Cittadino domanda, sindaco non risponde. «L’arte? Non ne so nulla», di Andrea Serra

 

L’articolo che segue, nell’apparente modestia delle due cartelle di word, racconta molte cose dell’oggi pubblico cagliaritano, e suscita la memoria di altre cose – uomini e vicende – del passato. Dice di chi scrive – un cittadino che si rivolge a un amministratore che s’era fatto vanto di essere in permanente colloquio con coloro i cui interessi era stato chiamato, dal voto popolare, a servire secondo le competenze proprie del Municipio; dice di un sindaco che, appunto, non si dà carico neppure di organizzare l’ufficio perché il cittadino – anche soltanto rispondendo alle sue domande – sia rispettato intanto con la buona educazione e il riconoscimento del suo status; dice, nella sostanza della “causa”, di un progetto dichiarato e non sviluppato secondo la tempistica cui costringono le regole dei finanziatori – quello del parco della musica a Cagliari; dice della scadentissima attenzione riservata ai flussi di turisti che, invero, non soltanto dal Terrapieno ma anche dal Largo e dall’area di Santa Chiara e Cammino nuovo vogliono accedere al Castello, e non trovano – è questione giornaliera! – supporto e neppure utili indicazioni; dice ancora di una città dal potenziale enorme – per grazia di natura e abilità di amministratori di stagioni remote – che fatica sovente a trovare gli uomini giusti per il posto giusto; dice o evoca, meglio, una memoria d’arte e d’artista che meriterebbe almeno una ripresa: quella di Antonio Manca Serra (1923-1956), un grande che abbiamo perduto troppo presto. Un grande – lui baritono – degno della scuola che a Cagliari ha lanciato nel mondo interpreti alcuni fra i maggiori del loro tempo – ora appunto baritoni o magari tenori o soprani ecc. – sovrani della scena come Mario De Candia (il Comune ha salvato la sua tomba gentilizia al monumentale di Bonaria? non sappiamo) o Piero Schiavazzi, o Carmen Melis, o i tanti altri più vicini a noi, la Devinu, la Cappellino, la Garbato, la Manca di Nissa, Angelo Romero…, – e aggiungi ancora, di questo o quel tempo, il Saccomanno, Giacinto Pinna e Luigi Medda o per non dire di quegli altri, sardi non cagliaritani, come Nieddu o De Muro, o Manurita, la Di Venosa o Pedroni, Pirino o la Carboni… una folla di talenti ormai consegnati alla storia e qualcuno, pochi ormai, ancora all’attualità, dalla Lippi alla Pinna, dalla Valente alla Casula, dalla Sini Tanda alla Calaresu, alal Ceppi-Porcu, da Salvatore Sassu a Mario Luperi, da Nino Fontana a Claudio Massidda…

Sono ormai numerose, ma tutte valide, le monografie sul mondo del melodramma come s’è coltivato in Sardegna negli ultimi due secoli e fino quasi al presente. Una ricapitolazione generale è certamente in quel “La lirica in Sardegna” di Santo Muscas (Cagliari/Sassari, Edes, 1983; la prima e ridotta edizione dal titolo “La lirica in Sardegna: i protagonisti – interpreti, autori, teatri, pubblico” è stata prodotta dalla Altair nel 1981), ma poi sono le biografie particolari degli artisti che valgono anche perché delineano i ponti che collegano Cagliari e la Sardegna con il vasto mondo dell’arte, con i teatri del continente italiano, con quelli dell’Europa o del mondo. Potrebbero richiamarsi qui le memorie (datate 1913) di Cecilia Pearse De Candia riguardanti il padre – il grande Mario (alias Giovanni De Candia), ristampato nel 1995 dall’editrice Sardegna da scoprire ed efficacemente integrate da note critiche e nuovi capitoli di Adriano Vargiu. Dedicato allo stesso artista, mecenate della causa risorgimentale, andrebbe ricordato anche il volumetto – bellissimo – “Mario De Candia. l’uomo, l’artista”, curato nel 2013 dall’Archivio di Stato di Cagliari e stampato dalla Scuola Sarda Editrice.

Ben degni di nota sono le due biografie dedicate a Piero Schiavazzi rispettivamente da Antonino Defraia (“tra mito e verità Piero Schiavazzi il cantante-attore della Giovane Scuola”, Bologna, Bongiovanni Editore, 1995) e da Adriano Vargiu (“Piero Schiavazzi professione artista”, Cagliari, edizioni Sardegna da scoprire, s.d.).

Non vale adesso qui soffermarsi – seppur lo meriterebbero (a cominciare dalla Melis, con il lavoro del 1985 di Adonide Gadotti, Bruno Cagnoli e Daniele Rubboli: “Carmen Melis, un grande soprano del verismo”, o il quaderno pubblicato nel centenario della nascita dall’Istituzione dei concerti e del Teatro lirico di Cagliari: “Omaggio a Carmen Melis, 1885-1985”) – sui molti altri titoli monografici sui nostri maggiori del teatro melodrammatico, per andare invece al Manca Serra.

Circa Antonio Manca Serra meriterebbe una segnalazione speciale un testo (documentatissimo)di oltre 230 pagine (e almeno duecento fotografie e locandine) pubblicato non sono molti anni fa ancora da Adriano Vargiu: “La breve vita di Antonio Manca Serra baritono autentico” (Mogoro, PTM editrice, 2010), con la raccolta anche di numerose testimonianze di colleghi di studio o palcoscenico, di recensioni, di schede discografiche e di spettacolo. Un lavoro magnifico forse ignoto al sindaco e anche all’assessore alla Cultura del Comune di Cagliari.

Era stata una improvvida iniezione di penicillina (cui era allergico) – si disse – a provocare a Dublino, dove era stato scritturato dal Gaiety Theatre: una iniezione per proteggerlo da un banale malanno che poteva impedirne l’esibizione. Morì a 32 anni. Era nato in una delle prime case di via San Giovanni, a Villanova. Da padre cagliaritano e madre sassarese, che lo avrebbe lasciato orfano a soli 10 anni, e alla cui memoria restò sempre legato da struggente sentimento. Cantore con gli altri del quartiere – bambini e ragazzi – dei cori della Passione, quelli del Venerdì santo. Corista poi, da adolescente, nella chiesa di San Francesco di Paola, nella via Roma, quando spostò il domicilio in una palazzina di ferrovieri, nella via Dante, con il giovane padre melomane, quasi un fratello per lui, e la matrigna. Dal 1940 gli studi al conservatorio di musica – nell’ex palazzo Civico di Castello –, la sera qualche prova al pianoforte di casa, per gli amici. Tempo di insegnanti – nel tempo stesso  della guerra! – come il Manurita, la Pasini, la Capuana wagneriana, o come il maestro Fasano, Enzo De Bellis e Adolfo Rachel, il Giannini e il Paolone…

La divisa militare per qualche mese, per fortuna nessun combattimento nel 1942 o 1943. Lo sfollamento della famiglia a Ploaghe nei giorni dei bombardamenti, le lezioni di fortuna a Sassari, mentre il Conservatorio cagliaritano si spostò per qualche mese a Gesturi… Il diploma nel 1945, il trasferimento a Roma – nuova residenza della famiglia – nel quartiere Trieste (lo stesso, in quegli anni, della famiglia Crivelli!), una prima borsa di studio, un corso di perfezionamento promosso dal Santa Cecilia, le lezioni di arte scenica impartite da un quasi coetaneo (ma geniale anticipatore) Vittorio Gassman… Se vai a cercare il suo nome nei trafiletti delle cronache d’arte dei giornali cagliaritani già negli anni degli studi oppure nelle recensioni teatrali della stampa nazionale (oltreché di quella isolana) – Il Messaggero, Il Gazzettino, La Nazione, la Gazzetta del Veneto, L’Eco di Bergamo, La Nuova Stampa, Il Popolo, il Corriere Lombardo, il Corriere della Sera, Il Giornale d’Italia, La Voce di Calabria, La Sicilia, il Corriere di Sicilia, il Giornale dell’Isola… – dal 1947 al 1956, lo trovi quel nome almeno cinquecento volte in almeno cento testate diverse… Un decennio pieno di esibizioni pubbliche, da quelle che trovi documentate nelle frequenze di Radio Sardegna – fin dal 1945 – alle maggiori della nostra Sala Scarlatti o del nostro Massimo, ad arrivare alle altre dei teatri di Orvieto e Roma, del Vaticano e Terni, di Padova e Jesi, di Perugia e Prato, di Milano e Bari, di Pisa e Genova, di Trento e Trieste, di Parma e Merano, di Napoli ed Ancona, di Catania e Palermo, di Grosseto e Carbonia, di Lucca e Sassari, di Londra e Vichy, di Malta e Dublino… e tutto lo puoi tranquillamente raddoppiare ed arricchire con il palinsesto del Terzo Programma RAI…

Ne scrive qui, oggi, un pronipote, giovane naturalista e docente, cultore di memorie cagliaritane, autore di un recentissimo accurato studio uscito dal dipartimento scientifico del nostro ateneo – “Storia del Museo di Zoologia dell’Università di Cagliari” –, ed attualmente impegnato in una ricostruzione biografica dei Cara – Gaetano, Francesco, Alberto, ecc. –, personalità d’eccellenza (ancorché discusse) presentissime nelle relazioni accademiche del canonico Giovanni Spano e di cui è prova anche l’epistolario dell’antico rettore, archeologo e linguista, che il professor Luciano Carta ha dato alle stampe, ora è poco tempo, in due corposi volumi per i tipi della Ilisso. Non meno interessante è un’altra fatica che “si è cercata”, ed ha ancora in corso, il dottor Serra: quella sul parco cosiddetto di “sa Butanica”, il primo orto botanico cagliaritano nell’area dell’antica via di Circonvallazione (poi Nuova o Sonnino, e XX Settembre, nell’innesto con l’attuale via Lanusei, a salire fino a “su muntronaxiu” del viale Regina Margherita, spalle alla… ex splendida casa De Bonfils. L’area che ospitò per un secolo almeno anche le sepolture dei non cattolici, in prevalenza inglesi anglicani, deceduti in città).

Quel che sorprende – o forse no –, di taluni amministratori attuali, e non dissomiglia qui il colore politico, è l’indifferenza che essi manifestano per il cittadino che si mostra parte diligente in una interlocuzione mirata all’interesse pubblico, e che tante volte, com’è proprio questa, s’identifica anche in un operatore che con sacrificio e valore – senza guadagnare un euro dalla propria fatica – pone al servizio della collettività il proprio talento e il proprio tempo. (gf.m.)

A Cagliari proprio davanti al THotel, in via dei Giudicati, ormai da qualche anno è stata riqualificata un’ampia area urbana con la creazione di una zona dedicata alla musica e alla cultura, con spazi scenici, laboratori teatrali e servizi connessi al vicino Teatro Lirico al quale l’area è collegata, terminando nella via Sant’Alenixedda. E’ il “Parco della Musica”, un ambizioso progetto culturale della Regione Sardegna cofinanziato dal POR Sardegna 2000-2006.

 

Su L’Unione Sarda del 6 maggio 2011 si legge la cronaca della presentazione dell’opera, effettuata dall’allora sindaco del capoluogo Emilio Floris insieme con il soprintendente del Teatro Lirico Gennaro Di Benedetto. Così si espresse, al tempo, il primo cittadino: «Non è un’inaugurazione, ma l’apertura di uno spazio che possa essere immediatamente fruibile. Il progetto Parco della Musica, con tutte le attività e la sua valenza anche soprannazionale, partirà più tardi. Per il momento meglio cominciare in questo modo, anche per non fare invecchiare quello che è già pronto».

Da allora il tutto è rimasto… parziale, cioè incompleto. Nel 2012, l’accordo di programma quadro «Smart Business Factory» ha previsto il completamento del progetto e il suo cofinanziamento nell’ambito del POR Sardegna 2007-2013. Tali fondi sono in scadenza – salvo errore – a dicembre 2015 secondo il disposto dell’articolo 93 del Regolamento UE n. 1083/2006 che implica il disimpegno automatico dei fondi stanziati.

L’attenzione dell’amministrazione comunale ad oggi resta cosa pallidissima, e l’area rimane in parte inutilizzata, certamente non completata secondo le promesse e, anzi, gli impegni formali, nonché inevitabilmente esposta ad atti frequenti di vandalismo.

Ho seguito questa vicenda amministrativa con particolare interesse proprio da cittadino cagliaritano amante, oltreché – ed è ovvio – dei luoghi in cui è nato e cresciuto, ha frequentato gli studi ed avviato la sua attività di ricercatore e di docente, anche dell’arte e, in particolare, della musica. Mi sono doluto della persistente incompletezza del progetto, ed ho creduto – lo dico francamente – nei dichiarati buoni propositi della giunta Zedda riguardo alle tante e grandi opere tese allo svecchiamento ed al progresso del capoluogo regionale, tanto sul piano fisico quanto su quello sociale. Soprattutto ho creduto – al tempo della scorsa campagna elettorale – al candidato sindaco (e, con lui, ai candidati consiglieri/amministratori, rappresentanti dell’interesse generale) circa la volontà di curare, con la massima diligenza, come si trattasse di un fatto morale, il dialogo continuo con la cittadinanza.

Per questo, avvertendo in me il dovere e anche l’impellenza di essere parte attiva di questo dialogo con l’amministrazione, scrissi al sindaco Zedda una lettera, personalmente portata in municipio e protocollata in data 9 luglio 2015 al numero 0166405, inviandone copia, per conoscenza, anche al vicesindaco e all’assessore alla Cultura.

La lettera in questione chiedeva lumi riguardo a quella parte del progetto del Parco della Musica relativa alla messa in opera dei busti dei cittadini illustri che si sono distinti come artisti nel campo specifico della lirica, così nel Novecento come già nel secolo precedente; del resto il Parco della Musica deve il suo nome alla vicinanza con il Teatro lirico, ma lo deve, direi, anche a questa validissima idea-progetto che pareva completare il percorso culturale, rendendo insieme più edotti i cagliaritani su alcuni loro eminenti concittadini – magari celebrati in altre piazze d’arte nazionali o internazionali – da noi colpevolmente dimenticati. Tanto più ciò doveva coinvolgere le moltissime persone che tutti i giorni fruiscono del Parco, fra il quartiere di San Benedetto e quello della Fonsarda o, più su, il declivio di Is Stelladas.

Non nego l’interesse personale – interesse non venale però – su questa parte del progetto. Infatti uno dei busti in questione dovrebbe essere quello di un mio parente, il baritono Antonio Manca Serra, e nella lettera inviata al sindaco non ne ho certamente fatto segreto (il manufatto, piacevolissimo, è attualmente posseduto dal ramo Manca della nostra famiglia).

Al momento della protocollazione della lettera l’addetto comunale mi disse: «ecco qua, adesso la lettera è già sulla scrivania del sindaco che è sempre attivo nel dialogo con i cittadini, e comunque sarebbe bastata anche una semplice mail…».

Si può pertanto capire la mia delusione perché, dopo diversi mesi (siamo ormai a dicembre 2015), ancora nessuna risposta mi è giunta, e tanto meno qualcosa si è fatto. Non ho ricevuto neanche un «grazie, prenderemo in considerazione la sua proposta il prima possibile». E il mezzo deserto è rimasto mezzo deserto, senza statue di memoria.

Lo avrei accettato quel «grazie, ce ne occuperemo», ben s’intende, anche senza il sovrappiù di impegni. Capisco la pressione esercitata sull’agenda del sindaco Zedda (e dei suoi collaboratori di giunta) dai problemi più urgenti, ma visti i tempi… storici di quel mio inoltro, il silenzio totale da parte di un amministratore a cui ho dato, cinque anni fa, la mia fiducia, è cosa che provoca fastidio e fa male. Sono coetaneo del sindaco Zedda, forse mi ero illuso che la nostra annata fosse fatta da gente… tutta di parola. Registro che Zedda non è di parola.

Purtroppo la storia non finisce qui.

Poco tempo dopo, spinto ancora da quel senso di appartenenza ad una comunità e da un amore sviscerato alla mia città, ho scritto una seconda lettera al sindaco Zedda, questa volta via mail (memore del consiglio dell’addetto comunale), credendo e sperando che il sistema elettronico fosse più rapido ed efficace. Anche stavolta mi sono premurato di inviare copia tanto al portavoce quanto alla segreteria del sindaco.

Questa seconda lettera, inviata in data 23 luglio, aveva per oggetto “Salite al Castello, immagine negativa per turisti” ed era dovuta al fatto che, passando spesso nella zona di piazza Costituzione, vedevo frotte di turisti, il più delle volte croceristi, vagare senza meta all’interno del parcheggio dell’APCOA e nel nuovo giardino sotto le mura, entrambi lungo il viale Regina Elena, nella disperata, e quanto mai vana, ricerca di uno di quegli ascensori indicati nelle mappe e nei cartelli stradali per raggiungere la cattedrale nel quartiere di Castello.

Ciò che invece trovavano, e purtroppo trovano ancora, sono una serie di transenne, perche gli ascensori sono in manutenzione e il Bastione di San Remy è chiuso per lavori.

Nella lettera suggerivo, delle semplici frecce che indicassero strade alternative, chiedendo nel contempo, ed educatamente, scusa per i disagi arrecati ai nostri visitatori. Tutto ciò per evitare che i turisti lasciassero Cagliari con un brutto ricordo: un ricordo che certamente si rivelerebbe essere, alla distanza, la peggiore tra le pubblicità negative.

Come si può immaginare, nemmeno in questo caso ho avuto risposte, nemmeno quel diplomatico (speriamo non ipocrita) «grazie per averci segnalato il problema, provvederemo quanto prima». Soprattutto nessun cartello, freccia o altro è stato posizionato; nessuno dei cartelli che indicano gli ascensori è stato temporaneamente coperto (data l’illusione che avrebbe suscitato); nessun turista viene avvisato, presso l’infopoint sito nel comune di via Roma, sui disagi e sulle strade alternative.

Se questa è l’idea della “Capitale della Cultura” (e di altre cose) che hanno in mente il sindaco Zedda – adesso ricandidato alla carica – e la giunta da lui presieduta, non si può fare a meno di ammettere che la strada sia ancora parecchio lunga e ripida come le strade in salita della nostra bella Cagliari.

 

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