Qualcosa si muove: no alla riforma degli enti locali iniziata dalla Regione sarda, di Salvatore Cubeddu

EDITORIALE.

Venerdì prossimo si riuniranno a Nuoro, per iniziativa del sindaco e del Movimento “Insieme per le Autonomie”, sindaci e amministratori locali della Sardegna (esclusa l’area cagliaritana) per contestare e decidere iniziative di contrasto alla ventilata riforma regionale che, senza nessuna visione strategica del futuro dell’Isola, si adegua al vento italico che muove nella direzione dell’abolizione delle autonomie.

L’ipotesi di procedere comunque all’approvazione di questa riforma, nel mentre va formandosi la città metropolitana a Cagliari, renderebbe vane sia le argomentazioni che le iniziative contrastive promosse negli ultimi mesi ad iniziare da Sassari. La decisione porta a compimento istituzionale il modello di sottosviluppo degli ultimi settant’anni, la  concentrazione (funzioni, enti e risorse) burocratica ed amministrativa che accompagna quella demografica, ammassata in una realtà geograficamente estrema, a svantaggio di tutte le altre aree  dell’Isola, per la quale si confermerebbe un inarrestabile declino.

Per quale motivo, ci si chiede in tanti, la Sardegna intera dovrebbe difendere e sviluppare le proprie istituzioni autonome se esse giovano ad una sola conurbazione urbana?

L’effetto depressivo di una tale ‘sconfitta’ avrebbe delle conseguenze devastanti.

A Sassari hanno cominciato col chiedersi:

a) che cosa ci perderebbe Cagliari se anche Sassari diventasse città metropolitana (Mario Segni)?

b) Quello che finora è stato un processo determinato dal sottosviluppo lo si vuol far diventare un progetto: Cagliari città ‘metropoli’ con tutti ai suoi piedi ? (Arturo Parisi).

Ma questo processo non si risolve con la sola creazione di un nuovo polo, come l’eventuale formazione intorno a Sassari della città metropolitana, ma all’interno di considerazioni più vaste e profonde, con l’assegnazione di una funzione alle altre città e considerando principale le questioni  dello spopolamento dei paesi e della disoccupazione.

Una simile crisi, cui si accompagnasse una situazione di conflitto generale, non può essere descritta perché lontana da ogni immaginazione possibile. La Sardegna verrebbe del tutto ‘invasa’ dagli interessi esterni. “Non siete in grado di governarvi…”, concluderebbero, non disinteressati.

Si potrebbe forse prendere tempo con Roma, confermando le quattro province e sperimentando il difficile comporsi dell’unione dei comuni? Perché dovrebbe divenire agevole, e stupire del possibile insuccesso, il mettere insieme i piccoli comuni quando le nostre élites cittadine si fanno la guerra, sia all’interno che tra di loro? Quindi: la Regione non dovrebbe avere e neppure imporre alcuna fretta e, invece, andrebbe avviata un’intelligente pratica di sperimentazione.

La fase che viviamo ha “un rilievo storico”, si afferma giustamente a Sassari. Dopo 37 anni dalla fine della cosiddetta rinascita e della prima autonomia (1978), un Consiglio regionale affaticato, ed un governo regionale dai tratti evidentemente ‘tecnici’,  è chiamato ad affrontare il cuore dei problemi che riguardano il futuro della Sardegna: il lavoro dei Sardi tramite le loro risorse, la sopravvivenza della distribuzione del suo popolo in tutto il territorio senza concentrazioni depauperanti, le sedi della permanenza e della continuità della democrazia espresse nelle istituzioni.

Che cosa sta succedendo dunque, e che cosa potrà succedere nei prossimi giorni a livello istituzionale? Ci si riferisce al rapporto con lo Stato, alle relazioni tra i partiti politici, agli effetti sulla pubblica opinione di Cagliari / delle altre città sarde / dei paesi tutti in presenza e in conseguenza della manifestazione che verrà promossa a Cagliari sotto la sede del Consiglio regionale  da parte dei consigli comunali di tanti comuni della Sardegna, per protestare contro l’accentramento a Cagliari di tutte o della gran parte delle istituzioni statali e regionali dell’Isola.

L’interesse su ‘queste’ riforme istituzionali è indotto dalla legge Del Rio e non da vere necessità dei sardi, i quali individuano, invece, come prioritari il problema della disoccupazione e  dei possibili inserimenti nei lavori pubblici di migliaia di cassintegrati congiuntamente al destino demografico dei comuni minori dell’Isola. La legge dello Stato costringe, quindi, le istituzioni sarde ad indossare un abito non adatto per il loro ‘fisico’ e per la loro ‘mente’.

Se in piazza, convocati dalle istituzioni locali autoconvocatesi del Nord-Sardegna, fossero presenti da un minimo di 600 consiglieri (la totalità dei presenti in 50 consigli comunali) fino a 4.236 e più (la totalità dei componenti di 353 consigli comunali) non cambierà nulla? Il Consiglio regionale potrà far finta di niente?.

In conclusione: se le scelte operate dalla Giunta regionale vanno a provocare divisioni e sconcerto, invece che risolvere i problemi, possono continuare gli atti che minano la nostra evoluzione autonomistica e il nostro progresso economico e civile?

In questo caso non rimarrebbe che riempire, da parte della società, il vuoto politico presente che si dimostra ogni giorno più dannoso.

 

Condividi su:

    1 Comment to “Qualcosa si muove: no alla riforma degli enti locali iniziata dalla Regione sarda, di Salvatore Cubeddu”

    1. By Benedetto Sechi, 22 novembre 2015 @ 08:30

      … non facciamoci cucire addosso un vestito che ci va stretto. Gli stilisti, i disegnatori stanno a Roma, ma i sarti sono sardi… Per una volta vogliamo dimostrare che siamo capaci di fare riforme che mettono al primo posto la coesione e gli interessi della Sardegna? Ieri un convegno a Sennariolo sullo spopolamento delle zone interne, relatore lo stesso assessore paladino di una riforma che sposterebbe, nell’area del cagliaritano, risorse, sviluppo e, conseguentemente, flussi migratori interni ed esterni, quando si dice la doppiezza. Ma perché non scegliere, come ha fatto il Friuli Venezia Giulia di non fare alcuna area metropolitana? Lo scopo li è di non favorire Udine, invece di Trieste… proponendo, in alternativa, interventi di sviluppo armonico tra tutte le aree, considerando la particolare posizione geografica del FVG. Lo si chieda alla signora Serracchiani, già vice Renzi, del perché? La Sardegna, come la Corsica, non hanno una particolare posizione geografica? Non è necessario essere mosche cocchiere, si può benissimo fare i cavalli di razza, è sufficiente sforzarsi un pochino. Bene quindi la moratoria sulla riforma, si faccia una “Costituente” o la si chiami altrimenti, purché si approdi ad una scelta condivisa che ponga la Sardegna al centro dello sviluppo mediterraneo. Insomma i furbetti locali, che pensano di speculare sul momento confusionale dell’Italia, per tirare la coperta da un lato, debbono essere smascherati, ne va del futuro di questa isola per i prossimi cinquant’anni.