Don Giovanni Maria Cossu, monumento “di carne” della Chiesa oristanese, di Gianfranco Murtas
La stampa ha dato notizia della scomparsa, dopo tanti malanni e nella sua nobile vecchiezza, del caro don Giovanni Maria Cossu, prete oristanese, chierico graduato (per riconoscimenti tutti meritati) della Chiesa arborense. Nativo di Ula Tirso, aveva compiuto da poco i 91 anni. Esile figura di apostolo, cordialmente mi accolse, nella casa di via Carmine, a lunga conversazione allorché lavoravo ad un capitolo di studio sui rapporti fra Angelo Giuseppe Roncalli – papa Giovanni XXIII – e Giuseppe Littarru, canonico desulese del Capitolo cattedrale di Oristano e a lungo anche docente del seminario arcivescovile. Incontro personale, telefonate, scambi epistolari, doni .
Minuto fisicamente, importante per la vita spirituale e la sua oblazione ecclesiale. La scheda biografica lo racconta ordinato dal vescovo Giuseppe Melas a Nuoro il 5 agosto 1947. Giusto da due mesi era allora deceduto l’arcivescovo Giuseppe Cogoni, che aveva retto la cattedra di Santa Maria della Neve per otto anni, per coprire quindi – dal 1939 – la maggior responsabilità della metropolia arborense. Bisogna dire così: metropolia, se è vero che a don Cogoni era stato affidato l’onere della reggenza anche suffraganea di Ales e Terralba, dopo il 1945, per la malattia grave di don Francesco Emanuelli (e a Cogoni era quindi subentrato, nell’ufficio di amministratore apostolico alerese, il vescovo di Iglesias Giovanni Pirastru).
Non sembri un inquadramento puramente nominalistico, questo. Gli è che in quegli anni in cui don Cossu saliva per la prima volta, officiante, all’altare la Chiesa sarda era coinvolta in una ristrutturazione ampia dei suoi vertici che, in un contesto finalmente di democrazia, avrebbe dettato novità non da poco. Nella contingenza della fine guerra e del dopo guerra. Nella contingenza anche di quella sperimentazione tutta oristanese del “Quotidiano Sardo”, testata cattolica che si affacciava all’edicola in sostituzione del settimanale di storia ormai quasi ventennale quale era stato “La Sardegna Cattolica”.
Melas a Nuoro dal 1947, dopo Beccaro (trasferito in Toscana l’anno prima), Tedde ad Ales e Terralba nel 1948, dopo Emanuelli e le due amministrazioni apostoliche di Cogoni e Pirastru, Botto a Cagliari nel 1949, dopo Piovella arcivescovo da quasi trent’anni e da più di quaranta di episcopato fra Alghero e Oristano e Cagliari; nel mezzo anche Fraghì ad Oristano, entrato in diocesi il 25 gennaio 1948.
Ecco il quadro dei riassetti tutti concentrati in un breve spazio di tempo. In essi si situa l’esordio presbiterale di don Giovanni Maria Cossu, 23enne appena. La scheda degli uffici da lui ricoperti, com’è stesa dalla curia, racconta esperienza ed autorevolezza: censore in seminario e docente dal 1949 e per sette anni; vice rettore e, dal 1951, anche cappellano e confessore delle Figlie di San Giuseppe, la famiglia religiosa fondata dal Prinetti (con centrale a Genoni); direttore spirituale del seminario dal 1956. Nella stagione conciliare entra nel Capitolo metropolitano: prima canonico onorario (1962), poi di stallo (1965). Prelato d’onore di Sua Santità, dal 2000 – sotto l’episcopato di don Pier Giuliano Tiddia – direttore di “Vita Nostra”, il settimanale diocesano; infine vicario episcopale per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Potrebbe aggiungersi un cenno alla sua laurea in teologia, con una tesi sulla dottrina spirituale di San Basilio intorno alla carità; potrebbe anche aggiungersi la sua iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti nel maggio 1983; potrebbero aggiungersi i titoli di alcune sue monografie e/o quelli di contributi ad opere collettanee. Nel novero, “Dono e conquista. La figura e la dottrina spirituale del Servo di Dio Padre Felice Prinetti OMV”, 1990. Così anche, illustrazione di un soggetto che ha costituito campo di speciale missione per lui – la famiglia delle Giuseppine prinettiane cioè – , “Cento anni nella Chiesa, per la Chiesa, 1888-1988: le Figlie di San Giuseppe di Genoni”, Oristano, 1988; “Cronistoria dell’Istituto delle Figlie di S. Giuseppe di Genoni (1888-1995)”, Oristano-Roma, 1996; ”Linee essenziali del carisma delle figlie di San Giuseppe di Genoni”, Oristano, S’Alvure, 2001.
A tanto, che è schedato (meno “Dono e conquista”) nell’OPAC Sardegna, meriterebbe altresì ulteriormente aggiungere un corposo saggio dal titolo “Figlie di San Giuseppe di Genoni”, accolto in (a cura di) Francesco Atzeni e Tonino Cabizzosu, “Congregazioni Religiose e istituti Secolari sorti in Sardegna negli ultimi cento anni”, Cagliari, CUEC, 2000.
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Come ho sopra accennato, incontrai monsignore nelle fasi preparatorie del mio “Papa Roncalli e la Sardegna. Corrispondenze Incontri Amicizie”, Cagliari, Edizioni della Torre, 2001. La sua testimonianza mi era necessaria per focalizzare meglio la relazione fra Giovanni XXIII e il canonico Littarru e l’episodio della udienza della primavera 1961.
La collaborazione fornitami fu generosa e validissima fin dal primo istante. La sua testimonianza scritta mi pervenne via fax il pomeriggio del Natale 2000. Gli scambi telefonici furono numerosi, sostanziali ed incoraggianti.
Vorrei dedicare alla sua memoria alcuni stralci di quel mio libro lontano ormai tre lustri (e il cui sottotitolo mi fu suggerito dal cardinale Loris F. Capovilla, che dettò la premessa, cui l’amico don Cabizzosu associò, da par suo, le pagine di introduzione).
Il papa e il canonico, l’Urbe e Oristano
E’ l’arcivescovo di Oristano monsignor Sebastiano Fraghì ad aprire la sequenza delle visite ad limina dei vescovi sardi, nella tarda mattinata di martedì 18 aprile 1961. Accompagnato dai segretari monsignor Campus e don Piras, e dopo gli incontri con il cardinale Ottaviani, al Sant’Uffizio, e presso la congregazione del Concilio – cui porta il contributo scritto richiestogli su tutta una serie di materie destinate al dibattito delle varie commissioni preparatorie – il presule è ricevuto a colloquio dal pontefice. Sono giusto diciassette minuti che monsignor Fraghì impiega per illustrare al papa le attività della chiesa arborense nell’ultimo lustro e le problematiche che essa vive nella difficile contingenza della vigilia conciliare.
Quando poi entrano nella biblioteca privata del papa i segretari, Giovanni XXIII, come è suo solito – forse è un modo per entrare in confidenza e personalizzare subito il dialogo, portandolo appunto alle persone invece che alle astrazioni –, commenta i cognomi, con quelle s finali così sarde («Campus, Piras…»), per chiedere poi notizie del suo amico di sempre, nel quale forse identifica Oristano o la Sardegna intera: «Come sta Can. Littarru? Lo ricordo ancora quando lo incontrai la prima volta alla stazione. Quanti anni ha ora?… Ottantatre…. Ditegli che guardo ai suoi ottantatre anni con… con… mbeh, con serenità perché ci attende Nostro Signore…».
Al suo rientro in sede, la piccola delegazione porta all’anziano canonico i saluti di Giovanni XXIII e gli lancia l’idea, non subito accolta – per tema del mare e degli strapazzi del viaggio –, di un “salto” in Vaticano, per abbracciare l’amico di gioventù diventato papa. Il giovane don Gio.Maria Cossu – oggi apprezzato storico della Chiesa arborense – è testimone diretto di quei tentennamenti e, quando essi sono superati, ha il privilegio, in quanto discepolo più caro dell’anziano sacerdote, di accompagnare monsignore nella capitale, fino agli appartamenti papali, nella primavera del 1961.
«Prima che il Card. Roncalli fosse elevato al soglio pontificio, io non sapevo dell’amicizia di Lui con Mons. Giuseppe Littarru – ricorda ora don Cossu, offrendo la sua preziosa testimonianza su un evento certamente singolare nella biografia privata del già innumerevoli volte biografato papa Giovanni –. Nella occasione della provvidenziale elezione, tutti ad Oristano si venne a sapere che il concittadino Littarru era amico del nuovo Papa, e che questi era stato suo ospite dal 25 al 26 ottobre del 1921, venuto in Sardegna da Presidente nazionale della Pontificia opera missionaria per rendersi conto di quanto nell’isola si facesse per le missioni estere.
«Che il nuovo Papa fosse in amicizia col Can. Littarru si godette molto in città, specialmente tra il clero. Dai vicini al Canonico si cominciò a far pressione perché rendesse visita a un amico di così alta spirituale nobiltà, ma egli era restio, sembrandogli un’impresa da non poter affrontare alla sua età, avendo egli già oltrepassato gli 80 anni. Tuttavia si riuscì a convincerlo nel maggio del 1961. Intanto il Papa stesso s’era degnato di scrivergli di suo pugno una lettera dopo l’elezione, in risposta alle felicitazioni del Canonico. Il quale raccontava che l’amico Roncalli aveva sempre coltivato l’amicizia, mentre il Canonico non era stato altrettanto premuroso a corrispondere. Il Roncalli ovunque si recasse, dacché era stato investito di una missione diplomatica in vari paesi d’Europa (Bulgaria, Grecia, Francia), gli mandava sempre saluti dalla nuova residenza.
«Decisosi a far visita all’amico Sommo Pontefice, il sottoscritto ebbe la fortuna di accompagnarlo. Si fu dal Papa venerdì 19 maggio 1961…».
L’Osservatore Romano che quella mattina è sulle scrivanie dei capi-sezione e di quel novero di prelati e minutanti, addetti ed archivisti che popolano la curia vaticana, reca la data del giorno prima (uscendo esso dalle rotative nel primo pomeriggio). Il notiziario riflette, per una volta, un che di ordinario. In prima pagina la cronaca dell’udienza generale di mercoledì 17, cui hanno partecipato anche i diaconi del seminario regionale di Cuglieri. In terza ampi servizi danno conto delle annunciate consacrazioni episcopali di ben 14 missionari provenienti da tre continenti, che il papa ha fissato per l’ormai imminente domenica di Pentecoste… Il quotidiano della Santa Sede, in quanto organo ufficiale governativo, esprime inevitabilmente tutte le rigidezze, e anche i conformismi e le censure, che accompagnano o corteggiano l’esercizio di qualsiasi potere, se civile od ecclesiastico non fa differenza. Oltre però questo limite, che è pertinente alla sua stessa natura, il giornale presenta frequentemente pagine di riflessione e ricostruzione storica sempre di grande qualità. Proprio nell’edizione di mercoledì 17 maggio due articoli d’informazione culturale si segnalano fra tutti, ed entrambi riguardano, per un caso, la Sardegna: per la commemorazione, promossa a Cagliari dallo Studium Domenicano, del 2° centenario della morte del cardinale Pipia da Seneghe, e per una cronaca dell’inaugurazione della biblioteca “Giovanni XXIII” presso la pontificia Università Lateranense, che porta la firma di Ottorino Alberti, giovane docente di quell’ateneo.
«Il Canonico – ricorda don Cossu – volle essere in Vaticano fin dalle 9 del mattino. Come si lasciò l’ascensore, ci s’incontrò col Maestro di Camera che, vistici, chiese al Canonico: “E’ Lei Mons. Littarru?”. “Sì”, gli rispose. E lui: “Finalmente! Il Santo Padre non fa che chiedere se è arrivato Mons. Littarru. Le ho messo l’udienza alla fine della mattinata, alle 13, in modo che Lei possa starci a discrezione”. Così alle 13 il Canonico fu introdotto dal Papa, e ci stette fino alle 14. A conclusione dell’udienza ci fu la foto di circostanza, in cui posarono, col Papa e col Canonico, il sottoscritto e la nipote di Monsignore, signorina Ernestina Littarru. (Mons. Littarru mi presentò come direttore spirituale del seminario di Oristano, ed allora Giovanni XXIII ricordò di essere stato anche lui, a suo tempo, direttore spirituale del seminario di Bergamo, commentando – ma la battuta potrebbe avere interpretazioni diverse – “E così sono finito in un binario morto…”).
«Il giorno dopo il Papa mandò a prendere il Canonico da via Bravetta 556, dove avevamo preso alloggio, presso le Suore figlie di San Giuseppe di Genoni. Uscì di casa alle 16,30 e rientrò dopo le 20. Erano stati insieme alcune ore, ricordando gli anni trascorsi insieme al Seminario Romano, Roncalli come studente di Teologia e Littarru come sacerdote laureando nella medesima disciplina. “Furono ore di intima fraterna amicizia”, raccontò poi il Canonico».
Questa la testimonianza di monsignor Cossu. Le suore Giuseppine che conducono la casa generalizia, in Oristano, e la nipote Sebastiana Littarru, che vive a Desulo, aggiungono quanto hanno a loro volta appreso dalle confidenze del canonico al suo ritorno nell’Isola. Raccontano della “gran voglia” dichiarata con tutta franchezza dal pontefice di proseguire quella conversazione, che per forza di cose si è dovuta interrompere il giorno innanzi: e ciò quasi a voler e dover soddisfare l’interiore esigenza di ripercorrere, movendo dalle esperienze di seminario compiute in una città nuova e magica per l’uno e per l’altro, i sentieri paralleli di due vite spese interamente per la chiesa. Raccontano però anche delle emozioni vissute già prima, proprio nella tarda mattina del 19 maggio quando il canonico è stato introdotto nello studio del pontefice: dell’anziano prete che si china per baciare la mano del papa, e del papa che quasi s’inginocchia lui per raccogliere l’amico sussurrandogli rapido: «Sono io che devo baciare lei»; della conversazione che si svolge, piana, nell’intimità della comune antica discepolanza; del dono recato al pontefice dalla piccola comitiva isolana: un rocchetto in filet sardo, realizzato tutto a mano ed ago da un gruppo di novizie delle Giuseppine… Raccontano ancora del teatro di quel secondo incontro, svoltosi in buona parte nel passeggio dei meravigliosi giardini vaticani, e del canonico tornato rinvigorito quanto sarebbe impossibile dire da un convegno di bontà ed intelligenza e fattosi finalmente più propenso a narrare le lontane ma preziose cronache di un’amicizia sbocciata per non morire mai.
Ma dell’evento ha scritto anche, all’indomani della morte del canonico, del quale era stato allievo e dal quale aveva evidentemente ricevuto le confidenze, il noto studioso di cose sarde Felice Cherchi Paba che – sia detto in premessa – anticipa di un giorno l’atteso incontro.
«Il 18 maggio del 1961, dopo insistenti inviti, – scrive il Cherchi su Frontiera n. 6 del 1972 – Mons. Littarru fu ricevuto dal Pontefice che, malgrado impegnatissimo per gli affari del Concilio, gli concesse alle 12,30 una udienza privatissima nella biblioteca. Il Papa gli andò incontro, sorridendo, con le braccia levate, esclamando: “Chi si vede! Finalmente! Chi si vede”. Quando Mons. Littarru gli si gettò ai piedi, in atto di omaggio, di obbedienza e di fede, Papa Giovanni pianse e sollevò l’amico prendendolo sotto le ascelle, abbracciandolo con slancio, e tenendoselo fra le braccia a lungo.
«L’udienza durò oltre due ore, con somma sorpresa di tutti i prelati di camera, finendo alle 14,30, e accompagnò l’amico attraverso le sale e i saloni fino all’ascensore, atto amichevole che il Pontefice mai fece per alcun altro. Nel suo “Memorandum” il Papa volle segnare il numero del telefono dell’albergo ove scese Mons. Littarru, dicendo: “Dobbiamo rivederci”.
«Due giorni dopo una telefonata dai palazzi pontifici, di Mons. Capovilla, avvisò Mons. Littarru che, per le 17,30 si tenesse pronto per una visita in Vaticano; dal quale giunse una macchina con un monsignore per condurvelo per ordine di S. Santità, il quale, all’ora esatta, attendeva davanti all’ascensore a ricevere l’amico che fece entrare nella sua camera da letto dicendo: “Qui non entra nessuno, Lei sì, che è il più caro dei miei cari amici”. Dopo avergli fatto vedere l’appartamento privato, il Pontefice e Mons. Littarru sedettero davanti a un tavolo, e iniziarono una lunga rievocazione dei loro anni scolastici.
«Come lasciò vagamente intendere Mons. Littarru, pare che questi confessò S. Santità, che a sua volta confessò poi l’amico.
«Nel congedarsi dal pontefice, Mons. Littarru si inginocchiò, invocando la pontificia benedizione, e Papa Giovanni non solo lo benedì ma, sollevandolo da terra, lo abbracciò e baciò più volte, commosso sino alle lacrime.
«Prima di partire da Roma, giunse a Mons. Littarru una lettera di Papa Giovanni con l’augurio di buon viaggio invocando gli Angeli e i Santi perché lo accompagnassero. In seguito non mancarono, a Mons. Littarru, altre lettere, una collezione delle monete d’oro del pontificato di Papa Giovanni, fotografie e numerose altre attestazioni dell’affetto fraterno che il S. Padre aveva per il suo condiscepolo».
C’è infine – evidentemente ancor più autorevole – la testimonianza dell’allora segretario particolare monsignor Capovilla: «Papa Giovanni, volendo in qualche modo rendere onore al suo vecchio compagno di studi e ringraziarlo della sua visita, chiese al canonico Littarru cosa potesse fare per lui. “Santità, se volesse concedermi di tenere il Santissimo Sacramento nella mia cappella di casa…”. Sorpreso ed ammirato della natura tutta sacerdotale della richiesta del suo ospite, il papa acconsentì senz’altro, subito, e dispose anzi che si provvedesse, con le dotazioni della propria sacrestia, alle esigenze di parati dell’altare del canonico».
E ancora: «Merita anche rilevare, perché dà la misura della partecipazione emotiva di papa Giovanni all’incontro con monsignor Littarru, che le udienze tenute in casa da parte del pontefice sono state pochissime, e che l’accompagnamento del suo ospite fino all’ascensore è stato un riguardo usato solitamente dal papa soltanto al proprio confessore ed al segretario di Stato…».
Conclusione di una testimonianza per la storia
«Dopo la scomparsa del Beato Giovanni XXIII, Mons. Capovilla, invitato in Sardegna a parlare ai chierici del Seminario regionale di Cuglieri, qualche anno dopo, passò ad Oristano a far visita a Mons. Littarru, il quale fu tanto contento di quella cortesia.
«In conseguenza di questa mia partecipazione alla visita del Canonico a Roma e di Mons. Capovilla a Oristano, dopo la scomparsa del Beato io promossi una raccolta di firme per chiedere la glorificazione del Santo Pontefice: se ne raccolsero 10.000, che furono fatte recapitare in Vaticano».
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Nelle note integrative al testo ripresi anche quanto “Vita Nostra” pubblicò dell’udienza giovannea all’arcivescovo Fraghì, da cui doveva poi derivare la successiva concessa al canonico Littarru. Ecco il tanto dalla pp. 232/234.
E se una intenzione morale posso porgere, in questa recupero di pagine, in onore del caro don Cossu, mi parrebbe nell’occasione di doverla riferire alla sua fatica di direttore del periodico diocesano, compiutasi molti anni dopo quel memorabile incontro romano. Ripenso malinconicamente al conformismo della direzione de “L’Arborense” di oggi, alle censure clericali concordate dal direttore “laico” e l’arcivescovo Sanna, con poca loro lode in verità.
Da principio era toccato a Fraghì
Ecco la cronaca che, a firma di don Giovanni Piras, “Vita Nostra” accoglie nella sua edizione del 30 aprile 1961, sotto il titolo di “L’udienza privata del S. Padre a S. Ecc. Mons. Arcivescovo” ed i seguente sommario: «S.S. Giovanni XXIII ricorda la Sardegna ed Oristano che ha conosciuto in visita come zelante apostolo dell’ideale missionario».
«Alla stazione di Macomer la testa sorridente di Dr. Campus spuntò dal finestrino mentre la Freccia Sarda era ancora in corsa e mi orientò subito sulla carrozza… incriminata: dopo alcuni istanti avevo già fatto una bella genuflessione e baciato l’anello all’Arcivescovo. Il viaggio ad limina era iniziato. Tre grosse valigie facevano la guardia sopra i sedili e non ci voleva molto a capire che non contenevano solo le solite cosette di viaggio. In cartelle, fogli e relazioni c’era tutta la storia e la vita della diocesi negli ultimi cinque anni ed il Pastore andava a Roma dal Padre e Pastore Comune a rendere conto della Sua diocesi, del mandato avuto un giorno dal Papa, come Pietro lo aveva avuto dal Cristo sulle rive del lago di Genezareth: – mi ami!… Più degli altri?… Pasci i miei agnelli, le mie pecorelle.
«La storia del mistico gregge di Oristano avrebbe rivissuto a Roma, si sarebbe confusa con la storia della Chiesa sempre in cammino incontro al Cristo che ritorna ogni giorno. Ma una domanda doveva venire subito: si potrà parlare proprio con il Papa?… anche il segretario… il segretario aggiunto? Speriamo. L’udienza è stata chiesta, ma ce ne sono tante. Attenderemo una risposta anche tutta la settimana. Speriamo.
«Nella prima giornata lunga visita di S.E. al Card. Ottaviani, nel palazzo del Santo Uffizio, che lo vide per lunghi anni nel lavoro al servizio della Chiesa; ed al ritorno la promessa che l’udienza ci sarebbe stata. Si sarebbe atteso, forse a lungo, ma con successo sicuro. Nello stesso giorno ancora lunga visita di S.E. alla Sacra Congregazione del Concilio ed i fogli, le cartelle, le relazioni si unirono a mille altri di tutto il mondo, pagine preziose del grande libro che scrive la storia del regno dei cieli in questa terra. Poi ci si preparò alla grande attesa per l’udienza, forse sabato, forse la settimana seguente. Invece il martedì dopo appena un giorno di permanenza a Roma il maestro di Camera di Sua Santità comunicò a S.E. che il Papa lo attendeva per il giorno seguente.
«Ci fu un po’ di panico quando al mattino una successiva telefonata della Segreteria di Stato annunciò che la visita era anticipata di un’ora, ma poi grazie ad un magnifico autista che ci regalò una movimentata corsa per le strade di Roma, all’ora precisa si poteva imboccare l’arco delle campane a fianco di San Pietro, mentre il volto si disponeva a solennità per gustare l’omaggio della gendarmeria Pontificia nei vari posti di blocco della Città del Vaticano.
«Dal cortile di San Damaso l’ascensore ci conduceva rapidamente al secondo piano e poi iniziava la lunga sfilata nei meravigliosi saloni vaticani, mentre ad ogni portone svizzeri e guardie nobili presentavano le armi. Fa una certa impressione passare in mezzo ai comandi gutturali degli svizzeri ed al suono secco delle alabarde. L’Arcivescovo vi era avvezzo per lunga abitudine, ma anche il seguito si adattò subito: quando nella sala precedente a quella degli arazzi un intero plotone di svizzeri presentò le armi anche il segretario ed il sottoscritto passarono con la indifferente e sorridente sicurezza delle persone importanti.
«Al salone degli arazzi un contrattempo imprevisto. L’Arcivescovo poteva passare perché il suo arrivo era previsto, ma il seguito doveva fermarsi in attesa di istruzioni dal maestro di Camera. Nell’attesa niente di meglio che chiacchierare con i dignitari dell’anticamera pontificia, molto solenni e quasi arcigni nell’apparenza, ma tanto cordiali: ispezione completa alle loro bellissime divise e decorazioni e richiesta di informazioni subito concesse sulla organizzazione dei palazzi vaticani.
«Un suono di campanello annuncia l’uscita di personaggi importanti. La guardia s’irrigidisce sull’attenti, mentre compare l’onorevole Fanfani, che dopo l’udienza solenne era andato dal Papa in visita privata con tutta la sua famiglia. (…).
«Ancora pochi minuti e poi arriva il permesso di passaggio anche per noi, che ci possiamo congiungere con l’Arcivescovo in cui compagnia percorriamo le ultime sale che ci separano dall’appartamento papale. Il Papa darà udienza nella Sua biblioteca privata e l’ultima attesa è nella sala del tronetto. Siamo soli soli. Io non riesco a vincere una tentazione e vado a sedermi nello sgabello a destra del trono, chiudo gli occhi e faccio un sogno di pochi secondi. Mi sveglia il segretario pontificio delle lettere latine monsignor Del Ton – che avanza sagomato in un magnifico ferraiolone rosso e siede impassibile proprio di fronte a me. La sua mano sinistra tiene una grossa cartella, ma la sua mano destra a un certo punto si alza e si muove in lente volute, interrotte da brevi pause: se non si sapesse chi è si potrebbe pensare ad un direttore di orchestra, ma è chiaro che la sua mano sta tracciando un solenne discorso latino, forse quello che sottoporrà fra poco all’attenzione del Santo Padre.
«Un suono di campanello e la doppia porta della biblioteca papale si apre per lasciare uscire un vescovo straniero. Entra il segretario delle lettere latine, ma dopo dieci minuti la doppia porta si apre ancora ed il segretario annuncia il Vescovo di Oristano. L’Arcivescovo si avvia, ma prima che la porta si chiuda sentiamo una voce paterna e profonda – la voce del Papa – che risponde dall’altra parte: “Il Vescovo di Oristano… No, l’Arcivescovo di Oristano”, perché tre sono i punti luminosi della Sardegna: Cagliari, Sassari ed Oristano. La porta si chiude e chiude nel suo segreto il colloquio dei due successori degli Apostoli.
«Il nostro sguardo va subito all’orologio miniato che ci sta di fronte: ore 11,30. Dopo 17 minuti è la nostra volta. Ansia, commozione… Si bacia la mano, la veste o la pantofola? Quando il segretario del Papa ci introduce non si pensa a niente. Si ha appena il tempo di accennare una genuflessione e di baciare l’anello, mentre il Papa commenta i nostri cognomi: Campus, Piras, che bei nomi sardi! E poi ci parla paterno lasciandoci incantati.
«Segue una sfilata di ricordi sardi che il Papa rivive per sé e per noi, e poi una domanda che attendevamo: – Come sta Can. Littarru? Lo ricordo ancora quando lo incontrai la prima volta alla stazione. Quanti anni ha ora?
« – Ottantatre.
« –Ottantatre… Ditegli che guardo ai suoi ottantatre anni con… con… mbeh, con serenità perché ci attende Nostro Signore.
«Una piccola pausa in cui possiamo fare le nostre domande al Papa e chiedere la benedizione per quelli che ci sono cari. Poi entra il fotografo. Una fortuna che si osava appena sperare. Prima posa il Papa con l’Arcivescovo, poi siamo ammessi anche noi. Intanto il segretario del Papa ha portato i doni ricordo: tre medaglie del pontificato. Ma il Santo Padre interviene: per l’Arcivescovo di Oristano una medaglia è troppo poco. Ed arriva un meraviglioso rosario tutto in oro.
«Ci si inginocchia per la Benedizione e l’udienza purtroppo è già finita. L’Arcivescovo genuflette e bacia l’anello e poi riceve un caldo abbraccio del Papa. Baciamo anche noi l’anello ed usciamo rivolgendo un ultimo sguardo al Papa che ci accompagna sorridente fino alla porta. Che pace! Le parole non sono state dette, ma era proprio la scena del lago di Genezareth. Il Papa era il Cristo, lo stesso Cristo buono e sorridente. In tutta l’ora ha fatto solo una domanda, al Vescovo, ed anche a noi: – Mi vuoi bene?… Si?… Torna alla tua diocesi, torna benedetto, pasci i miei agnelli… le mie pecorelle.
«La bella giornata è finita con la visita alle quattro basiliche maggiori che ci hanno stretto ancora nell’abbraccio del Papa, nel respiro della Chiesa. Ha avuto un seguito il giorno dopo la visita alle catacombe ed alla Basilica di S. Lorenzo, la Chiesa sofferente e trionfante di ieri, e poi con la visita alle modernissime e bellissime Chiese di D. Bosco e dei Canadesi, la Chiesa militante di oggi e di domani».
Don Giovanni Piras, ormai da molti anni incardinato nell’archidiocesi di Cagliari e residente a Selargius, integra quel suo lontano servizio giornalistico con la sua vivida testimonianza resa all’A. (in date 17 febbraio e 14 marzo 2001). Ricorda fra l’altro una battuta di Giovanni XXIII «contento come un bambino», riferita al dono – una croce ed un anello – da lui appena ricevuto dall’onorevole Fanfani, il presidente del Consiglio ricevuto in udienza con la propria famiglia: «Tutto serve». Con il che, evidentemente, intende significare che verrà presto l’occasione per donare a sua volta il dono: magari a una parrocchia romana, magari a un vescovo di nuova nomina in una lontana diocesi del terzo mondo…
Ricorda anche, don Piras, le osservazioni che il papa colorisce di bonomia riguardo all’immagine che l’evocazione della sua lontana visita sarda e cagliaritana richiama alla sua memoria: «Parlò di quei numerosi canonici della metropolitana di Cagliari, tutti protonotari apostolici, che circolavano vestiti da vescovi anche se… con le calze bucate. Era ammirato per la solennità di quegli abiti, ma più ancora per quel che i buchi alle calze rosse volevano dire: povertà sostanziale».
Monsignor Sebastiano Masala, notarius della congregazione del Sant’Uffizio, è il prelato che ha organizzato l’udienza della piccola comitiva oristanese.