I cagliaritani per l’Asilo della Marina. L’urgenza di un concreto intervento risanatore, di Gianfranco Murtas
“Asilo Marina Stampace” si chiama ufficialmente per la storia municipale, civile e religiosa, scolastica ed associativa, noi lo chiamiamo col rimando soltanto al quartiere che per vivacità popolare (ma anche bisogni ed emergenze sociali) ha ben retto, nel tempo, il confronto con gli altri quartieri del nostro quadrifoglio cittadino così come era rappresentato nei versi del trecentesco “Dittamondo” di Fazio degli Uberti e che Francesco Alziator rilanciava per caratterizzare in chiave identitaria ogni porzione di Cagliari. Come se strade o palazzi o bascius fossero tutti parenti stretti delle persone in transito o ivi alloggiate. Avrebbe servito anche la Marina, dal 1904, la scuola elementare che dopo la morte del poeta, avvenuta nel 1914, si sarebbe intitolata a Sebastiano Satta, nella stampacina via Angioy (già del Condotto); speculare così il servizio di fraternità ed accoglienza dell’Asilo Marina Stampace, incastrato nella muraglia di confine fra i due quartieri (per tanti altri versi in polemica reciproca, perfino – a metà Ottocento – per i diritti di stola del clero di Sant’Eulalia che rivendicava di poter accompagnare al Monumentale i suoi parrocchiani deceduti nell’ospedale nuovo del Cima, su cui la collegiata di Sant’Anna accampava invece ogni diritto)… Storie minori di una città minore, ma bella come… l’anticamera del Paradiso, secondo la felice espressione ancora di Francesco Alziator.
La storia moderna – quella parte dal decennio che dalla grande guerra arriva alla fine del 1924 – è storia che nel quartiere della Marina, e per estensione virtuosa nel quartiere di Stampace, è comunque storia nobile, fatta tale dal carisma religioso e sociale di suor Giuseppina Nicoli e delle sue consorelle. Dico di suor Giuseppina Nicoli – chi abbiamo avuto come lei in questo secolo a Cagliari? fra Nicola da Gesturi, don Mondino De Magistris, fra Nazareno da Pula, dottor Franco Oliverio, pochi altri – Il cui testimone sarebbe stato raccolto da una collega-sorella altrettanto affascinante per nitore dell’anima e intraprendenza pedagogica, cui si collega anche parte della mia infanzia: suor Teresa Tambelli (ai cui funerali festosi-dolorosi in Sant’Eulalia funzionai da perfetto chierichetto). Perché l’Asilo della Marina era un santuario di cose belle ancora negli anni ’50 e ’60 con suor Tambelli, non soltanto per i marianelli, ma per tutto il giro scolastico e i supporti concessi alla parrocchia di Sant’Eulalia governata, dopo che dal mitico dottor Mario Floris, dall’indimenticato monsignor Ezio Sini.
Le schede della biografia religiosa e sociale della famiglia vincenziana radicata nel palazzotto di via Baylle sono ormai numerose e tutte dignitose, taluna eccellente, per cui non indugio su questo aspetto. Soltanto riporto l’attenzione (con la mia memoria del tempo remoto) alla cappella dolce, intima, consolante, educata ad ogni miglior abbraccio in cui sarebbero state riportate le spoglie di suor Nicoli (e vorrei presto anche di suor Tambelli): in quell’aula spirituale che un tempo (e fino agli anni ’80 dell’Ottocento) era stata l’oratorio della Madonna d’Itria trasferitosi poi ad opportuna integrazione della chiesa di Sant’Antonio abate nella vita Manno (dove predicò nel 1921 il futuro Giovanni XXIII).
Perché occuparsi dell’Asilo della Marina? Perché non può essere che la città di Cagliari, quali che siano state le cause che hanno portato al disastro finanziario della gestione dell’istituto scolastico, consenta che si proceda al pignoramento di cui si è tanto scritto in questi ultimi mesi per le molte mensilità non pagate alle insegnanti dei corsi promossi, ancorché indirettamente, dalla famiglia vincenziana in quegli storici locali.
Cosa fare nel concreto per recuperare in tempi relativamente brevi circa 250mila euro necessari a saldare i debiti e ripartire con rinnovato animus sociale nel cuore della nostra Cagliari? Premesso che non vorrei staccare, come potessero avere giustificabili sorti diverse – quelle sorti diverse ipotizzate da qualcuno, mi si dice anche dalla Soprintendenza – la cappella dall’Asilo vero e proprio, e premesso anche che nei locali dell’Asilo meriterebbe collocare un centro culturale coerente con la storia civica che lì è entrata nei cinquantamila giorni che si sono susseguiti uno all’altro in questo ultimo secolo e mezzo cagliaritano, avanzo una idea da mettere meglio a fuoco da parte dei competenti, e con intelligenze da sviluppare, per modalità e tempistica, con la Municipalità, la Prefettura, la Soprintendenza, il Tribunale.
L’idea è questa: che un comitato, o chi per esso, si accrediti per la raccolta del 5 per mille alla prossima dichiarazione dei redditi con un invito rivolto a tutti i contribuenti cagliaritani perché segnino – senza oneri aggiuntivi per nessuno di loro – quale destinazione la causa dell’Asilo. Di lato a tale iniziativa si potrebbero raccogliere, dai cagliaritani che hanno amato l’Asilo e le sue suore, e hanno goduto delle idealità spirituali e sociali che in quelle modeste aule si sono sviluppate lungo i decenni di una storia tanto complessa, prima e dopo le due guerre, da prima di Bacaredda e fino a un secolo dopo, dopo la dittatura nella ripresa democratica legata ai nomi dei sindaci Pintus, Crespellani, Leo… De Magistris e altri, ulteriori risorse per quote che potrebbero stabilirsi. Mi metto in fila a versare i miei modesti mille euro.
Aggiungo che mi piacerebbe che a copresiedere il comitato di salvezza dell’Asilo fossero don Mario Cugusi e don Marco Lai, benemeriti entrambi per ragioni specifiche ma tutte riconducibili, direttamente e indirettamente, al bene sociale della Cagliari più bisognosa.