I cinquant’anni della loggia massonica Hiram, a Cagliari, di Gianfranco Murtas
Dieci anni fa moriva a Sassari, la sua città natale, il dottor Mario Giglio, già direttore generale della Banca Popolare e in precedenza direttore della succursale del Banco di Napoli nello stesso capoluogo turritano. Già militante ed esponente regionale socialdemocratico (poi del PSI), era anche, da lunghi anni, un alto dignitario del Grande Oriente d’Italia.
In questo articolo ne scrive Gianfranco Murtas, suo amico personale e biografo, custode del suo fondo liberomuratorio conferito all’Archivio storico generale della Massoneria sarda. Lo fa proponendo una pagina interessante della vita massonica sarda che ebbe Giglio come protagonista: la fondazione a Cagliari, proprio cinquant’anni fa – a cavallo fra 1965 e 1966 – della loggia Hiram, in cui avrebbero avuto posto lo stesso Armando Corona, futuro gran maestro, e Vincenzo Racugno, alla cui donazione del palazzo Sanjust, a Castello, si deve se le ventiquattro logge della città possono ormai da un quarto di secolo operare con tranquilla praticità.
Se può apparire inconsueto il contenuto dell’articolo qui presentato, a rischio quasi di incomprensione di taluni passaggi proprio per le singolarità finora inespresse del mondo delle logge massoniche, si osservi che l’autore cerca, semplificando al massimo, di rendere accessibile al pubblico più vasto la sua narrazione.
Abbiamo anche presente, per dichiarazione redazionale dello stesso Murtas, che tale articolo non intende “bucare” la legittima riservatezza che la normativa vigente assicura ai cittadini italiani in materia di appartenenze anche associative. Tanto più quando si tratti di sodalizi che il “clericalismo” – compreso quello un tempo comunista (poi PDS, quindi DS, in tracce oggi PD), oltreché democristiano e neofascista – ha costantemente costretto, per autodifesa, a rinforzare il riserbo circa la propria azione sociale.
Peraltro è anche vero che le cronache di stampa apparse copiose negli ultimi anni e i necrologi AGDGADU pubblicati talvolta sui giornali hanno abbattuto molti diaframmi e reso noti diversi aspetti e nomi della realtà massonica della nostra regione.
«Basterebbero i venti chilometri di condotte idriche regalati ai missionari del Madagascar o le risorse offerte per i percorsi sensoriali degli affetti dal morbo di Alzheimer nell’hinterland cagliaritano, o magari, nel capo nord della Sardegna, le attività decennali della Casa della fraterna solidarietà, ecc., se portati nei titoli dei quotidiani, a lanciare nella società il buon nome dei Liberi Muratori sardi – dice Murtas –, ma si è deciso di lasciare ancora sotto coltre le ordinarie e quotidiane azioni umanitarie e di soccorso talvolta spicciolo e talaltra strutturale, pressoché sempre anonimo, e di continuare a beccarsi i lazzi o, al meglio, la diffidenza dei dogmatici tutto-scienza… La Massoneria pensa positivo, e credo che questo le basti».
Un nome, un programma
Doveva essere molto più gettonato di oggi, nei circuiti massonici, il nome di Hiram, mitico personaggio tratto dalle pagine bibliche e rimodellato secondo gli scopi e le sensibilità della pedagogia muratoria comunque orientata all’idea della costruzione. Quanto meno nel maggiore circuito di Palazzo Giustiniani sono poche – tre soltanto, quattro a considerare una “I Figli di Hiram”, nell’Agrigentino – le logge, sul totale di quasi 600 attive, che portano il titolo distintivo che invece un tempo segnalava, insieme con quelli di Mazzini e Garibaldi, di Giordano Bruno e forse Pitagora, la maggior affezione anche ideale a quanto era nel portato di quei nomi.
A Cagliari giusto mezzo secolo fa la Massoneria giustinianea visse un momento di eccellenza, anche se forse esso non poté essere compreso come tale dall’intera Fratellanza locale: allestiva il suo primo impianto una loggia di nome proprio Hiram Abiff, l’architetto del Tempio di Salomone, l’operaio-capo di rara competenza capace di guidare il lavoro di masse artigiane tutte intente ad innalzare un manufatto di religione – si sarebbe detto un giorno – Alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo. Accanto ad essa un’altra nuova loggia prendeva forma, ancora a Cagliari, ed era intitolata a Giordano Bruno, personaggio della storia stavolta, non del mito, campione della ricerca antidogmatica, intuitore dei mondi infiniti. Loggia numerata con il 656 quest’ultima (tante erano, o erano state, dalla prima conta del 1947, le officine giustinianee dal Piemonte alla Calabria, alle due Isole), la Hiram con il 657.
Venivano entrambe, come gemmazione, da una neppure anziana e comunque onorevole ed austera compagine dal titolo Nuova Cavour. Quella che proprio allora aveva pressoché completato il ciclo delle confluenze (da altre Comunioni) che l’avevano costituita con un organico arrivato infine a sfiorare addirittura il centinaio di membri.
Lo sviluppo della geografia sarda, e in specie cagliaritana, delle formazioni rituali appartenenti al Grande Oriente d’Italia è estremamente interessante per chi ami non soltanto la storia delle grandi idealità laiche e democratiche, ma più ancora ami conoscere le modalità attraverso cui esse sono vissute e tradotte nel programma concreto dell’associazionismo civico e – poteva e doveva dirsi un tempo, e chissà perché no oggi (sgrammaticato tempo di derive pagane, populiste e leghiste) – patriottico, anche in quello, assolutamente peculiare, della categoria fraternale.
La lunga storia, poi il 1958
Rimontava allo stesso anno dell’unità d’Italia – al 1861 cioè – la prima loggia sarda, radicata a Cagliari con una funzione prettamente politica, nella logica cavouriana del rinsaldamento delle leadership locali (in combinazione insieme politico-amministrativa, burocratica, accademica, professionale e industriale) per rafforzare il tratto unitario liberale del regno. La Massoneria si espanse comunque presto a Nuoro, Sassari e Oristano, moltiplicando le sue presenze soprattutto nel maggior capoluogo. Sarebbe venuto poi il momento di altri insediamenti, ora ad Iglesias e Alghero, ora ad Ozieri, Tempio Pausania e Villasor , più tardi anche a Carloforte e Ghilarza, La Maddalena e Lanusei.
Si sa, così fino al fascismo e alla messa fuorilegge. Intanto però, nel 1908, una scissione scaturita all’interno del Rito Scozzese Antico e Accettato aveva compromesso equilibri rilevanti a livello nazionale, originando l’Obbedienza tutta scozzese di Piazza del Gesù, non intaccando però la struttura sarda, rimasta integralmente fedele a Palazzo Giustiniani (il cui ordinamento prevedeva la distinzione fra le logge cosiddette di base, o azzurre, o simboliche – obbedienti al Gran Maestro –, e le camere rituali superiori – quasi libere scuole di specializzazione –, fra cui appunto quelle scozzesi). Sorse così nell’Isola, non da scissioni locali ma da pure suggestioni nazionali, la Comunione appunto di Piazza del Gesù, posta anch’essa fuorilegge nel 1925.
Dopo la dittatura e la guerra, nel 1944 la loggia cagliaritana del Grande Oriente d’Italia e, dall’anno successivo, quella concorrente di Piazza del Gesù (in rapida moltiplicazione di denominazioni, fra cui una detta di Palazzo Brancaccio) rilanciarono – senza dialogare fra di loro, non riconoscendosi reciprocamente la regolarità – il movimento liberomuratorio. E mentre per un decennio circa la prima riuscì a coprire dignitosamente gli spazi a lei deputati, per poi gradualmente indebolirsi e quasi emplodere per intime e insuperate contraddizioni fra un’anima progressista (fino a carezzare simpatie social-comuniste) ed un’anima dannunziana e liberal-monarchica (con qualche occhieggiamento elettorale perfino ai dark missini) – poco potendo i “centrali” di più matura e consapevole derivazione risorgimentale –, diverso fu per l’altra sponda obbedienziale.
Mentre dunque perdeva, almeno all’apparenza, smalto e posizioni la Comunione giustinianea, di antico radicamento liberal-democratico e riformista nelle sue ansie civili, pareva rafforzarsi, nell’Isola e soprattutto a Cagliari, l’alternativa area scozzese – o chiamala templare-scozzese –, il cui punto debole era dato però dalla insuperata frammentazione delle compagini (Piazza del Gesù in stretto senso, Palazzo Brancaccio come prima fuoriuscita), alimentata addirittura dalle scombinate direttive delle centrali romane.
Il tutto parve cessare nel 1958, quando una di quelle logge scozzesi – la brancacciana Cavour, con sede nella via Portoscalas, e già obbediente a un Sovrano leader nazionale di nascita e residenza sarda (Federico Farina) – chiese la regolarizzazione al Grande Oriente d’Italia, divenendo paradossalmente, lei nuova regolarizzata, l’elemento forte ed aggregante delle sparse presenze d’intorno.
Già in questa compagine si formava – allora giovane funzionario di banca – un artiere destinato ad essere, per lungo tempo, nel doppio ricambio generazionale fra anni ’60 e anni ’80 ed oltre, il corifeo riconosciuto dei giustinianei isolani, che naturalmente diversi altri comprimari potevano vantare tanto più a Sassari e Carbonia (fra essi gli anziani Bruno Mura ed Alberto Silicani). Si consideri infatti che l’ambiente massonico è strutturalmente mobilissimo, riuscendo i frequenti avvicendamenti nelle responsabilità magisteriali di loggia o circoscrizione a temperare significativamente la gerarchizzazione imposta dall’ordinamento e connaturata agli schemi rituali. Quel leader in fieri portatore di un’ondata modernista negli assetti e nella mentalità, nello sforzo anche di innovare rispetto ai moduli operativi prefascisti o dell’immediato secondo dopoguerra, rispondeva al nome di Mario Giglio, prossimo direttore del Banco di Napoli in mezza Sardegna, da San’Antioco ad Olbia, ad Oristano e Sassari e raggruppamento provinciale, condirettore a Cagliari, e infine alto dirigente, fino ad essere – nella sede legale e amministrativa – direttore generale della Banca Popolare di Sassari.
Mario Giglio l’innovatore
Sono giusto dieci anni che egli, dopo una crudele malattia (il Parkinson devastante, per lungo tempo, la sua autonomia) e dopo aver vissuto anche il travaglio della crisi della sua Popolare, è scomparso. Resta di lui, in chi lo abbia conosciuto da vicino, il ricordo di una genialità generosa e di una creatività che purtroppo non sempre poteva canalizzare al meglio, forse per una sovrastima del contesto chiamato ad accoglierla e farla fruttare. Così anche nella Massoneria di cui, nel tempo, sarebbe stato chiamato ad essere, nonché Venerabile di loggia, anche presidente circoscrizionale ed ispettore, ed a livello nazionale sia membro della Corte Centrale (già nel 1968) sia membro del collegio dei cosiddetti Grandi Architetti Revisori e per due volte rappresentante del Consiglio dell’Ordine nella Giunta Esecutiva. (In aggiunta a tanto si potrebbero citare pure gli uffici propri del Rito Scozzese, evidentemente sempre di stretta matrice giustinianea, fino a quelli apicali in Sardegna e del Supremo Consiglio nella capitale).
Fu in una di queste ultime circostanze che, come rivelano i verbali che ho pubblicato varie volte, si mostrò implacabile avversario di Licio Gelli e della sua P2, e contestatore del Gran Maestro pro tempore – lo sfortunato generale Ennio Battelli – che non aveva saputo resistere alle pressioni dell’avventuroso imprenditore toscano, a questi rilasciando quelle tessere in bianco finite poi per dare una patina di regolarità a un sodalizio clandestino e per molti versi inquietante.
Ma qui, ricordando la figura di Mario Giglio alto dignitario massonico, vorrei specialmente associare ad essa la creatura forse più importante che la Comunione di Palazzo Giustiniani in Sardegna deve alla sua intelligenza progettuale non meno che alla sua abile intraprendenza operativa: appunto quella loggia Hiram, ora al compimento del suo cinquantesimo compleanno, che avrebbe presto accolto, rilevandolo dalla consorella di Carbonia, nientemeno che il futuro Gran Maestro Corona e, successivamente, l’attuale Gran Maestro onorario Vincenzo Racugno.
Come nasce una loggia
Ho accennato prima al centinaio (poco meno) di artieri costituenti, alla fine del 1965, il piedilista nominale della Nuova Cavour, esito di una prima ristrutturazione dei radicamenti del 1958 (la Cavour n. 574 che, dopo la propria regolarizzazione, aggrega a sé i ranghi sparsi sia giustinianei che scozzesi-neoferani delle logge Risorgimento, XX Settembre e Mazzini, per poi – l’anno successivo – autodemolirsi e ricostituirsi immediatamente nella doppia versione della citata Nuova Cavour n. 598 e della Libertà n. 599).
Si tenne il 7 novembre 1965 una riunione in cui diciassette Fratelli appunto della Nuova Cavour deliberarono di costituirsi autonomamente in loggia, per il che chiesero il placet delle autorità obbedienziali del GOI. Presieduta da Quintino Fernando – un dotto professore di storia e filosofia con lunga esperienza di insegnamento al De Castro di Oristano e al Pacinotti di Cagliari, democratico di cultura sardista, simbolista appassionato e profondo – la tenuta fu ricca di interventi tutti volti a focalizzare un carattere peculiare, insieme tradizionale e innovatore, della nuova officina liberomuratoria che, allora, si propose di intitolare all’architetto biblico fiduciario di re Salomone. Presero la parola, fra gli altri, i Fratelli Giovanni Gardu e Josto Biggio – nomi entrambi rilevanti, pur in contesti diversi, sulla piazza economica ed imprenditoriale del capoluogo –, Gino Ivaldi e Giovanni Ciusa – figlio questi del grande scultore (lui stesso massone iniziato nel 1911) –, Francesco Pitzurra e Bartolo Cincotta – noto spedizioniere siciliano naturalizzato sardo –, Hoder Claro Grassi e Nicola Valle – intellettuale di primissimo rango e presidente dell’associazione Amici del libro, ed altri ancora, come Franco d’Aspro, artista anch’egli di grande fama il quale, dopo aver disseminato di sue opere diversi centri dell’Isola e in specie il capoluogo – dalle facoltà universitarie alle maggiori chiese, dal conservatorio musicale alle banche, agli ospedali, ai due cimiteri, al municipio, ecc. – si apprestava a lavorare ai monumentali bronzi di ornamento sacro del piazzale di Bonaria.
Verbalizzò il tutto, in quanto segretario, proprio Mario Giglio.
Il decreto autorizzativo, a firma del Gran Maestro Giordano Gamberini – vescovo gnostico che avrebbe partecipato al gruppo interconfessionale dei traduttori della Bibbia concordata –, seguì di pochi mesi, recando la data dell’8 febbraio 1966 e fissando in diciassette unità l’organico fondativo della compagine (dodici Maestri, quattro Compagni d’arte, un Apprendista).
Le cariche iniziali furono così distribuite: Maestro Venerabile Mario Giglio, Sorveglianti Franco d’Aspro e Gino Ivaldi, Oratore Quintino Fernando, Segretario Hoder Claro Grassi.
Già nelle settimane immediatamente successive il piedilista si ampliò tanto con affiliazioni per provenienze ulteriori dalla loggia madre – come fu per Lucio Salvago, funzionario anch’egli del Banco di Napoli ed iniziato, lui figlio di massone già Venerabile fra il 1949 ed il 1952 (il colonnello Domenico, direttore del distretto militare), fin dal 1948, quanto per nuove iniziazioni. Se ne contarono otto soltanto nel primo anno.
A fronte di un tale dinamismo nell’espansione del proprio organico, attingendo da professionalità sicure così nella docenza pubblica come nella sanità, nella soprintendenza, nell’avvocatura, nel commercio, ecc. si pose da subito la questione delle relazioni con gli altri corpi organizzati nell’Oriente – cioè nella città d’impianto – e più in generale nella circoscrizione regionale.
Alle difficoltà iniziali, spontanee e comprensibili, con la loggia madre vistasi privata di risorse umane di qualità, si rimediò, con uno sforzo di buona volontà di tutte le parti, nell’arco di pochi mesi, tant’è che non mancarono le occasioni – anzi esse si fecero perfino frequenti – di collaborazione pratica ed organizzativa sia nella gestione della sede, nel prestigioso palazzo Chapelle, sia nella scelta degli uomini chiamati a ruoli delicati, di superiore rappresentanza od ispettivi. Così anche in occasione delle cerimonie di ammissione dei “profani”, quando giustamente si trattava di accogliere con il massimo di armonia i nuovi iniziati.
Naturalmente circostanze particolarmente significative, sotto il profilo empatico e tradotte nelle simboliche catene d’unione, erano date dalla ritualità legata sia all’apertura dell’anno comunitario, il 20 settembre – data evocatrice della presa di Roma da parte dei bersaglieri di Cadorna (quando anche cadde un giovane militare tempiese cui i massoni galluresi avrebbero intitolato la propria loggia nel 1905) – che alla commemorazione dei defunti, il 10 marzo – data evocatrice, questa, della morte di Giuseppe Mazzini, esule in patria (1872).
Risultato evidente di una positiva collaborazione fu anche la chiamata al ruolo di consigliere dell’Ordine, in avvicendamento di d’Aspro, di uno dei Fratelli più autorevoli della loggia madre, vale a dire Emilio Fadda, notissimo commerciante cagliaritano ed esponente di primo piano del Partito Sardo d’Azione.
L’attivismo della loggia Hiram, che impegnava le sue tornate in discussioni che tendevano ad alternare temi di stretto contenuto fraternale – ora storico ora simbolico/rituale – ad altri di più lato riferimento civile e d’attualità, mai politico o religioso comunque (per il divieto inderogabile imposto dagli ordinamenti tradizionali), costituì indubbiamente una scossa novista agli invalsi tranquilli ritmi della periferica Fratellanza sarda. Essa era allora – nella metà degli anni ’60 cioè – costituita complessivamente da circa centocinquanta unità ed articolata in sei presenze organizzate sul territorio: la Gio.Maria Angioy a Sassari (con una certa prevalenza di Fratelli di cultura sardista-repubblicana-socialista e una propensione rituale verso lo scozzesismo), la Libertà e Lavoro ad Oristano (in cui brillava la stella umanistica di Ovidio Addis, lo scopritore di Cornus), la Giovanni Mori a Carbonia (a provvisoria maestranza di Alberto Silicani, già rifondatore a Cagliari, e portatore nel sud isolano delle esperienze radical-socialiste del pre-fascismo, ora temperate anche in mix alla sua prossimità alla chiesa evangelico-battista), la Nuova Cavour, la Giordano Bruno (affidata al carismatico Venerabilato di Carlo Anichini, un oceanografo di origini toscane, docente universitario nel capoluogo) e, appunto, la Hiram a Cagliari.
I sardi e la P2 nelle sue diverse stagioni
Fu proprio l’energico senso obbedienziale della Hiram, per il determinante impulso fornitole dal suo Venerabile Giglio – ripetutamente confermato nella carica, con alcune rotazioni tecniche (ma pur di livello) e in attesa che fosse pronta la candidatura di Armando Corona – che indusse lo stesso Gran Maestro, nel 1969, ad imporre l’assorbimento negli ordinari ranghi massonici di un gruppo cosiddetto P operativo da alcuni anni a Cagliari e guidato da Francesco Bussalai.
Questi – già resistente antifascista di parte comunista e fratello di personalità eccellenti della democrazia autonomista nuorese come furono Marianna ed Ignazia Bussalai – distaccatosi gradatamente nei primi anni ’50 da un PCI insopportabilmente stalinista anche nell’era di Krusciov e approdato infine alla socialdemocrazia, aveva dato vita a una sezione semiautonoma della P2 romana, naturalmente in fase pre-Gelli, e dunque con tutti i licet del Grande Oriente d’Italia.
Coagulo di intelligenze per lo più progressiste (ma con singolari contrappunti di segno opposto) e sensibili così alla questione sociale come a quella regional-nazionalitaria – ovviamente senza cadute dogmatiche e “paesane”, negli anni che erano quelli della massiva repressione banditesca da parte dei baschi blu e della protesta popolare per Pratobello – questo gruppo, gemellato ad analogo di recente formazione anch’esso a Nuoro, era stato vissuto come un disturbo dal sistema della logge sarde per una certa sua alterità anche corporativa che pareva rompere il patto fraternale, assolutamente trasversale, costitutivo della tradizione giustinianea.
La elevazione delle Colonne – come si dice con fascinosa metafora che rimanda alle coordinate salomoniche e hiramiche – della loggia Sigismondo Arquer, tutt’ora presente sulla scena massonica cagliaritana (e replica nominale della gloriosa esperienza in età bacareddiana), si deve proprio alle argomentate pressioni esercitate, con altri, dal Caput Magister Giglio. Con non minore vigore, egli si sarebbe battuto – come anticipato –, dieci o dodici anni dopo, contro le degenerazioni piduiste di Licio Gelli, fino ad ottenere l’espulsione di quest’ultimo dal GOI (il presidente del Tribunale costituito da Armando Corona, in quanto primo presidente della Corte Centrale, fu un sardo – naturalizzato tale – che era stato iniziato proprio da Mario Giglio in quella metà degli anni ’60, l’economista professor Paolo Carleo).
Artieri ed attività
E’ esattamente da questo pezzo di calendario che, nella Massoneria sarda e cagliaritana in particolare, prendono l’avvio iniziative fraternali, alcune delle quali avranno sviluppi anche in un affaccio pubblico (ad esempio promuovendo dei dibattiti circa la legge sul divorzio, entrata nell’ordinamento civile nel 1970 e difesa dal referendum abrogativo nel 1974). Il riferimento generale è al capitolo della Stella d’Oriente, coinvolgente molte donne (mogli, madri e sorelle degli artieri) all’interno dei raccolti spazi rituali di palazzo Chapelle; al capitolo del Rito di York (da cui verrà, a fine decennio, la Società per la cremazione operativa al camposanto di San Michele); la sezione della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, ecc. Ma potrebbe anche dirsi dei quasi raddoppi tanto nel numero delle logge – che sorgono o risorgono ad Oristano e Carbonia, a Nuoro, Cala di Volpe e, ulteriormente, nel capoluogo – quanto nella dimensione dei piedilista, se già alla metà del decennio i massoni attivi e quotizzanti sfiorano, nell’intera Isola, e in assoluto monopolio (per la rinuncia di tutte le altre Obbedienze concorrenti), i trecento.
Potrebbe anche dirsi – ed a tempi maturi questa potrebbe essere una materia di studio estremamente interessante – come, giusto a trapasso di decennio, diversi fra gli esponenti più in vista delle forze politiche sarde di imprinting laico – dai liberali ai socialproletari (poi demoproletari), passando per socialisti e socialdemocratici, repubblicani e radicali, sardisti e neosardisti – trovarono nella loggia Hiram e nelle sue consorelle cagliaritane ed isolane un ambiente fecondo, quasi camera di compensazione, non in vista di intese extraistituzionali, impossibili sotto molti punti di vista, ma per equilibrare od assorbire, nei limiti del possibile e sul piano puramente ideale, le pressioni scaricate proprio sulle istituzioni civili e politiche dall’ipertrofica potenza (leggi prepotenza) di democristiani e comunisti e dei loro sistemi.
Si trattò allora – tempo ancora sensibile alle ispirazioni valoriali delle grandi scuole di pensiero (dal socialismo al liberalismo, dalla democrazia riformatrice al regionalismo) – di lavorare non su ipotizzati azzardi omologatori o sincretistici, ma su una civiltà dialogica orientata, nel concreto, alla mutua comprensione ed all’incontro fra uomini di cultura critica, evidentemente non puri angeli, ma comunque colti ed esperti protagonisti di una scena politica capace di produrre avanzamenti, non arretramenti, nella vita pubblica. In coerente ed evolutiva applicazione degli Antichi Doveri, la tavola normativa di base della Libera Muratoria settecentesca.
Del periodo a seguire, a svolta di decennio cioè, merita ricordare, dei maggiori dignitari responsabili della loggia Hiram, il Fratello Filippo Pasquini, palermitano classe 1906, iniziato nel 1925 nella Bios siciliana, ingegnere direttore generale dell’Ente Autonomo del Flumendosa. A lungo Oratore dell’officina cagliaritana, egli pubblicò da Fossataro, nel 1974, una raccolta dei suoi interventi in loggia, tanto in occasione di iniziazioni o aumenti “di salario” quanto per proporre alla generale riflessione i fondamentali temi della libertà (secondo la linea di Platone: «occorre non inebriarsi di libertà…, sicché da una libertà divenuta licenza si svilupperà la mala pianta della tirannia») e di Dio/Grande Architetto dell’Universo com’è richiamato nella universalistica letteratura massonica. Fu forse quella la prima pubblicazione editoriale che in Sardegna dava accoglienza a lavori “riservati”.
Del medesimo contesto, con qualche leggero anticipo temporale, meriterebbe anche citare, per l’incisiva partecipazione, la figura di Hoder Claro Grassi – il noto armiere di Cagliari, noto però non di meno come pittore metafisico di enorme valore e membro qualificato del movimento esperantista a cui molti di noi, anch’io allora appena adolescente, volsero le proprie speranze cosmopolite (funzionava allora la LUF, Universala Framasona Liga Italiana Grupo). Bella la monografia d’arte a lui dedicata, nel 1965, da Marcello Serra; bella la sua tomba familiare di pietra al camposanto di San Michele, con i bronzei rimandi massonici di fattura d’Aspro; belli anche i versi a lui dedicati da Cenza Thermes nel suo “Parlano i morti”: «Massone? E se anche? / Pure tracciai, / in bianco e nero, / il volto / della Sindone / e lo feci con gioia. / Forse qualcuno / ritroverà la mia chiave / perduta / e mi dirà chi fui. / Io aspetto».
Ad Hoder Claro, che cedette prematuramente a una malattia nel 1967, andrebbe accostato, per l’affanno del vissuto, il figlio Efrem, anch’egli iniziato fra le Colonne della loggia Hiram come in continuità col padre, e anche lui prematuramente involatosi, giovane di 24 anni, per tragico incidente d’auto, nel 1970.
Nel 1971 si trasferì dall’ensemble di Carbonia alla Hiram Armando Corona, che nel Sulcis era stato iniziato nel 1969. Quattro anni dopo egli divenne 2° Sorvegliante, collaboratore diretto del Venerabile Giglio, e cominciò allora la sua ascesa ai vertici obbedienziali: Venerabile della loggia dal 1976 al 1979, presidente del Collegio circoscrizionale sardo per lo stesso triennio, presidente della commissione elettorale nazionale, primo presidente della Corte Centrale, Gran Maestro nel 1982 e fino al 1990.
Dopo Corona, Racugno
All’autunno del 1975 rimonta invece l’iniziazione del futuro Gran Maestro onorario Vincenzo Racugno, personalità eminente della medicina pubblica sarda e della università. Esponente politico maturato nella cultura democratica autonomistica – nel Partito Sardo d’Azione e, in coerente prosecuzione, nel Partito Repubblicano Italiano – fu consigliere comunale ed assessore all’Igiene e sanità a Cagliari negli anni penosi della epidemia colerica, che combatté, per la sua parte, al meglio.
Già Maestro Venerabile della propria officina giusto alla metà degli anni ’80, si fece successivamente promotore della gemmazione che, onorando la propria competente passione musicofila, intitolò, a Cagliari, a Wolfang Amadeus Mozart.
Nel 2003 egli venne elevato alla dignità di Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia. A parte ogni altro merito personale, accademico e professionale, si trattò di un grato riconoscimento per la donazione da lui effettuata, nel 1988, alla Fratellanza cagliaritana e sarda dello storico palazzo Sanjust in Castello. Egli si valse naturalmente, per la formalizzazione del negozio, dello strumento giuridico offertogli – in quanto fiduciaria – dalla Urbs, l’immobiliare del GOI.
La sua donazione, assorbita nel titolo della compravendita fra i numerosi eredi Sanjust e l’immobiliare, fu anzi doppia, perché per sostenere le spese degli onerosissimi lavori di ristrutturazione offerse anche una ampia area fabbricabile localizzata a Su Planu, in comune di Selargius, destinata a monetizzazione o permuta con l’impresa appaltatrice. Una fortuna inaspettata per la Fratellanza massonica locale, che si sperava rispondesse, e speriamo sempre risponda, in termini di migliori standing, ai bisogni di idealità evergreen, quelle stesse vissute per la democrazia e la socialità lungo i quasi sessantamila giorni della storia massonica avviatasi in quel remoto 1861, contro ogni svilimento qualunquistico, conformista e plebiscitario dei presenti tempi barbari…
Nel 2007, compiendosi l’anno celebrativo del suo quarantesimo anniversario, la Hiram cagliaritana promosse, per la felicità dei collezionisti filatelici, uno speciale annullo postale. Fu un bel segno di presenza pubblica, proseguito attraverso la sua ripetuta partecipazione a iniziative convegnistiche e di solidarietà sociale organizzate in città.
Massoneria: ecumenismo e spirito critico per la missione
Intanto si procede. Proprio qualche giorno fa la loggia ha officiato una nuova iniziazione, quella di un giovane professionista. Non so se si sia fatta memoria della circostanza di calendario, se cioè tale ennesimo e gradito arrivo fra le Colonne sia stato vissuto come memento e rinnovato impegno di coscienza e d’opera.
Certo l’ensemble fondato da Mario Giglio mezzo secolo fa insieme con Franco d’Aspro, Hoder Claro Grassi e gli altri, si dette l’obiettivo, perché ne aveva il potenziale, di… pensare in grande, in grandissimo anzi, sviluppando nella sensibilità di tutti i suoi membri, il senso della storia – della storia che tutti ci contiene – e, mazzinianamente, della missione, che resta quella di sempre e che ben può condividere – e condivide anzi pleno corde – anche uno come me, che di tessere in tasca non ha quella onorevolissima del Grande Oriente d’Italia, ma soltanto quelle, diversamente benemerite, dell’Avis e della donazione organi: lavorare al bene e al progresso dell’Umanità.