MONUMENTO A LUIGI OGGIANO, “l’avvocato dei poveri’, a cent’anni dalla nascita, dedicatogli dai suoi concittadini di Siniscola
Una nota di sito SINISCOLA NOTIZIE, l’importante saggio di L. Oggiano sui caratteri dell’AUTONOMIA sarda e sul programma politico sardista (luglio 1944), un commento di Michele Columbu nel 1976.
Nel giorno della sua nascita, avvenuta il 7 gennaio del 1892, Siniscola ha ricordato la figura di Luigi Oggiano, avvocato dei poveri, antifascista e senatore del Psd’az, partito che aveva contribuito a fondare insieme a Emilio Lussu e Camillo Bellieni.
Cinque gli appuntamenti promossi dall’amministrazione in collaborazione con la Biblioteca gramsciana e l’Università della terza età: due convegni (uno al mattino per gli studenti e uno di pomeriggio) nell’istituto tecnico che porta il suo nome; due cerimonie di scoprimento (il busto in bronzo realizzato da Alfonso Silba in piazza del mercato e una ceramica realizzata da Mimmo Bove presso la casa Oggiano); la presentazione del dvd “Luigi Oggiano: Una biografia per immagini”.
All’inaugurazione del busto, oltre ai tanti cittadini accorsi, hanno preso parte i sindaci del territorio, alcuni di essi (come Roberto Tola di Posada e Angelo Carta di Dorgali) esponenti del partito sardo d’azione. Partito presente anche con il drappo dei quattro mori bordato di nero, brandito al vento da due esponenti della sezione locale, e con il presidente Christian Solinas che si è soffermato sui valori di Oggiano e sull’attualità del suo pensiero. Concetti già espressi dal sindaco Celentano nel suo intervento di inaugurazione della statua. Non è mancata la benedizione del parroco don Orunesu e la recitazione di un’ottava in italiano.
La tappa pomeridiana alla Casa Oggiano, con la presentazione della ceramica di Mimmo Bove (che ha dichiarato di aver voluto rappresentare la maturità dell’avvocato) e la proiezione del dvd, ha anticipato il secondo convegno della giornata.
All’appuntamento, moderato dal presidente dell’Ute Antonio Murru, hanno preso la parola cinque relatori: il sindaco Celentano (che è ritornato sull’attualità del pensiero oggianese); il presidente dell’Ordine degli avvocati di Nuoro Roberto Corrias (secondo il quale «Oggiano si è comportato da avvocato in tutta la sua esistenza»); Luigi Manias della Biblioteca Gramsciana (intervenuto sugli atti del convegno del 2014 e sulle prospettive di ampliamento della ricerca); lo storico sassarese Guido Melis (soffermatosi sull’antifascismo nuorese e sul ruolo degli avvocati in contatto con la realtà barbaricina); il giornalista Giacomo Mameli («con le sue lezioni sulla cooperazione, sull’autonomia e sull’istruzione, Oggiano era il teorico del partito insieme a Bellieni»). Assente il senatore del Pd Luigi Cucca.
A seguito delle relazioni è stato aperto il dibattito al pubblico. Ciò ha dato la possibilità di sviluppare ulteriori temi quali lo scontro di visioni con Emilio Lussu (Lorenzo Palermo), il difficile rapporto con l’elettorato siniscolese a causa del ruolo della Democrazia cristiana (Franco Floris), il muro alla deriva sardofascista del Psd’az (Bachisio Porru), la questione del sovversivismo attribuito ad Oggiano (Rita Bomboi). Intervenuto anche il sindaco di Nuoro Andrea Soddu («Luigi Oggiano era il “maestro” di mio padre»).
REGIONE – ENTE REGIONALE – FEDERALISMO, di Luigi Oggiano
(articolo uscito su FORZA PARIS!, numero unico dedicato ai lavori del VI congresso regionale del Partito sardo d’Azione (Macomer 29 – 30 luglio 1944), pubblicato a Nuoro il 20 agosto 1944 direttore responsabile: G. B. Melisi Tipografia Editrice Nuorese.
Siamo già ad un momento di notevole maturazione del nostro pensiero politico: le idee sono più i istituti più o meglio definiti.
Nel 1921 noi del Partito Sardo sapevamo già quale funzione doveva essere riservata e riconosciuta alla Regione, ed in ogni caso alla Sardegna, e verso quale assetto doveva avviarsi lo Stato perché avesse luogo il rinnovamento che, dopo la prova dell’unitarismo e dell’accentramento imposti da una piccola parte al resto dell’Italia nel timore che questa non prendesse vera e robusta consistenza, appariva assolutamente indispensabile. .
E, pur non potendo allora pensare ad imporre la soluzione del problema istituzionale poiché soprattutto importava combattere a fissare ed attuare le premesse di tale problema e le condizioni dell’autonomismo, sapevamo ed affermavamo che la nostra battaglia, ove le altre Regioni (soprattutto del Meridione) ci avessero seguito, doveva concludersi col Federalismo.
Vi fu – in queste prime affermazioni della nostra pratica politica e per necessità superiori contingenti – una sosta, non una rinunzia e nemmeno un ammorbidimento o una esitazione, nel perseguire quell’ultimo fine. Dovevano riunire tutte le coscienze e tutte le volontà isolane, anche quelle che non percepivano bene l’importanza di quel fine, per l’attuazione del primo proposito e scopo: il risveglio, l’unione e la esaltazione delle energie nel SARDISMO per la creazione del nuovo, e veramente rivoluzionario, movimento politico. In un impeto, che non sarà mai dimenticato e sarà sempre considerato come uno dei principali fattori della vitalità, profondità e generalità del successo, conquistavamo le amministrazioni comunali, l’amministrazione provinciale di Sassari, buona parte di quella di Cagliari, e vari seggi alla Camera. Dappertutto, nonostante la furibonda e spesso sleale ostilità delle vecchie formazioni o conserterie politiche, giungevano il soffio rinnovatore, la nuova azione, il fervore e la fede del Partito Sardo. Mutato o in mutamento l’aspetto politico dell’Isola, si avviava a trasformazione, con una celerità che appariva (tanta rispondenza aveva nelle masse) l’assetto economico-sociale: a centinaia sorgevano e fiorivano le cooperative di produzione, di lavoro, di consumo. Chiunque esamini ora i risultati di quello sforzo e sia pure i non riusciti o
non fortunati tentativi, e però non sia accecato da contraria preconcetta passione di parte, deve riconoscere che forse nessun altro partito riuscì mai, in nessun luogo, a compiere in così breve tempo opera tanto vasta e risanatrice.
D’altra parte i motivi della battaglia prevedevano (dovevano prevedere) il caso che le altre regioni non potessero e non volessero seguire la Sardegna nell’assalto alle vecchie istituzioni e posizioni; e per questo il Sardismo affermava il linea teorica e pratica che, Federalismo o no, l’Isola nostra doveva avere la sua AUTONOMIA, cioè la sua creazione particolare di Ente o Stato Regionale, da attuare in raccordo con lo Stato italiano ove questo non contrastasse, ed in opposizione o senza raccordo con lo Stato Italiano ove questo contrastasse e soprattutto pensasse a distruggere il nostro movimento.
Ecco quindi ben precisata la natura e la posizione della Regione nella compagine della Nazione o, in estrema ipotesi, contro di essa.
Su questo punto non è intervenuto e non può intervenire modificazione. Se gli «altri» non vorranno, vorremo noi della Sardegna, per noi stessi, indipendentemente dagli altri e, ove occorra, contro gli altri.
G li «altri» però ora comprendono meglio e sono già in molti a considerare che solo sulla base dei principi del Partito Sardo può essere assicurata anche la salvezza loro.
Dal punto di vista nostro la Regione deve essere un Organismo capace di soddisfare alle esigenze dell’Isola in tutti i casi. L’Organismo è, si può dire, eguale tanto se tutte le Regioni italiane reclamino o impongano la soluzione che può. chiamarsi «nostra», quanto se esse stiano neghittose o indifferenti a battere l’antico passo e il contrasto si riduca al regolamento dei rapporti fra la -Sardegna e l’Italia. L’Organismo si completa, con attribuzioni di natura generale e di superiore sovranità, se il contrasto non possa, «per incomprensione o per inconsiderata resistenza» dell’Italia, essere pacificamente regolato. Al Partito Sardo non può essere mossa l’accusa di non aver posto e di non mantenere chiari i termini del problema, e neppure di non averne prospettato con eguale chiarezza le soluzioni.
«ENTE REGIONALE, dunque, con poteri legislativi, esecutivi ed in parte anche giudiziari (quanto meno in riferimento alla organizzazione del servizio della giustizia) per tutte le Regioni d’Italia e comunque, in particolare, per la Sardegna». ENTE REGIONALE che viene ad avere attribuzioni di uno Stato, ma con la coordinazione e la dipendenza, rispetto allo Stato Italiano più sovrano, «per la trattazione e la decisione di. tutte le questioni che non riguardino l’Isola e siano invece d’indole e d’interesse nazionale, come ad es: l’indirizzo generale politico interno ed esterno, la garanzia dei diritti, la difesa nazionale, etc.».
N on è difficile trovare riscontri nella storia politica attuale o in quella passata: le creazioni statali della Svizzera di fronte allo Stato svizzero costituiscono l’esempio migliore della trasformazione alla quale tende il Partito Sardo, per tutte le Regioni italiane o per un parte di esse (ci si ripete) o comunque per la sola Sardegna rispetto allo Stato Italiano.
Fissato questo concetto, non è difficile precisare quali devono essere i compiti dell’ENTE REGIONALE, quali i suoi poteri di governo autonomo, quali gli organi a mezzo dei quali il popolo (non più questa o quella èlite, ma la massa popolare che lavora, che produce e che si organizza nelle forme e nei limiti della costituzione nuova) realizza la sua partecipazione, su una base che è politica, economica, sociale e veramente moderna. Nel nostro programma (al quale peraltro il prossimo Congresso del Partito darà forma più definita, e dal quale riportiamo le frasi e parole tra virgolette) sono indicate le materie di esclusiva competenza dell’ENTE REGIONALE. Si tratta di un complesso di affari che costituiscono o pressuppongono una vera struttura statale. In sede di attuazione si potrebbe ancora vedere se i poteri e le funzioni non debbano ancora essere allargati, ed in ogni caso come meglio, e con quali garanzie, ne debba essere assicurato l’esercizio. È appena da dire che un programma non può contenere i particolari della regolamentazione, e che si tratta di materia e di questioni, le quali, entro i limiti delle premesse e dei fini che devono essere tenuti sempre presenti e preservati, sono e devono essere in continuo processo di elaborazione per il meglio.
Ed è però da sottolineare che espressioni fra le più tipicamente autonome dell’Ente vengono ad essere il CONSIGLIo REGIONALE, su base elettiva popolare (come una Camera di deputati rappresentanti) ed il DEMANIO REGIONALE.
In ordine a questo occorrerà sottoporre ad attento esame, per le eventuali riforme nel quadro autonomistico regionale, gli istituti finanziari, doganali, ect.; in ordine a quello sarà da decidere (ma a mio avviso la questione, per tante ragioni e riflessi di ordine amministrativo, ambientale ed anche … topografico rispetto alla sede dell’Ente, non sarà di
facile soluzione) se debbano essere conservate, o con quali criteri riformate e riorganizzate, le Prefetture.
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Orbene, da un assetto come quello che si è prospettato sorge naturale l’altra figura, più marcatamente politica, dello Stato N azionale a cui gli Enti o Stati Regionali vengono raccordati.
Si torna così alla enunciazione fatta in principio: in caso di raccordo generale delle Regioni o Gruppi di Regioni (la Sardegna farebbe sempre parte per se stessa) si avrebbe lo STATO FEDERATIVO per eccellenza; in quello di raccordo della sola Isola nostra, essa sola sarebbe federata allo Stato Italiano.
Naturalmente costituirà problema di vitalissima importanza lo stabilire i limiti di giurisdizione e competenza fra Stato Federativo e Stato o Ente Regionale Federato: e per esso saranno messi alla prova la capacità, la preparazione, la fede ed anche l’entusiasmo (quante spine saranno, se già non sono, riservate ai più animosi fra i realizzatori dell’autonomia sarda!) dei figli migliori dell’Isola. Ma la posta è troppo alta e troppo nobile, perché coloro, che la fiducia dei conterranei o la sorte designeranno all’arduo compito, non siano portati ad affrontare ogni sacrificio e tentare di superare ogni difficoltà.
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E vi è l’ultimo caso: quello che nessun raccordo si realizzi, e perciò la Sardegna segua egualmente la sua strada. Si comprende subito a quale forma di autonomia dovrebbe essa giungere … Ma di ciò ora-non si vuole parlare.
Luigi Oggiano
Dalla relazione di MICHELE COLUMBU al XVIII congresso del Partito Sardo,
ORISTANO, 11 – 12 dicembre 1976
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Nel numero unico FORZA PARIS, dedicato ali lavori del VI Congresso Regionale e pubblicato a Nuoro il 20 agosto 1944, spicca fra gli altri un articolo di Luibi Oggiano, uno dei fondatori del PSd’Az. Esso riassume il nostro intero programma politico. Lasciando che ve lo leggiate o rileggiate nella stesura integrale (Lo scritto di Oggiano si legge a pag. 119 del volume “Periodici democratici e numeri unici dal 1943 al 1949, curato da Virgilio Laì “, edizioni . EDES, Cagliari, 1975) ), stralcio qualche breve ma significante passo dell’articolo citato:
“( ••• ) La nostra battaglia, ove le altre regioni ci avessero seguito, doveva concludersi col federalismo (….. ) federalismo o no” l’Isola nostra doveva avere la sua AUTONOMIA, cioè la sua creazione particolare di Ente o Stato regionale da attuare in raccordo con lo Stato italiano ove questo non contrastasse” e in opposizione o senza raccordo con lo ‘Stato italiano” ove questo contrastasse e soprattutto pensasse a distruggere il nostro Movimento”. “Ecco quindi”, prosegue Luigi Oggiano, “ben precisata la natura e ‘La posizione della Regione nella compagine della Nazione o, in estrema sintesi, contro di essa”. Questa “estrema ipotesi”, ricorre spesso: poco più avanti infatti si legge che “Se gli altri non vorranno” vorremo noi della Sardegna” per noi stessi” indipendentemente dagli altri e”ove occorra” contro gli altri”. Oggiano conclude ‘che “Si comprende subito a quale forma di autonomia ‘la Sardegna dovrebbe giungere ( ••• )”.. Già, s i comprende subito. E io credevo di aver compreso , ma due anni fa, dall’on. Oggiano, in risposta a una mia lettera , ricevetti la viva raccomandazione di guardare il Partito sardo da ogni forma di
“separatismo”.
Ora non so, mi viene il dubbio di avere male interpretato il pensiero del senatore Oggiano oppure di essere stati male interpretati da lui, io e i miei compagni federalisti, per quelle poche e deformate notizie che possono essergli pervenute.
Senatore Oggiano, da questo XVIII Congresso del Partito sardo d’azione, sempre vivo e vitale, a nome di tutta l’assemblea, Le rivolgo un affettuoso saluto e, quantomeno a mio nome, Le assicuro che non si vuole condurre il Partito su sterili posizioni separatiste.
Anche noi siamo autonomisti e federalisti, come l’avvocato Oggiano che scriveva nel ’44. Oggi però, in forza di tanti eventi sopraggiunti e maturati nel corso di trent’ anni, non possiamo più parlare di federalismo limitatamente alla Sardegna e all’Italia, sia perché “nessun raccordo” si è realizzato con l’Italia, che è rimasta sostanzialmente sorda alle nostre istanze sardiste, e sia perché oggi si impone alla nostra attenzione un mondo immensamente più vasto, più articolato, più ricco di fermenti autonomistici:l’Europa e i Paesi del Mediterraneo.
In questa nostra posizione non c’è nulla di nuovo, nulla di degenere, perché non ci discostiamo dagli originari obiettivi del Partito più di quanto si discosti’ una fronda novella da un vecchio tronco. Le visioni internazionaliste e federaliste si vanno affermando sull’onda di una nuova cultura politica che viaggia con la rapidità di tutti i mezzi moderni di comunicazione. Così non più ci riferiamo esclusivamente, come nel passato, al meridionalismo italiano, al cosiddetto problema del Mezzogiorno; oggi sappiamo che “il profondo Sud” ha dimensioni molto più ampie e presenta analoghi problemi irrisolti in ogni parte del mondo, dovunque ci sia ancora del colonialismo e dell’oppressione capitalista. Ci sentiamo solidali con tutto il mondo degli oppressi ma per la vicinanza geografica e per una maggiore affinità culturale dovuta alle vicende storiche, guardiamo con interesse più specifico e urgente ai meridionali, per modo di dire, agli esclusi, alle etnie emarginate dagli attuali stati europei fondati e delimitati, con la punta delle spade. Oggi il sardismo non può essere considerato, neppure da noi, come una ribellione unica e singolare contro il colonialismo e contro il centralismo. Molti popoli ci hanno preceduto in questa lotta, altri ci hanno seguito; alcuni di questi ultimi ci hanno rapidamente sopravanzato. Non vorrei fare citazioni perché esistono casi analoghi, ma non esistono casi eguali al nostro: gli algerini, che si sono mossi dopo di noi nella lotta per l’autonomia, hanno già l’autonomia e la piena sovranità. Il loro precedente rapporto con la Francia, però, somigliava poco al nostro rapporto con l’Italia. Il loro contrasto con la Francia non era mascherato da eufemismi e da ipocrisie: l’Algeria era, dichiaratamente, un possedimento francese; e c’era di mezzo la storia, la lingua, la religione, il colore della pelle. Per la Sardegna invece la lingua, la storia, la cultura e il diverso colore della pelle non contano, perché l’Italia, a parole, ci fa sapere che facciamo parte del suo territorio metropolitano. Un sardo – così strettamente imparentato con un berbero algerino – essendo stato sfruttato da romani, genovesi, piemontesi e infine dagli italiani, non ostante i suoi connotati mediterranei antichissimi, può passare per un italiano, non tanto nella considerazione degli italiani, quanto per la sua viva disponibilità a essere italiano, come nel 1847 era smanioso di farsi piemontese. E non importa se non trova posto nella sua Isola così scarsamente popolata, naturalmente ricca e grande, non importa se per tornare in Sardegna qualche volta si ritrova come un cane sui moli di Genova e Civitavecchia, e dal Ministro si sente dire che le cose vanno fin troppo bene. Un sardo la patria ce l’avrebbe in casa sua, ma non l’ha ancora riconosciuta e va disperatamente cercandola in casa dei padroni.
Un sardo può diventare senatore o deputato della Repubblica; può diventare ministro o sottosegretario di Stato. A un sardo, in Italia, può toccare in sorte la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Presidenza della Repubblica; però il sardo, in ogni caso, fa tutto il suo dovere di sardo fedelissimo e lascia la Sardegna nella brutta situazione in cui si trova. Un sardo, quando abbia raggiunto l’ambita condizione di braccio del governo, sia col grado di generale o sia con la mansione di scrivanello, impegna tutte le sue forze per cancellarsi di dosso ogni traccia di sardità. Come le sciagurate guide indiane del Far West che portavano i lunghi coltelli” contro i propri villaggi, sperando forse di diventare “visi ‘pallidi” , poiché’ la storia ripete i medesimi eventi in secoli diversi e nei più diversi paesi del mondo, molti sardi si illudono di poter sedere, volta a volta, alla stessa tavola dei commercianti di Cartagine, dei magistrati romani e, via via, dell’aristocrazia militare piemontese e dei grossi speculatori italiani. Ma non dobbiamo scagliare pietre contro nessuno, né condannare né disprezzare i sardi per questo; perché difendersi dal terrore e dal fascino che esercitano i forti conquistatori è molto difficile, e ‘se non si è dotati della fiera magnanimità di Vercingetorige non c’è di meglio che servire fedelmente Giulio Cesare.
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