Per Ales-Terralba un vescovo Caritas? di Gianfranco Murtas
Don Giovanni Dettori, prete nativo di Nule (nella diocesi di Ozieri) ordinato nell’estate del 1965 – nella stessa stagione degli aleresi don Angelo Pittau, don Petronio Floris, don Giuseppe Floris, don Giuseppe Frongia, ma anche dell’indimenticato don Salvatore Spettu, e di altri ancora –, fu promosso vescovo il 5 febbraio 2004 e consacrato (dal cardinale Pompedda) il 18 aprile; fece il suo ingresso nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, in Ales, il 2 maggio di quell’anno. Al compimento, anzi alla vigilia del suo 75° compleanno, caduto il 26 gennaio 2015, ha presentato le dimissioni dall’ufficio per raggiunti limiti d’età.
Egli è stato, per unanime riconoscimento, un vescovo generoso, dinamico, aperto, competente e anche innovatore, nella miglior linea dei suoi predecessori del secondo Novecento, dall’indimenticato monsignor Tedde a padre Gibertini, soprattutto in coerente sviluppo di tante premesse gettate dall’infaticabile “motorino di Dio” don Antonino Orrù, vescovo-parroco (cagliaritano sinnaese) amatissimo dalla popolazione diocesana, tanto nella porzione dei praticanti quanto in quella dei rispettosi amici di una comunità religiosa riconosciuta portatrice di molti, moltissimi talenti anche sociali, intellettuali, civici.
Ora si pone il problema del ricambio in quell’episcopio-dominariu, sobriamente elegante, vicino alla cattedrale intitolata ai maggiori apostoli, che certamente è una delle più belle – nella intimità dei suoi spazi – fra le cattedrali della Sardegna.
Stornato ogni rischio di soppressione, tanto più dopo l‘avvenuto rinnovo dei vertici delle chiese particolari di Lanusei (con don Antonello Mura) e di Ozieri (con don Corrado Melis) – diocesi entrambe di dimensioni, per popolazione e clero secolare e religioso nonché per numero di parrocchie, inferiori a quella di Ales-Terralba, si tratterà di scegliere l’uomo giusto per una missione giusta.
Peraltro le consultazioni che la Santa Sede (in curia è la Congregazione per i vescovi) suole svolgere, con il supporto della Nunziatura Apostolica in Italia (e/o di un legato pontificio), si sono svolte, nel concreto e ad abuntantiam nei mesi scorsi, e le indicazioni sono andate, non avare, ancorché non univoche, là dove ancora l’ordinamento ecclesiastico, e cioè il codex al canone 329, colloca l’autorità deliberante. Insomma al tavolo del papa.
Non si tratta ovviamente di spendere o sprecare tempo in congetture che sanno di chiacchiera perditempo, si tratta invece di riflettere sulle esigenze specifiche di una comunità composita e sulla preservazione di una vocazione consolidata della Chiesa diocesana nella pratica sociale, pacifista e solidaristica.
Quel caratteristico pluricentrismo che la connota sul territorio – fra le punte del Terralbese e i comuni minerario-agricoli del Guspinese-Villacidrese, fino alla piana di San Gavino Monreale , passando ovviamente per il “cuore” marmillese e per Sardara – fa della diocesi di Ales come una rappresentazione delle molte anime, originali e distinte ma pure conciliate da un comune programma ecclesiale al quale proprio la qualità pastorale dei vescovi venuti in successione ha saputo conferire, con la dolce autorità del tratto umano di ciascuno, in questi ultimi settant’anni, il gusto della unitarietà o della convergenza, degli obiettivi condivisi. Sempre senza omologazioni forzate.
L’ardito (eppure realistico) progetto delle unità pastorali lanciato con indubbio coraggio dal recente sinodo alerese, aggiunge novità ed ambizione al futuro delle comunità parrocchiali che diventeranno sempre più (e meglio) interparrocchiali, combinando sul piano della corresponsabilità preti (una sessantina) e suore (poco meno di cento), laici e religiosi, insomma le componenti più attive e presenti, ora sul piano individuale ora su quello associativo, nella testimonianza evangelica sul territorio.
Non sarà, questo – si sa bene – un processo semplice sul piano attuativo, anche perché si scontrerà, soprattutto nel clero secolare, in propensioni, non dico rigidezze, a certo lavoro individuale a tentazione leaderistica (drammaticamente questo problema è vissuto nella archidiocesi di Cagliari, cui non sa certo rimediare il vescovo Miglio). L’ampia consultazione e soprattutto partecipazione laicale-clericale agli approfondimenti del sinodo fornisce comunque buone speranze di successo. Molto conterà anche l’affiancamento che Nuovo Cammino, lo storico giornale diocesano – crocevia informativo ma anche luogo di discussione e confronto – saprà offrire a tanta impresa corale.
Il modello Caritas («condizione di crescita del popolo di Dio; banco di prova della sua credibilità», per dirla con Paolo VI) che a Villacidro, antica sede del seminario minore e cuore pulsante di tante iniziative, e nell’intera diocesi si identifica – evidentemente in una sintesi estrema anche se, altrettanto evidentemente, non abusiva – con il nome di don Angelo Pittau può fornire alla pluricentrica Chiesa locale quella risorsa che, al momento meglio di altre, può gestire insieme, con la sapienza del gradualismo ma anche l’esperienza delle sinergie operative, il progetto delle unità pastorali e quello della solidarietà interterritoriale, in sostegno, se non in assorbimento, delle ampie aree di povertà presenti all’indomani della drammatica deindustrializzazione dell’area. Conservando ad Ales ed al suo radicato sistema comunitario – sub-comunitario e lato-comunitario – anche quel tanto di relazioni che nel tempo sono state allacciate, oltre il classico schema del fidei donum (ci si ricordino don Eliseo Corona in Brasile, don Modesto Floris in Messico, don Angelo Pittau in Vietnam… per andare agli anni remoti!), con realtà sociali ed ecclesiali anche extraeuropee. E di cui è prova provata la partecipazione alle annuali marce della pace promosse dalla diocesi, di uomini – laici o religiosi – provenienti da quelle terre lontane.
Quello che serve – come anche di recente ha dichiarato alla stampa don Pittau, ex parroco animatore di Villacidro e di Guspini ed oggi protagonista, insieme con la missione Caritas e le attività promosse dall’Associazione di volontariato Madonna del Rosario (con i suoi centri di ascolto, le sue case alloggio o case protette per anziani o disabili psichici, le sue comunità e le sue cooperative, la sua onlus Piccoli Progetti Possibili ed i relativi interventi in Sardegna e fuori Sardegna, perfino nell’Africa nera come ad esempio nel Ciad agricolo) – è di spingere in avanti la realtà sociale del medio Campidano, della Marmilla e del basso Oristanese indirizzandola allo sviluppo, all’autopromozione, con il recupero di regole ormai desuete ma pedagogicamente (e civicamente) irrinunciabili: declinando il verbo dovere prima e più di quello pretendere, o anche soltanto aspettarsi. Una società che pensa a sé nell’atto del darsi è anche una società che sviluppa proprio in sé tante di quelle energie morali che sa infine anche i propri punti deboli, le proprie aree di sofferenza.
Per questo penso che dalla Caritas sarda, che ha tanti polmoni creativi ed ha affinato nel tempo – almeno dal tempo dell’accoglienza e del supporto massivo agli scampati dalla guerra bosniaca o del Kossovo (ma poi è vero che non c’è mai un anno zero, e tutto evolve) – professionalità organizzative e interlocuzioni “politiche” di prim’ordine, possa venire alla diocesi sociale di lunga e onoratissima storia l’uomo capace di mobilitare risorse materiali e soprattutto esperienziali non soltanto volte a rispondere al bisogno presente e futuro della comunità religiosa alerese ma anche ad indirizzare l’intera Chiesa isolana verso obiettivi ancora soltanto convegnizzati ma nel pratico fermi al palo (quelli, per dirla in una parola, affacciati programmaticamente dal Concilio Plenario Sardo).
Quell’anello pastorale che era stato dell’arcivescovo Giuseppe Pittau S.J.,, donato al giovane vescovo Corrado Melis inviato da Villacidro ad Ozieri – nella sede che fra breve riaccoglierà, per una ancora feconda ed esperta collaborazione, don Dettori –, sia un simbolo testimoniale di accentuata fraternità fra diocesi diverse della nostra Isola, evidentemente non per chiusure verso i perimetri ultimi ma per dinamismi da sviluppare ancora nel mezzo, per il bene di tutti. Così verrà presto, speriamo – e potremmo rideclinare: verrà, speriamo presto – il nuovo vescovo nella successione dei sassaresi Giuseppe Maria Pilo (carmelitano ante-Rivoluzione) ed Antonio Tedde così come del cagliaritano Antonino Orrù: con in una mano, naturalmente, il vangelo, e con l’altra il testo dell’ispirato discorso di Paolo VI al primo incontro nazionale delle Caritas diocesane d’Italia. Era il 1972 e le parole del grande papa conciliare valsero come autentica carta programmatica non del fare, ma dell’essere: «Mettere a disposizione dei fratelli le proprie energie e i propri mezzi non può essere solo il frutto di uno slancio emotivo e contingente, ma deve essere invece la conseguenza logica di una crescita nella comprensione della carità, che, se è sincera, scende necessariamente a gesti concreti di comunione con chi è in stato di bisogno».