Il Cagliari che giuoca per due anni ad Olbia, ovvero l’occasione di (ri)unire l’Isola, di Matteo Sechi

 

Attorno alla Riforma degli Enti Locali disciplinata dalla Legge Del Rio e perorata in Sardegna dall’Assessore Erriu, è in corso negli ultimi mesi un feroce scontro tra “sudisti” e “nordisti”. La discordia si è insinuata precipuamente dentro pomo nato dal dibattito sulla costituzione delle cosiddette aree metropolitane. La proposta della giunta Pigliaru parla chiaro: ad avere status di città metropolitana sarà esclusivamente Cagliari, con buona pace dei maggiori comuni del Nord Sardegna che rischiano in questo modo di essere esclusi dalle future principali linee di crescita economico dell’Isola e relegati a mera periferia della nascitura città-stato cagliaritana.

L’irrazionale decisione della giunta (ironia della sorte, la più sassarese da trent’anni a questa parte che, proprio sul varo di questa importante riforma rischia di sgretolarsi: la legge sarà discussa nuovamente in commissione il 7 gennaio), va infatti producendo una pericolosa frattura in seno alla Sardegna stessa, con un clamoroso sbilanciamento delle risorse e delle possibilità di accedere ai fondi di sviluppo europei (le città metropolitane, come noto, si smarcherebbero dal patto di stabilità) che mina le fondamenta autonomiste della nostra regione e rischia di svuotare di sostanza e importanza tutti i centri che non sono e non gravitano attorno a Cagliari. Ma non solo. Accentrando tutti i poteri e gli afflussi degli investimenti al Capo di Sotto senza che i maggiori poli del Nord possano disporre degli stessi strumenti, al di là dei folcloristici campalinismi, mette in discussione l’idea stessa di una Sardegna unita. Logiche che non sembrano rispondere a reali esigenze del territorio, quanto piuttosto a direttive concepite oltre Tirreno tese a rendere l’Isola sempre più un feudo dei partiti e dei governi nazionali di turno. Un suicidio programmato di portata storica, e quindi economico, culturale e civile.

STADIO OPPORTUNITA’ UNICA.

Cosa c’entri tutto questo con lo sport, il Cagliari e la costruzione del nuovo stadio è presto detto. Il progetto svelato negli scorsi giorni da Giulini e dai suoi collaboratori alla città di Cagliari richiederà 2 anni circa tra inizio e termine dei lavori. Un investimento complessivo che supera i 50 milioni di euro, un impianto all’avanguardia in Europa che vuole fungere da polo per la costituzione di una cittadella sportiva polifunzionale (si parla di costruire attorno allo stadio un campo di calcio a 11, uno a 7 e uno a 5 indoor) con il coinvolgimento di imprenditori sardi e non (possibile che all’interno possano sorgere, tra gli altri, locali McDonalds e Spontini, nota pizzeria milanese). Un’opportunità che darebbe lustro alla città, creerebbe centinaia di posti di lavoro e agevolerebbe un notevole indotto economico.

CERCASI CASA IN AFFITTO.

Un lasso di tempo, quello dei due anni, che imporrà giocoforza alla società rossoblù un trasloco temporaneo per la disputa delle gare casalinghe. Messa una definitiva pietra sopra alla soluzione Is Arenas e accantonata la velleitaria autocandidatura di San Gavino, da giorni si discute sull’opportunità di giocare i prossimi due campionati a Olbia, ospiti della nuova proprietà insediatasi nelle scorse settimane sotto la presidenza di Alessandro Marino, già braccio destro di Giulini a Cagliari. Sull’idea di un “esilio” in terra gallurese sono però insorti, come prevedibile, tifosi, opinionisti e politici del cagliaritano, poco propensi ad accettare che la squadra cittadina emigri nel Nord dell’Isola, ma non abbastanza illuminati da avanzare un’alternativa concreta.

LE TRE STRADE.

Domenica sera Giulini, ospite della trasmissione Videolina Sport, stuzzicato sul tema “trasloco” è stato insieme chiaro, realistico e sibillino quanto basta per restituire a tutti il quadro esatto della situazione. Nel sottolineare che la palla adesso passa all’Amministrazione perché riesca a cogliere la grande opportunità prospettatale, il presidente rossoblù ha indicato tre possibili vie per arrivare a tre diverse case temporanee: la prima, scongiurata all’istante benché a costo zero, porterebbe a Modena. La seconda, con la consapevolezza che squadra e tifosi del cagliaritano potrebbero avere qualche disagio, conduce a Olbia. La terza, invece, preserverebbe la squadra alla propria città in un’area però ancora da individuare.

RESTARE A CAGLIARI? FUORI I MILIONI.

Tenendo presente che Giulini è stato sin troppo esplicito nell’affermare che il Cagliari non può pensare di sobbarcarsi interamente i costi per la realizzazione di uno stadio temporaneo (circa 10 milioni), quale il messaggio nascosto da far emergere? La lettura non è poi così criptica: la società ha già in mano, con Olbia, una carta low cost, veloce e concreta: una società amica, una città servita da aeroporto e porto, un’amministrazione che ha espresso la volontà di contribuire ai costi avendone realmente la possibilità, un’area (la Basa) naturalmente predisposta all’impresa, un bacino demografico che garantirebbe sempre il tutto esaurito. E Cagliari? Giulini ha voluto lanciare la sfida: non posso fare i miracoli, se si vuole che la squadra resti in città, amministrazione e privati devono (alla svelta) contribuire sia a livello economico che burocratico e infrastrutturale. ATTENZIONE ALLE INVIDIE.
Possibilità che quest’ultimo scenario trovi realizzazione? Pochissime. Olbia resta dunque la sola ipotesi percorribile al momento e nei già fatti molto vicina all’attuazione. Il timore è che però attorno a questo passaggio cruciale, possano insinuarsi e prendere piede le istanze di chi è sempre pronto a vincere il titolo di primo disfattista. Si dà per certo, forse con troppo ottimismo, che la strada per il nuovo stadio sia ormai in discesa. Una sensazione che se da una parte denota la grande credibilità guadagnata da Giulini e dal suo team, dall’altra sembra non tenere conto delle tante incognite che la politica sarda e in particolare quella cagliaritana sanno generare e non gestire quando ci si avvicina a cambiamenti e progressi di portata più o meno epocale. Chi vivrà vedrà.

Per adesso godiamoci il sogno ad occhi aperti prospettato dal progetto, accettando che l’ipotesi Olbia (un indubbio sacrificio per i tifosi residenti a Cagliari) consentirebbe al Cagliari stesso di trasformare una obbiettiva scomodità in una grande occasione. Quella di passare dalla vuota retorica ai fatti concreti: Cagliari indiscutibile squadra rappresentativa di un popolo e di una Regione a tutte le latitudini, un investimento in termini d’immagine e di seguito più unico che raro. Un’Isola che ritroverebbe la necessaria unità nel segno sì del Cagliari ma di un Cagliari a beneficio di tutti e non circoscritto a pochi, con il club rossoblù che indicherebbe indirettamente (una volta di più, dopo il brillante lavoro iniziato a livello giovanile con le Academy) il viatico per una politica molto più fertile e lungimirante a chi la Sardegna – per intero – è stato chiamato a governarla. “Una terra, un popolo, una squadra”, insomma. Chissà che a forza di ripeterlo…

 

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