di chi lo ha amato nel giro degli affetti familiari ed amicali, ma anche di chi ne ha goduto la competenza medica e, del medico, l’afflato partecipativo; e nell’ammirazione di quanti si sono accostati alla sua ricca produzione storiografica e politologica, talvolta condividendo talaltra distanziandosi dalle sue conclusioni sovente controcorrente e innovative (si pensi agli studi sulla guerra di Spagna degli anni ’30 e circa le gravi contraddizioni del fronte repubblicano, per una innaturale compresenza di stalinisti e di democratici liberali e socialisti, e anche sardisti).
Qualche tratto della sua biografia professionale e di studioso bianime – medicina e storia civile – è giusto riproporlo, è necessità nostra richiamare qualche traccia mirata della sua bibliografia, che resta dono di generosità di un cavaliere, anche lui senza macchia e senza paura, come altri della minoranza politica cui mi ascrivo, preceduto dai grandi, da Lussu e Titino Melis, da Pintus e Fancello, da tutta GL e dai credenti repubblicani, da Michele Saba e dai più antichi, da Asproni e Tuveri, e più su, da Mazzini e Cattaneo e Garibaldi. Se avessimo dovuto trovare un nome per suggellare l’incontro, forse lui avrebbe detto Carlo Rosselli pensando alla scena dell’Europa combattente, o Giovanni Battista Tuveri pensando alle fatiche redentive della Sardegna in tempo ancora di monarchia e di liberalismo autoritario. Non avrei negoziato altre soluzioni, pur sentendomi io più prossimo a Nello, nel primo caso, a Giorgio Asproni nel secondo. Valevano i suoi amori, che erano grandi, e consentivano gustose inclusioni nel range che gli avrei proposto di definire soltanto “democratico”, trovandolo finalmente disponibile all’intesa. Com’è stato bello conoscere Gianfranco Contu!
Classe 1932, era un sabato quel 4 di giugno in cui venne al mondo. Si pensi: quello stesso giorno, sul Gianicolo, il duce del fascismo presentava a Vittorio Emanuele III e alla regina Elena il monumento eretto in onore di Anita, la moglie brasiliana di Garibaldi, «galoppante, nell’atteggiamento di guerriera che insegue il nemico e di madre che protegge il figlio». Così dopo l’infausta sorte della Repubblica Romana che aveva visto il sacrificio di Goffredo Mameli, ucciso ventunenne da una palla francese e dalla cancrena seguitane ad una gamba. Vantava, anzi millantava il dittatore una illusoria sequela ideale fra l’anima garibaldina e quella del fascismo: «se per un prodigio il Cavaliere bronzeo, che sorge qui vicino, diventasse uomo vivo e aprisse gli occhi, mi piace sperare che Egli riconoscerebbe la discendenza delle sue Camicie rosse nei Soldati di Vittorio Veneto e nelle Camicie nere, che da un decennio continuano, sotto forma ancora più popolare e più feconda, il suo volontarismo, e che sarebbe lieto di posare il suo sguardo su questa Roma luminosa, vasta, pacificata». Ma il risorgimento italiano – pur approdato alla soluzione monarchica e centralista, diversa da quella evidentemente preferita, e direi pretesa, dal sentimento repubblicano e federalista di Gianfranco Contu – non preparò il fascismo, che ne fu anzi la corruzione, la contraddizione. Rimaneva piena di senso in noi, in Gianfranco Contu e, modestamente, in me, la formula del presidente Ciampi: risorgimento, resistenza, costituzione. Restavano una stella polare i valori universali della politica democratica entro cui, non fuori, deve potersi collocare ogni impulso politico d’amore alla propria terra, alla propria gente, alla soggettività della propria storia.
Il medico e il professore
Studiò medicina e si laureò nel luglio 1958. Quattro anni dopo era specialista in ostetricia e ginecologia, dopo altri tre specialista anche in urologia. Nella primavera 1969 ottenne la libera docenza in anatomia chirurgica e corso di operazioni. Fra il 1970 ed il 1973 riunì gli incarichi di assistente ordinario dell’Istituto di anatomia chirurgica dell’università di Cagliari e di direttore f.f. dello stesso Istituto. Per quattro anni, dal 1973 al 1977 resse, come dirigente, il servizio di chirurgia sperimentale nell’Istituto oncologico, e dall’anno successivo assunse la direzione del servizio di ginecologia oncologica e sociale nell’ente Regionale Tumori. Intanto, dal 1975, era stato incaricato di anatomia ed embriologia presso il corso di specializzazione in ostetricia e ginecologia dell’università.
Quando lo incontrai aveva al suo attivo, oltreché questa bella carriera professionale, già una trentina di pubblicazioni scientifiche, proseguite ancora nel tempo, ancora nel 1985, nel 1989 ecc.
Ma non parlavamo di questioni mediche quando ci trovammo, parlavamo di Tuveri e dei suoi amori federalistici , parlavamo degli incroci con i suoi dei miei amori repubblicani e sardo-azionisti: questi anzi divennero col tempo, sempre più, anche e integralmente i suoi, magari sul preferenziale settore socialista. D’altra parte egli era nato sardista lussiano, aveva seguito Lussu, lui giovane neppure diciottenne, nella fondazione del Partito Sardo d’Azione socialista, e dopo ancora, sul finire del 1949, nel PSI di Nenni e Basso. Non l’avrebbe seguito nel 1964, quando fu – in ostilità al progetto riformatore del centro-sinistra moroteo – fra i promotori della scissione socialista e della nascita del PSIUP. Gli azionisti socialisti – quelli che erano stati nella dirigenza degli anni 1943-1947 (anno, quest’ultimo, in cui i resti del Partito d’Azione, dopo la defezione di La Malfa e Parri confluiti nel PRI, opzionarono la definitiva adesione al PSI) – s’erano divisi fra loro quella volta: De Martino o Lombardi nel tronco fedele e paziente, Lussu con Foa o Schiavetti nel nuovo partito tutto dogmatico.
Gianfranco Contu socialista senza Lussu dal 1964. Ma personalità ormai matura, professionista di rango, intellettuale libero, poteva permettersi una militanza autonoma, senza stretti referenti. I referenti restavano i valori e la militanza si faceva, se non marginale, certamente più discreta. Un po’ perché quello era lo stile dell’uomo, il suo temperamento, un po’ perché alle insufficienze registrate nella politica aveva deciso di non dare alcuna enfasi, crescendo in lui, semmai, l’interesse a viaggiare nel mondo delle idee e delle esperienze ideali tradotte nella vita – che è come dire nella testimonianza – dei maggiori. Più di tutti dei maggiori sardi. Accostando così il suo socialismo federalista – una formula che io lamalfiano avvertivo come un ossimoro, perché il socialismo ovunque si sia affermato è stato centralista, e nessun partito come il Partito Socialista Italiano è stato difensore di istanze centraliste negli anni faticosi della Costituente e della Consulta regionale – alle elaborazioni nazionalitarie che intanto salivano da più fronti dell’intellettualità sarda.
Io mi permetto di dire: accostando, non sposando. Ogni volta che con me – regionalista sul filo di un italianismo senza cedimenti – egli poté ridurre all’osso la sua idea federalista, sempre mi assicurò quanto peraltro era anche nei suoi libri che via via allora entravano in distribuzione. Il suo lato nazionalitarismo non era in alcun modo chiuso all’Italia ed ai valori universali che connotano un partito politico degno veramente di questo aggettivo qualificativo – qualificativo! – anche nella modernità, strappato cioè ad ogni impaccio localista che comunque impoverirebbe e mortificherebbe. Figurarsi! di ideali e valori universali Gianfranco Contu ha riempito la sua vita, e lo studio dei percorsi ideali e politici di indipendentisti sulle tante frontiere dell’Europa e del Mediterraneo non ha mai significato per lui la prefigurazione per la Sardegna di una dimensione nell’autosufficienza , nella estraneazione dalla vita, non soltanto politica e istituzionale, ma anche culturale e civile, dell’Italia repubblicana, o dell’Italia tout court.
Un medico che leggeva di storia, che faceva ricerca, che s’era dato, dal 1973, a pubblicare gli esiti dei suoi lavori, associando sempre più le sue monografie alle collaborazioni a riviste, a cominciare da “Nazione Sarda” – così dal 1977, essendo di quella testata anche membro della redazione diretta dall’indimenticato Antonello Satta – e da “La Grotta della Vipera”, fondata e diretta da Antonio Cossu, personalità altrettanto cara.
Così, quando uscì per i tipi della EDES (la editrice fondata da Alberto Pinna con il nostro Vindice Ribichesu e altre colonne del giornalismo isolano) il volume sul pensatore di Collinas – “G.B. Tuveri, vita e opere” – si potrebbe ricordare che una anticipazione ne aveva dato cinque anni prima scrivendone su “Sardegna Fieristica”, la bella rivista annuale gemellata all’ “Almanacco di Cagliari” (altra testata alla quale ripetutamente assicurò la sua collaborazione, così come fece – da vero habitué – ai “Quaderni Bolotanesi” di italo Bussa).
Una evidenza certa della sua generosità civile e intellettuale è, a mio parere, proprio nel raggio largo delle sue collaborazioni. Credo non si sia negato a nessuno che gli abbia chiesto un contributo. Non dava pagelle alle tribune che l’accoglievano e talvolta, o spesso, lo chiamavano: “Nuova Repubblica” e “Sa Republica sarda”, “Sardegna Nuova” ,”Il Popolo Sardo” e “il Cagliaritano”, “Quaderni del Mezzogiorno e delle Isole” e “Quaderni sardi di filosofia e scienze umane”, e altre dieci o venti testate sparse…
E con le monografie e le collaborazioni a riviste (l’OPAC ne ha censite complessivamente 50, incluse due di carattere medico: potrei dire che moltiplicando per tre e anche per quattro non si sbaglierebbe di molto), segnalerei le partecipazioni convegnistiche, ancora soprattutto di carattere storico con riferimento alle vicende del sardismo e dell’azionismo (a partire dal movimento di Giustizia e Libertà), del federalismo e del nazionalitarismo. Fra il molto altro ricorderei la sua relazione (“Federalismo e nazionalità nella cultura sarda dell’Ottocento”) al Convegno internazionale nel quarantennale dello Statuto sardo, celebratosi a Cagliari nel 1988, o quella (su “Emilio Lussu e la Sardegna” ) al seminario promosso da Fondazione Sardinia nel 1991, i cui atti sono stati successivamente pubblicati proprio a sua cura.
Francesco Fancello – il Cino d’Oristano delle collaborazioni alla salveminiana “Volontà” di Vincenzo Torraca, in cui scrivevano anche Parri e Lussu e Bellieni ecc., e di “La Critica Politica” del repubblicano Oliviero Zuccarini – era uno dei suoi grandi amori, dei novecentisti forse il maggiore, anche più di Lussu: sardista, gielle, azionista, socialista. A lui dedicò, Gianfranco Contu, molti studi e diversi scritti: così nell’edizione 1999 dei “Quaderni Bolotanesi” (“Francesco Fancello, teorico e militante dell’Azionismo”, rifluito poi in un apposito opuscolo stampato, nello stesso anno e con lo stesso titolo, dall’Associazione culturale Raichinas e Chimas di Dorgali), ma anche al convegno di Cala Gonone del maggio 2000 (la sua corposa relazione su “Francesco Fancello e il socialismo contadino” è compresa negli atti “Omaggio a Francesco Fancello politico, narratore, giornalista”, a cura di Nunzia Secci, Cagliari, con mia introduzione, Condaghes, 2001); così pure, per larga parte, Fancello domina la scena di “L’azionismo in Sardegna” (1995), secondo quaderno del Movimento d’Azione Giustizia e Libertà, da Contu stesso promosso in Sardegna e nel maggior campo nazionale, e con significativa dedica «Al compagno Aldo Garosci, insigne esponente di GL e della Resistenza antifascista». Garosci – vale la pena ricordarlo – gielle e azionista biografo di Carlo Rosselli, ma anche esponente della socialdemocrazia (per quel tanto che il PSLI, poi PSDI di Giuseppe Saragat, assorbì dell’azionismo in frantumi) e presidente dell’AMI, l’Associazione Mazziniana Italiana.
Sarebbe cosa santa ricostruire una scheda bibliografica completa di Gianfranco Contu – io stesso potrei o dovrei applicarmici, dato che credo di possedere l’intera sua produzione e ampia parte anche dei suoi interventi nella pubblicistica. Fra il moltissimo ricorderei, su “L’Unione Sarda” della metà degli anni ’80, un “Viaggio attraverso il problema delle nazionalità” che superò le venti puntate! e non mancò di indugiare anche su “La resurrezione del sardismo”, come titolò la ventesima, e su “I termini concreti della questione nazionale sarda”, come titolò la ventunesima, in quell’agosto 1984, tempo di giunte Melis… Ma ricorderei altresì, per omaggio alle fatiche (replicate) di Fondazione Sardinia, almeno il saggio “Concetti indispensabili per l’applicazione del federalismo : una proposta per la Sardegna (in 8 tesi)”, contenuto in “L’ora dei sardi”, a cura di Salvatore Cubeddu, Cagliari, 1999.
Forse con ben maggiore competenza, potrebbe Alberto Contu donare lui, alla comunità degli studiosi del federalismo e in generale della democrazia avanzata repubblicana e socialista, un compiuto report sulla produzione paterna, che egli ha affiancato per lunghi anni, definendo nel tempo un crescente suo spazio autonomo di altissimo livello scientifico, come peraltro gli è unanimemente riconosciuto.
Aggiungerei, in conclusione, almeno un ricordo flash sulla comune partecipazione – e con noi era Salvatore Cubeddu – a una serata organizzata dal Comune di Ussana nei bellissimi locali del Monte Granatico appena ristrutturato e adibito per il grosso a biblioteca civica: per “Silvio Mastio. Eroe sardo” all’insegna di un percorso ideale rivoluzionario, con la passione del patriota risorgimentale, con Mazzini e Garibaldi nel cuore, per cui… ogni patria è la mia patria: “da Ussana al Venezuela”. Gli atti avrebbero dovuto essere pubblicati dal Municipio usssanese, ma l’infelice amministrazione seguita a quella che così si era impegnata ha disatteso la parola. Ognuno dei relatori ha trovato poi dove pubblicare il proprio testo: Gianfranco Contu sul numero 14-15 (luglio-dicembre 2007) di “Il Popolo Sardo”.
Il massone della loggia “Sardegna”
Nelle settimane calde in cui i giornali isolani, insufflati dalle modeste e contingenti manovre di un PDS che cercava massoni in casa per sistemare partite interne fra correnti sotterranee, Gianfranco Contu uscì, su “Sa Republica Sarda”, con un lungo articolo di due pagine titolato “La caccia alle streghe contro la Massoneria”, a conclusione del quale in un riquadrato venivano presentati «alcuni illustri nomi della Libera Muratoria» distinti per nazionalità. Uno spazio, ancorché soltanto indicativo dell’area ideale, fra tardo Settecento e pieno Novecento, era riservato specificamente alla Sardegna.
E in una loggia dantesi il titolo distintivo proprio di “Sardegna” egli stesso era stato iniziato a Cagliari il 28 maggio 1984. Sono quasi trentadue anni fa. Pur ovviamente non ostentandola, egli questa militanza l’aveva sempre difesa e onorata, mai nascondendola. E con chi poteva capirne qualcosa aveva anche sempre accettato di trattarne, liquidando quelli che, sapendo già tutto di tutto e di tutti – i dogmatici («che non pensano») di cui scrive Bertold Brecht nella sua “Lode del dubbio” –, potevano infine fare a meno di discutere e confrontarsi.
Quel giorno di fine primavera, a Cagliari, nel Tempio di Genneruxi, egli dunque s’era presentato ed aveva prestato la sua promessa solenne, un giuramento di galantomismo e lealtà, nient’altro che questo, nel rispetto pieno delle leggi della Repubblica, e naturalmente della sua costituzione che l’assemblea di Montecitorio aveva approvato – varrebbe la pena di ricordarlo agli immemori – per il concorde apprezzamento delle forze politiche democratiche ed antifasciste, sulla proposta uscita dalla Commissione dei 75 presieduta dal massone Meuccio Ruini.
Rispondendo ai quesiti canonici previsti dal rituale massonico circa i doveri dell’uomo verso se stesso, verso la Patria e verso l’Umanità, così egli si era espresso: «Rafforzamento al massimo grado dello spirito di tolleranza verso il prossimo; impegno a comprendere e rispettare le idee dei propri simili anche se discordanti dalle proprie», «Tenendo fermo l’amore per la propria culla nazionale, i doveri verso la Patria s’intendono verso una Patria più vasta, i cui confini coincidono con quelli del mondo intero»; «Accettazione dello spirito di fratellanza universale, dell’amore verso i propri simili, senza conoscere barriere di nazionalità, di razza, di classe sociale, di fede religiosa o di carriera politica».
Ben potrebbe dirsi come l’uomo e il cittadino, l’intellettuale e il democratico collaudato nelle prove della vita privata e pubblica, il militante socialista e federalista, poteva confermare – senza nulla cambiare – il suo credo morale e civile, giusto così come altri, nel suo stesso filone ideale – potrei dire di grandi personalità, personalità d’oro come Antonello Satta e Francesco Masala o magari Eliseo Spiga, né solo loro a Cagliari, e quanti altri a Sassari, Alghero e altrove – avevano fatto negli anni precedenti o in quelli stessi, o avrebbero fatto in futuro. Quando, vorrei precisarlo, prima e più ancora della stretta militanza, della tessera cioè, contava la confessione di fede, la pubblica dichiarazione dei principi ispiratori della propria vita nella società degli uomini e, con la confessione ideale, la testimonianza della vita. Libertà e democrazia, civiltà del pensiero, ecco tutto.
Fu promosso al grado di Compagno d’arte – alla competenza della socialità rituale cioè – il 9 dicembre 1985, e successivamente, il 23 giugno 1986, alla Maestria, status che gli consentiva l’accesso alle maggiori funzioni anche di governo della loggia, da lui peraltro pressoché sempre ricusate, sentendosi nell’ambiente fraternale più uomo d’ascolto e di parola che di amministrazione.
Aveva steso molti lavori, tanto più d’impegno civile, secondo la sua indole e preparazione, sempre con quell’input umanistico che ne distingueva il tratto, l’intelligenza e la cultura. Il pensiero federalista, mai nazionalitario localista – lo ripeto – , contraddittorio con le più elementari tavole universaliste della Libera Muratoria, s’era affacciato varie volte nel Tempio massonico di Cagliari grazie a lui, anche se, fortunatamente, non soltanto a lui. Gli stessi simbolici “nodi d’amore” che distinguono da secoli ormai – ché il prossimo 2017 saranno tre secoli esatti del lancio della Massoneria speculativa dopo la stagione delle corporazioni di mestiere e quella rosacruciana – l’altrettanto simbolico cordone teso lungo i fianchi dell’aula rituale, richiamando l’unità universale del genere umano, oltre le razze e religioni e culture, affermavano nel contempo, per lui, le individualità relazionali e dialogiche, mai le monadi in innaturale autocelebrazione o autosufficienza.
Anche di questa corposa esperienza liberomuratoria nella Comunione di Palazzo Giustiniani compiuta da Gianfranco Contu per lunghi anni nella sua età matura meriterebbe un giorno, dandosene la possibilità documentale, di dare conto. Per l’onore suo, oltre che dell’istituzione massonica che ha da esserne orgogliosa, e impegnata, anche a Cagliari, ad una finezza che pare molte volte, purtroppo, in questi tempi barbari, ferita da chi vive il conformismo del contingente senza prospettive di storia.