La Sardegna da salvare, di Salvatore Cubeddu

EDITORIALE.

L’accordo tra la Giunta regionale e l’Anci sulla riforma istituzionali degli enti  locali sardi non è  secretato da qualche giorno. Ci troviamo di fronte a una vera riforma-controriforma materiale delle nostre istituzioni, all’interno della quale ciò che fa problema non è tanto che cosa farà ciascuna, ma soprattutto chi deciderà sopra le altre.

Secondo quanto da noi scritto in questi mesi, va a concludersi definitivamente una fase dell’autonomia sarda, con il Consiglio regionale chiamato ad accogliere e formalizzare al livello istituzionale i danni economici-sociali-culturali-demografici e istituzionali della prima autonomia. Le “città intermedie” dovranno ancora venire conquistate dal governo di Roma, in forza dell’iniziativa della Giunta e di non si sa quale garante, visto l’esito quasi sempre infausto dei nostri passi verso/contro il governo italiano. In termini espliciti: chi otterrà nuove istituzioni per la Sardegna una volta che i giuochi principali sarebbero fatti e i rospi (innanzitutto da parte dei Sassaresi) ingoiati?

Nel frattempo si consoliderà  l’abolizione delle province storiche ed il non-sense istituzionale di tutti i comuni della Sardegna, tranne Cagliari, su cui tutto convergerà mano a mano che Roma deciderà di semplificare, unire e concentrare i suoi vari organismi decentrati.  La Sardegna verrà definitivamente governata da Cagliari, per un avvenire che non sappiamo quanto durerà. La strada per la Sardegna-ciambella subirà da subito un’accelerazione inevitabile. La proposta di legare il bilancio economico della nuova città metropolitana a quello dell’intera Regione – proposta avanzata al tempo della Giunta Cappellacci – non potrà che venire ripresentata. Si completerà la trasformazione di Cagliari in città-stato. A quel punto la classe dirigente cagliaritana potrebbe persino pensare di gestire senza l’impaccio dell’istituzione regionale  l’insieme di una Sardegna ridotta ormai a sua periferia.

Abbiamo cercato di ragionare su un altro schema (nell’articolo del 7 ottobre su questo sito).

1. Il Consiglio regionale dovrebbe prendere in  considerazione non solo il destino delle province ed i nuovi compiti dei comuni, ma farsi carico anche degli istituti che lo Stato va chiudendo e accentrando verso Cagliari, a partire da quelli collegati alle provincie, come le prefetture, i comandi delle forze dell’ordine (questure, comandi di carabinieri e guardia di finanza, uffici finanziari, tribunali, …), le autorità portuali, le università… Tutto questo – anche quello che ora dipende dallo Stato – dovrebbe far parte del paniere di discussione a disposizione della decisione di tutti. In questo momento ogni città o insieme di comuni resta isolato a fare la singola lotta, quasi sempre perdente perché assunta nel sospetto del vicino e contro la forza soverchiante del decisore centrale, regionale o romano non importa.

2. La questione istituzionale non può non collegarsi alla drammatica questione economico-sociale rappresentata dalla necessità di trovare lavoro a decine di cassintegrati e disoccupati. Basta con l’assistenza! Ci vuole una vasta operazione di tipo keynesiano che segni un new deal per la Sardegna. Bisogna riorganizzarsi con gli operai per correggere i danni provocati da un’industrializzazione su cui bisogna radicalmente voltare pagina (senza residui inaccettabili quali il rilancio dell’Eurallumina, o la Portovesme srl, o la chimica cosiddetta verde nonostante distrugga le scarse pianure sarde riempiendole di cardi e di canne).

Il risanamento ecologico va pagato da chi è responsabile dell’inquinamento, enti di Stato o privati non importa.  A questi lavori va aggiunta una politica di lavori pubblici per ridisegnare la pianta urbanistica della Sardegna: ricostruzione di Olbia, incremento definitivo di Nuoro quale città universitaria della Sardegna, nuovo collegamento delle istituzioni locali con il nuovo centro istituzionale (su questo punto concordo del tutto con quanto l’amico storico Federico Francioni ha pubblicato su questo sito qualche giorno fa) . Nel tempo i sardi dell’impiego pubblico regionale dovrebbero lavorare dai propri paesi con una riorganizzazione progressiva e totale del loro impegno occupativo attraverso il telelavoro. Il futuro della grande Cagliari non può che essere il protagonismo economico, non più il parassitismo burocratico. Cagliari quale vera capitale morale ed economica in quanto crea lavoro, intensifica  i commerci, favorisce la ricerca scientifica, istituisce modelli di partecipazione culturale. Fattasi finalmente città ‘sarda’ potrà aspirare, in quanto tale, a divenire veramente ‘mondiale’.

Cagliari deve scegliere il suo futuro, non ricevere passivamente gi effetti degli errori del passato. I Paesi della Sardegna, a iniziare dai loro amministratori, dovrebbero smetterla con una soggezione che non serve né a loro né alle classi dirigenti cittadine, che sembrano ormai essersi arrese all’inutile (per loro) supremazia metropolitana.

Concludevamo: ciò che ora siamo è frutto di decisioni tutto sommato recenti, che possono/debbono mutare, se non vogliamo restare nella presente impasse;  l’esigenza della riforma istituzionale per noi viene da lontano e abbiamo il dovere di intervenirvi secondo le nostre esigenze prima di quelle di qualsiasi altro. Ma gli errori dell’oggi avranno un lungo tempo di espiazione. Non lo si dimentichi: la prima autonomia è durata già  settant’anni.

Il Consiglio regionale farebbe bene a prendersi tutto il tempo utile ad affrontare con metodo tutto l’insieme delle questioni. Con ambizioni da padri costituenti.

 

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