Pan e vin, la tradizione veneta dell’Epifania ad Arborea, di Alberto Medda Costella

Mio nonno diceva: “L’è mejo brusar un paese che perder ‘na tradixion “.


In Friuli lo chiamano pignarul, nel Veneto occidentale brusavecia, tra il Trevigiano e il Veneziano pan e vin. Stiamo parlando dei falò dell’Epifania, molto diffusi in quasi tutto il Triveneto, ma che hanno ancora oggi un’ eco fino alla Sardegna. Sono oramai note le origini degli arborensi, un po’ meno forse le loro usanze. Tra queste non si può fare a meno di citare l’accensione dei fuochi propiziatori nella vigilia del 6 gennaio.

Si tratta di una tradizione che affonda le proprie radici nel culto precristiano del sole. Il rito segue un cerimoniale ben preciso, ma che varia a seconda dell’area di provenienza della famiglia. Ciò che oramai è uniforme è il nome col quale lo si indica “brusar la vecia”, dovuto probabilmente al fatto che moltissimi arborensi hanno i loro antenati sepolti nel delta del Po, in provincia di Rovigo. I Costella, famiglia materna di chi scrive, hanno però continuato a chiamarlo semplicemente pan e vin, come se la Livenza (fiume del Veneto orientale) fosse ancora lì a due passi a suggerire gli accenti sul come chiamare le cose.

In questi roghi si ammassava più o meno di tutto, fascine, paglia, etc, per poi meterghe de sora la vecia e impinzar el fogo. Una volta che questo era ben avviato si recuperavano alcune braci per cuocere il dolce tradizionale della Befana, la pinsxa: impasto preparato con farina bianca, polenta, zucca, uva passa, fichi, anice e semi di finocchio. Nel frattempo si recitava il rosario, le litanie e il te deum, per poi passare tra sacro e profano al canto ben augurante accompagnato da un got de vin. In base alla direzione delle faville si poteva quindi pronosticare il raccolto dell’anno agricolo. “Fuive verso sera, poenta pien caliera. Fuive verso matina, poenta molesina. Fuive a miudì, poenta tre olte al dì. Fuive a bassa, poenta pien cassa”.

Una festa semplice, povera nei mezzi. Forse proprio per questo ogni anno si vedono sempre meno fuochi lungo le strade della Bonifica. Pare che mio nonno dicesse “L’è mejo brusar un paese che perder ‘na tradixion”. Io però sono convinto che anche il prossimo anno avremo un buon raccolto e che a brusar el sarà sol che a vecia. Pan e vin per il cùo e per doman (pane e vino per oggi e per domani). Buon anno a tutti.

Rit. Pan e Vin, vin e pan per in cuo e per doman. Iee pan e vin[1]!

1 La pinsxa soto e bore, chi a presa core. Iee pan e vin!

2 Masa sachi de formento, masa sachi de taiamento. Su vedel, su porsxel, grazie a Dio e sul caretel. Iee pan e vin!

3 El paron sentà sul caregon ch’el beve un litro de quel bon. Iee pan e vin!

4 I Dio ne manda sanità e allegresxa el pan sua sxesta el vin sul caretel, la vecia sul sedel. Iee pan e vin!

5 Sto ano mi nà mandà un altro ano, se spererà che Dio alghimande in quantità. Iee pan e vin!


[1] Canto originale dei Costella, anche se incompleto, raccolto dalla mia memoria.

 

Condividi su:

    2 Comments to “Pan e vin, la tradizione veneta dell’Epifania ad Arborea, di Alberto Medda Costella”

    1. By Gianfranco Murtas, 8 gennaio 2016 @ 07:45

      Seguo sempre gli studi e gli scritti di Alberto Medda Costella ed ho letto questo suo nuovo, gustosissimo articolo riguardante la tradizione veneta della Epifania.
      Credo sarebbe necessario, se ancora non si è provveduto, alla registrazione in video/voce delle testimonianze che le generazioni più anziane di Arborea, dei figli dei primi coloni veneti (o anche di altra provenienza continentale) cioè, possono portare a un desk di memoria sociale. Medda Costella ha le competenze scientifiche e soprattutto la conoscenza del territorio e dei suoi abitanti nella stratificazione generazionale ormai di otto, quasi nove decenni.
      Auspicherei, da ammiratore della laboriosità di quella popolazione, che l’Amministrazione civica, d’intesa con il volontariato culturale della piazza, potesse promuovere una tale iniziativa.
      Difendere il territorio dall’aggressione delle trivelle è opera sacrosanta, ma avrebbe una sua più compiuta dignità se gli interventi protettivi, insieme con il territorio fisico e le opportunità insediative e di lavoro presenti e future, mirassero anche a quel patrimonio immateriale che, nelle dimensioni di Arborea, costituisce in assoluto un unicum nella nostra Isola.
      Lavorando sulla realtà storico-sociale, se si vuole sociologica e antropologica del vissuto comunitario dai tempi della bonifica, il Comune, o Medda Costella stesso se avesse la fortuna di raccogliere le giuste e generose collaborazioni, potrebbe allargare il giro dando evidenza a un fil rouge che collega in qualche modo i nuovi residenti di Fertilia e quelli di Carbonia.
      Gianfranco Murtas

    2. By Bepi, 3 gennaio 2016 @ 13:06

      Bel articolo che mi riporta alla mia infanzia e al ricordo dei miei genitori, con l’esodo dalla regione del Veneto… Bepi Costella