Il terrore (e qualche risposta), di Angelo Panebianco

 

Vivere al tempo del terrorismo. Sembra quasi certo che sia stata una bomba a fare esplodere sul Sinai l’aereo russo che riportava a casa i turisti da Sharm el Sheikh. Ma se anche così non fosse (se anche, a dispetto degli indizi, fosse stato un incidente), non avrebbe più molta importanza: lo Stato islamico, l’organizzazione che al momento batte qualunque altra per capacità propagandistica, e che si è attribuito – ufficialmente per rappresaglia contro la presenza militare russa al fianco della Siria – la responsabilità dell’attentato, ha ottenuto una vittoria (contro l’Egitto). Il presidente Putin, bloccando i voli russi per quel Paese, ha fatto ad Al Sisi, il nuovo rais, una richiesta che sembra un ultimatum: rimetti sotto controllo il Sinai, riporta la sicurezza negli aeroporti e nei cieli o pagherai un conto economico salato. Se Al Sisi vuole continuare a usare il rapporto con i russi per non ritrovarsi alla mercé degli americani, dovrà darsi molto da fare. Magari anche chiedendo l’aiuto degli israeliani per tentare di riprendere il controllo del Sinai. Nonostante i tentativi egiziani di negare l’attentato, la mossa russa, che segue la cancellazione dei voli per Sharm decisa da molte compagnie europee, colpisce al cuore l’industria turistica egiziana. Rimediare non sarà facile. Il Califfato si è dunque aggiudicato il round .
Contro lo Stato islamico le chiacchiere sono tante ma i fatti degni di nota pochissimi. Più il tempo passa, più sarà arduo toglierlo di mezzo. È difficile che l’inerzia americana termini prima che ci sia un cambio della guardia alla Casa Bianca .
Per conseguenza è quindi difficile che la grande (sulla carta) coalizione contro il Califfato riesca a sconfiggerlo. Nato dalla confluenza di due Stati in cui i sunniti erano sottomessi agli sciiti da sempre (Siria) o dal momento della fine di Saddam Hussein (Iraq), lo Stato islamico, con la sua stessa esistenza, segnala l’impossibilità di tornare alla situazione precedente, quella di Stati artificiali i cui confini vennero tracciati nel ventesimo secolo dalle potenze europee. E se così è, il quesito diventa: sarà possibile che in quell’area i sunniti riescano a darsi un regime e un volto diversi da quelli dello Stato islamico, rinunciando al radicalismo e alla guerra santa? Se anche questo prima o poi accadrà, dovrà comunque passare molto tempo.

Nel frattempo, il mondo sarà costretto a convivere a lungo con una minaccia ancor più grave di quella a suo tempo rappresentata da Bin Laden e da Al Qaeda. Si tratti di giustiziare con spettacolare ferocia gli infedeli, schiavizzare migliaia di donne, distruggere patrimoni artistici, resistere sul terreno a una coalizione che se esistesse di fatto, e non solo nominalmente, dovrebbe averlo già spazzato via da un pezzo, lo Stato islamico continua a fare proseliti e a far sognare giovani musulmani insoddisfatti della propria condizione in ogni parte del mondo. Eccellenti qualità propagandistiche a parte, per il solo fatto di durare, dimostrando la sua capacità di resistere ai nemici, lo Stato islamico diventa un moltiplicatore di minacce terroriste.
Come sempre è avvenuto quando le minacce si fanno gravi è la libertà che ci va di mezzo. Non solo la libertà di movimento ma anche quella libertà – dai controlli del governo – che le democrazie liberali ben funzionanti un tempo tutelavano. Danilo Taino (sull’ultimo numero di Sette , il supplemento settimanale del Corriere ) elenca varie proposte di legge avanzate in Germania, Austria, Finlandia e altri Paesi, tese a limitare la privacy e a rendere pervasivi i controlli governativi sui cittadini in funzione antiterrorismo. Lasciamo da parte il fatto che da noi, in Italia, quelle proposte di legge non possono fare una grande impressione: la nostra infatti, retorica a parte, è una democrazia poco liberale nella quale gli abusi delle intercettazioni giudiziarie hanno da tanto tempo spazzato via il diritto alla privacy . Specificità italiana a parte, resta però vero, come scrive Taino, che le minacce spingono a rinunciare a molte libertà le quali, in seguito, quando la minaccia sarà svanita, diventerà difficile riprendersi.

L’alternativa è purtroppo chiara: o si riesce a riportare a livelli relativamente bassi la minaccia oppure sarà difficile impedire una sensibile contrazione degli spazi di libertà. Anche in un Paese apparentemente spensierato come il nostro non si potrà continuare a fingere a lungo che il problema non ci riguardi. Un campanello d’allarme deve pur suonare anche in Italia nel momento in cui fallisce la mediazione dell’inviato dell’Onu Bernardino León in Libia, e il León medesimo, nella costernazione (si spera almeno che siano costernati) di coloro che qui da noi tanto mitizzano l’Onu, va a farsi stipendiare dagli Emirati, una delle parti in causa nel pasticcio libico.

A partire da novembre, Roma dovrà vedersela con il Giubileo straordinario voluto da papa Francesco. Il Giubileo precedente, quello del 2000, fu gestito con successo dallo Stato italiano e dal Comune di Roma in accordo con il Vaticano. Allora però non c’erano i problemi di sicurezza di oggi. Persino un Paese spensierato dovrebbe rendersene conto.

8 novembre 2015 (modifica il 8 novembre 2015 | 08:18)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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