La Sardegna nell’unità d’Italia


DOMUSDEMARIA, Chia Laguna, Hotel Torre: Salvatore Cubeddu svolge la sua relazione davanti ai 125 giovani sardi provenienti dai 129 Circoli dei Sardi di tutto il mondo, riuniti a Chia nel convegno organizzato dalle Acli e promosso dall'Assessorato al lavoro della R. A. S.

 

 

di Salvatore Cubeddu

(per il convegno ‘ LA SARDEGNA NEL MONDO, 23 – 26 giugno 2011

Domusdemaria – Chia Laguna Resort – Hotel Torre))

 

 

  1. Premessa, non breve.

Mi è  stato chiesto di parlare de ‘La Sardegna nell’unità d’Italia’, e lo faccio volentieri, consapevole che l’affidare a un sociologo il percorso storico dei 150 anni della Sardegna all’interno dello Stato italiano comporta già una scelta, quella di legare il passato al presente, i 150 anni di una formazione politico-istituzionale geograficamente continentale ai paralleli 150 anni di un’Isola distante (l’unica vera e grande isola nella formazione italiana), di un popolo distinto, di una vicenda umana, sociale, culturale  che nel fiume italiano ha un secolo e mezzo di alveo comune ma contiene pure possibili e distinte diramazioni: la nostra vicenda storica, un nostro specifico percorso.

E’ il caso di precisarlo subito. Lo storico Alberto Maria Banti (1) ha recentemente riassunto l’approccio alla sua recente opera sul Risorgimento italiano affermando che “il processo che ha condotto alla formazione dello stato unitario in Italia deve essere considerato nel segno e nel significato del conflitto e della contraddizione”. Si misurarono, infatti, pluralità di progetti, di uomini e di movimenti, molto differenti e conflittuali tra loro (la destra e la sinistra, i monarchici e i repubblicani, le posizioni centraliste e quelle decentralizzatrici, confederalismo-federalismo-centralismo… ). Basti dire che Giorgio Asproni – stretto amico di G. Mazzini e consiglieri politico di G. Garibaldi -  deputato sardo di Bitti al Parlamento torinese, visita nel 1859 – 60 il proprio collegio elettorale nuorese per verificare l’ipotesi di proporre l’indipendenza della Sardegna.  Eccolo, il senso della mia precisazione: la cosa poteva andare in maniera molto differente, i percorsi storici sono nelle mani degli uomini e dei popoli.

Quello di un itinerario tutto e solo sardo al risorgimento forse non era del tutto praticabile nel passato – tant’è che non è stato praticato con convinzione –  ma c’è sicuramente oggi un modo per capire la storia nostra e degli altri partendo dalla Sardegna e allargando lo sguardo a tutto il mondo che le sta intorno.  Se siamo uomini come gli altri, non stupisce che questo dovrebbe essere, non solo possibile,  ma naturale, anzi ovvio.. Esiste oggi un atteggiamento diverso nei confronti della nostra storia. La posizione di chi cerca di capire senza preconcetti. C’è la necessità di capire, di verificare, discutere, criticare identità date per scontate, scomporne il processo di formazione. Una ricerca nata dall’interesse per se stessi e il proprio mondo, dal rifiuto di una condizione e di una visione alienata. E’ il ritorno (2) dello scrittore  Salvatore Satta a Nuoro per cercare di capire il senso della propria vita attraverso la comprensione del destino degli uomini “della sua gente”. E’ l’atteggiamento di una parte degli intellettuali e dei giovani sardi in questi ultimi anni. Quello che noi tentiamo di fare in questo momento.

Il mio discorso di stamane si muoverà dunque lungo l’asse orizzontale presente/passato che si incrocia con una verticale ai cui estremi collocherò dei fatti che qualificano congiuntamente/differentemente la vicenda peninsulare e quella sarda. Infatti, ci sarà pure una ragione capace di spiegarci come si possa passare dalle cinque giornate di Milano (18 – 22 marzo 1948)  e dalle sue barricate contro le truppe del generale Radeskj sormontate dal tricolore e da W Verdi (Vittorio Emanuele re d’Italia) al saluto di cinque giorni fa a Pontida da parte del Ministro degli Interni Maroni: “Viva la Padania libera e indipendente!”. Ci sarà pure una ragione se i Sardi di oggi discutono di Assemblea Costituente del Popolo Sardo e giudicano un drammatico errore la scelta della fusione perfetta con il Piemonte e la rinuncia al Regno di Sardegna fatta da una minoranza nel novembre del 1847. Il documento del Consiglio regionale della Sardegna che il 18 novembre 2010 conclude l’ultimo dibattito sui rapporti tra la Sardegna e l’Italia partendo dalla presa d’atto:

“- della comune e diffusa consapevolezza espressa da parte di tutte le componenti politiche del Consiglio regionale di considerare conclusa una stagione importante dell’autonomia della Sardegna che con luci ed ombre ha caratterizzato la nostra specialità ed il rapporto con lo Stato derivante dal patto costituzionale contenuto nello Statuto del 1948;
- della condivisa opinione che i cambiamenti in corso nei rapporti fra lo Stato e le regioni in materia di competenze necessitano di un nuovo patto fra la Sardegna e lo Stato;
- che attraverso un procedimento ampio e partecipativo è necessario pervenire al superamento e ampliamento delle competenze autonomistiche che, confermando le ragioni che hanno reso e rendono la Sardegna speciale per la sua condizione geografica, storico-culturale e linguistica, conduca ad un duraturo e maggiore sviluppo attraverso la più ampia sovranità, da definirsi nel rispetto del quadro costituzionale; (3)

Siamo alla fine di una fase storica, ciò che è stato viene consegnato al passato e ci si incammina verso un nuovo patto tra la Sardegna e l’Italia, un patto costituzionale tra due soggetti con simili diritti (naturali), quelli riconosciuti ai popoli. Quello che il diritto internazionale riconosce alle nazioni, anche a quelle senza stato.

La lettura della storia è la più politica delle scienze, una consapevolezza che non ne sminuisce il valore seppure ne domanda una conseguente attenzione e responsabilità. La storia viene continuamente riletta e riscritta. L’obbligo della comprensione e dell’impegno nel nostro presente è da intendere pertanto quale matrice del procedere della nostra storia. Pure noi, qui e ora, siamo interni al suo perpetuo fluire e trascorrere. E con passione, talora con dolore, ne ricerchiamo il significato.

Ma, ancora: la memoria dei 150 anni italiani è un pezzo, fa da detonatore, di un rinnovato sentire il sapore di ‘patria’ in Italia; cantare ‘Fratelli d’Italia’ fuori dalle partite di calcio rappresenta un’affermazione nuova di appartenenza; nel momento in cui il sentimento nazionale italiano viene messo in discussione, altri  schieramenti politici ne fanno l’asse della loro  identificazione: sono stati gli ultimi presidenti della Repubblica (Ciampi, Napolitano) i più attenti protagonisti del processo e domani forse si individuerà il segno di questa nuova disponibilità nel discorso di Roberto Benigni all’ultimo  festival di San Remo (la declamazione, quasi il sussurro, di ‘Fratelli d’Italia’) e nella citazione da parte dei due attori dell’articolo di Antonio Gramsci del  1917 contro gli indifferenti (di esso vi leggo l’incipit):

Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia.

 

Goffredo Mameli, autore delle parole dell’inno nazionale italiano, morto a vent’anni vicino a Roma nel 1849 per una fucilata dell’esercito di Pio IX era pronipote di un cittadino di Lanusei. Antonio Gramsci era nato ad Ales e si è formato in Sardegna trascorrendo qui la prima metà della sua esistenza. Sono due sardi martiri in Italia per la causa italiana, l’uno in vista della formazione della nazione italiana, l’altro della classe operaia internazionale.

Siamo già a metà del percorso annuale della ricorrenza del centocinquantennio. Le celebrazione ufficiali sarde hanno sottolineato la continuità del regno di Sardegna con il regno d’Italia tramite il legame dinastico (i Savoia) tra i due regni. Le istituzioni regionali hanno rivendicato una primogenitura che, però, quasi nessuno in Continente ha ricordato nelle commemorazioni, non da parte istituzionale e neanche nei media. Nessuna autorità è ancora venuta qui dal Continente a porgerci, non dico un ringraziamento, ma neanche un qualche riconoscimento. Siamo italiani, abbiamo fatto il nostro dovere come tutti gli altri: cosa pretendiamo?  Non è così, i sardi hanno fatto di più, abbiamo dato al Piemonte i nostri giovani alle guerre e le nostre tasse per pagare fucili e cannoni (la Giovane Italia del Mazzini e parte della spedizione dei mille è stata pagata con i proventi della miniera di Montevecchio, allora aperta da Giovanni Antonio Sanna). (Anche se non è da noi  menare vanto, diversamente da altri) Ci siamo arrivati in maniera differente, ci è stato chiesto di più o, non so  se abbiamo voluto dare di più, comunque è andata diversamente.

Nessuno tra noi in questi mesi si è sottratto alla riflessione. Vi hanno partecipato anche coloro che non concordavano per nulla con celebrazioni subalterne e residuali. In non pochi casi si è arrivati a una scelta di posizione consapevole – che potrà contenere le valutazioni più favorevoli, ma pure quelle più critiche – che ha accettato la sfida  di questa commemorazione ma per analizzare nel dettaglio storico e nel giudizio politico i vantaggi e gli svantaggi avuti e subiti dai Sardi, a partire dalla “fusione perfetta”del 1847, dal ’61 alla prima guerra mondiale, e procedendo oltre fino all’oggi, esplorando anche la questione del cosiddetto “secondo risorgimento  riferito alla Resistenza ”, fino allo Statuto sardo, alla sua applicazione e al suo presente superamento.

I sardi c’erano già dall’inizio di questi 150 anni, con il federalismo repubblicano di Giovanni Battista Tuveri e di Giorgio Asproni, si impegnarono come nessun altro nella prima guerra mondiale attraverso il sacrificio di migliaia di giovani soldati e di ufficiali, compirono la più completa riflessione sul Risorgimento italiano attraverso il pensiero di Antonio Gramsci.

Sfuggiamo quindi al carattere deformante delle esaltazioni celebrative ed apriamo invece pagine di storia realistiche con forti accentuazioni e chiarificazioni di “mondo vissuto” e di esperienza antropologica, culturale e politica della gente sarda (4).

E’ anche importante collocare il concetto di ‘unità d’Italia’ nell’attuale clima politico italiano e soprattutto in riferimento alla realtà politico-istituzionale sarda, alle azioni intraprese nel tempo per un governo sardo autorevole, ai fermenti che animano i dibattiti e agli auspici di autodeterminazione, stando attenti anche a mettere a nudo come questo rinforzo accentuato di “unità d’Italia” potrebbe a breve corrispondere e funzionare da fondamento a un rinnovato progetto politico di centralismo ( il post- berlusconismo è destinato a confermare un rinnovato centralismo statale?) in attenuazione di un federalismo positivo e ancor più di prospettive di sovranità.

La Regione sarda in questi sei mesi ha speso più di 1,300 milioni di euro per i festeggiamenti dell’unità d’Italia dopo averne bilanciato solo 84 mila per sa die de sa Sardigna. E’ vero, i 150 anni si danno una volta sola, sa die ritorna ogni anno, ma ognuno non può non giudicare che il divario è troppo per non dirci di qualcosa. Una sola ne sottolineo: siamo troppo  avari nel festeggiare noi stessi.

Ma è la stessa Regione che, tramite la sensibilità dell’assessorato al lavoro, ci invita qui a riflettere liberamente. Questa iniziativa di presenza culturale e di dibattito offerta al vostro incontro può raggiungere i vostri padri, i Sardi delle varie generazioni che pongono a se stessi domande di storia e di senso dovunque si trovino, può raggiungere al livello personale tutti i cittadini senza distinzione di appartenenza associativa o di schieramento politico. Vogliamo essere solo, per una volta, dei sardi che si confrontano  liberamente insieme.

 

 

 

 

  1. Dall’oggi all’ieri.

Il Corriere della Sera del 25 settembre 2010 dedicava tre intere pagine al tema che esso definiva nei termini dell’impennata indipendentistica della Sardegna.

Lo scorso 18 novembre 2010, il Consiglio regionale della Sardegna ha chiuso la sessione dedicata alle riforme istituzionali decidendo la convocazione di un’assemblea elettiva che elabori il nuovo statuto-costituzione della Sardegna.

Il 16 agosto 2010, presso il Nuraghe Losa, le più importanti organizzazioni di massa della Sardegna, i sindacati CgilCislUil, avevano concluso un seminario di studi sulle prospettive istituzionale dell’Isola con un documento (5) dove si approvano i seguenti principi:

Primo. – La Sardegna è una nazione. Il riconoscimento  della soggettività del popolo sardo e del suo essere nazione rimanda a un’entità collettiva, a un popolo che trova, appunto, nel codice identitario (storia, lingua, tradizioni, stato geo-territoriale), non solo la vocazione, ma la fonte della titolarità dell’autogoverno.

Secondo.- La Sardegna sviluppa e mantiene una posizione singolare per quanto si riferisce alla lingua, alla cultura, al diritto civile ed all’organizzazione territoriale. Il lavoro e i diritti, sas libertades, sono l’epicentro di questi obiettivi.

Terzo.- La Sardegna è un’isola ricca di territorio e di biodiversità anche se povera di popolazione. Tale originalità la definisce e la potrebbe arricchire rafforzandola per i tempi che verranno. La comunità dei Sardi si identifica con i diritti internazionalmente riconosciuti agli individui e ai popoli, sul versante soprattutto delle libertà, dello sviluppo economico e sociale e dei diritti inerenti al lavoro, alla salute e all’istruzione. La comunità dei Sardi li promuove attraverso la formazione dei sui cittadini, il funzionamento delle sue istituzioni, il rispetto delle leggi, l’attuazione dei principi di solidarietà e sussidiarietà e, nelle relazioni con gli altri, sulla base del mutuo rispetto e della pace fra i popoli.

In questa direzione si tratta di riconoscere alla Sardegna, da parte dell’Italia e dell’Europa, lo status di insularità. Inoltre, la comunità dei sardi itiene di avere il diritto di decidere, anche oltre il patto di stabilità, e il federalismo fiscale, sui diritti essenziali e fondamentali, sulla scuola, sulla sanità, sulla mobilità delle persone e delle merci, sul sostegno alle imprese, sull’imposizione fiscale, sulle risorse utili a finanziare il lavoro e lo sviluppo, su quanto della ricchezza prodotta deve restare in Sardegna.

 

Quarto. – La Sardegna. Allo Stato italiano le istituzioni della Sardegna sono  legate da un patto costituzionale i cui contenuti, i metodi e le condizioni intendono sottoporre a verifica secondo i propri diritti storici, le convenienze e le mutate condizioni della storia. E’ dunque sulla base del riconoscimento del popolo-nazione, della nuova architettura costituzionale, del federalismo e del modello di partecipazione democratica che si deve avviare la fase della negoziazione con lo Stato per la definizione del Nuovo Patto Costituzionale. Il federalismo interno, cooperativo e solidale rappresenta la scelta indispensabile per costruire un nuovo sistema delle istituzioni sarde. I principi di riferimento sono la sussidiarietà, la differenziazione e l’adeguatezza dei soggetti costitutivi, nel rispetto delle peculiari identità storico-culturali e delle varianti linguistiche nei territori dell’Isola.

 

Quinto.- La Sardegna convive fraternamente  ed è solidale con gli altri popoli del mondo.  La Sardegna si sente infatti partecipe dei destini del mondo. Essa si impegna, per quanto di sua possibilità, a difendere lo stare bene di tutte le comunità, perché i popoli ne fruiscano nella giustizia e perché la cittadinanza si estenda ad ogni essere umano.

 

Sesto.- La Sardegna, forte di una tradizione politica democratica, sottolinea l’importanza dei diritti e dei doveri, del sapere, dell’educazione, della coesione sociale e dell’eguaglianza. Il nuovo modello di democrazia che riconosca e valorizzi il pluralismo delle  “ISTITUZIONI”, sia politiche che sociali, nella formazione della volontà pubblica. E’ questa la dimensione democratica e sociale fondamentale per contribuire a governare e risolvere la complessità dei problemi di una società in cui la rappresentanza elettorale non esaurisce la molteplicità dei bisogni e delle deleghe della persona.

Settimo.- La Sardegna partecipa con propri rappresentanti, progetti e programmi all’Unione Europea, in coerenza con i valori e il modello di benessere e di progresso europei. La Sardegna, per la sua vocazione europea, partecipa con propri rappresentanti, progetti e programmi all’Unione Europea, in coerenza con i valori e il modello di benessere e di progresso per l’Europa. Offre amichevole collaborazione alle comunità e alle regioni vicine per formare, a partire dal Mediterraneo, un Euroregione per il progresso di interessi comuni.

 

Per fedeltà ai suddetti principi e per realizzare il diritto inalienabile della Sardegna all’autogoverno e al federalismo,  è indispensabile,  avviare un processo costituente, valorizzando tutte le proposte oggi in campo, è individuando   un comune denominatore, in primo luogo tra le forze politiche ed istituzionali, e con il coinvolgimento di quelle economiche e sociali, avendo come riferimento temporale la durata di questa legislatura.

Questo manifesto per lo Statuto della Sardegna - che congiuntamente individuiamo quale ‘il Manifesto del 16 luglio 2010”  – rappresenta l’ambizioso punto di riferimento che, a partire da oggi venerdì 16 luglio 2010, proponiamo all’attenzione e al confronto di tutti i cittadini della Sardegna, quale indirizzo alla riflessione e all’azione e quale promessa di impegno.

 

Per capire quanto sta succedendo in Sardegna tra il primo e secondo decennio del primo secolo del terzo millennio occorrerebbe soffermarsi non brevemente sull’evoluzione della situazione economica, sociale e politica e di come siano andate ridefinendosi alcune funzioni  – che non pochi osservatori definiscono servitù – che la Sardegna svolge tradizionalmente all’interno della formazione statuale italiana: la funzione militare (dalla base Nato di Decimomannu attivamente inserita nella guerra di Libia, alla questione ambientale di Teulada e Quirra, alla rivolta popolare in corso per l’insediamento dei radar, alle ricorrenti voci di nuovo impegno per La Maddalena), la funzione industriale (la grande industria è all’ultima fase dopo trent’anni di lotte difensive), l’umiliazione istituzionale (non c’è nessun sardo al governo, non siamo rappresentati in Europa, nessuno nella commissione per il federalismo fiscale, niente G8, da mesi rincorriamo i 3,3 miliardi di fondi Fas sottratteci dal governo insieme a 1,6 miliardi di tasse non restituite), la questione ambientale e quella culturale (regaliamo soldi allo Stato nel mentre accettiamo duemila e cinquecento addetti marginalizzati dalla scuola; intanto l’arcivescovo di Cagliari insiste nel rifiutare persino la liturgia della parola in lingua sarda in occasione del 28 aprile, contemporaneamente a vari tentativi di far scomparire sa Die de sa Sardigna).

In Sardegna continua una straordinaria stagione di lotte sociali di cui nella stampa continentale non vi è conoscenza e consapevolezza. Negli ultimi mesi si è visto di tutto: pastori MPS che bloccano strade e aeroporti spostando le occupazioni a Roma e Milano (organizzatori di     ), pastori Coldiretti e Cia che occupano l’assessorato all’agricoltura, assistenti sociosanitari in via Roma, studenti in aula, studenti e ricercatori sui tetti, operai da mesi all’Asinara e operai che bivaccano nell’assessorato all’industria. C’è da salvare la pastorizia difendendo il prezzo del latte. C’è da difendere il reddito dei precari della pubblica amministrazione. Occorre ricostruire una prospettiva agli operai in cassa integrazione, difendere dal furto delle penalizzazioni i commercianti e gli artigiani tartassati da Equitalia. E’ urgente tranquillizzare sul futuro i nostri giovani. Intanto il governo non sblocca i 16oo milioni di euro già contrattati con il governo di Prodi sul credito di diecimila. C’è il danno materiale e c’è il danno istituzionale: lo Stato italiano è assolutamente inaffidabile. Leggiamo i volantini che vanno indietro nella storia: i 150 anni di unità d’Italia confermano i precedenti 128 con i soli Piemontesi, i 290 tra Castigliani e Catalani e ci confermano che per un ricordo di vera libertà bisogna tornare all’azione dei Giudici di Arborea tra il 1355 e il 1409 (28 giugno, la battaglia di Sanluri).

A ben vedere e analizzare, la situazione che viviamo oggi ha avuto inizio nel 1978, con la grande crisi della petrolchimica e del settore minerario – metallurgico. Nei trent’anni abbiamo avuto il terzo sardismo (negli anni ’80) e la sua crisi, l’esplosione di Forza Italia con le sue varie trasformazioni (a intervalli nell’ultimo ventennio) e il sorismo.

Eppure, secondo alcuni osservatori – nel tempo della ‘primavera araba’  e degli ‘indignados’  – in questi mesi viviamo pure una particolare ‘primavera sarda’. Evidentemente il centrosinistra ci mette i suo successi elettorali, ma anche la maggioranza di centrodestra che governa la Sardegna mostra con orgoglio sia il grande consenso popolare al referendum contro il nucleare e sia, soprattutto, l’attesa iniziativa di una flotta sarda da accrescere e consolidare e una flotta aerea da imbandierare con i quattro mori. Qualche giorno fa, uno dei più illustri intellettuali sardi (Manlio Brigaglia, su La Nuova del 20 giugno 2011) plaudeva all’iniziativa. I riconoscimenti bipartisan sono i più graditi per chi li merita.

La storia sarda cammina quindi secondo propri modi e ritmi singolari. La questione sarda si aggiorna non nelle immondizie di Napoli, non nella questione criminale che da più di un decennio definisce e sostituisce quella meridionale, non nella questione settentrionale che domina le scelte dello Stato. Il 150° del nostro legame con l’Italia va letta come storia nostra. Proviamo a percorrerla in due fasi, iniziando da una sintesi degli ultimi cento anni letti attraverso tre crisi e passando poi a ragionare sui primi cinquanta.

 

 

 

 

 

 

  1. 3. Le tre crisi del nostro ‘secolo breve’.

Anche il nostro ‘secolo breve’ (Eric Hobsbawn)

3.1             inizia con la guerra del 1915 – 18 (si concluderà con la guerra di Bosnia, nel 1991).

L’età precedente si era conclusa con la Belle Epoque che il grande storico inglese considera in continuità con l’Ottocento. La fase posteriore alla prima guerra mondiale vedrà

-         la dissoluzione di quattro imperi (l’austro-ungarico, il germanico, il russo, l’ottomano) e l’inizio dell’egemonia politica, economica e militare statunitense nel mondo;

-         l’affermarsi in Europa dei regimi ideologici, il comunismo e il fascismo, che poi troveranno continue sperimentazioni fino a tempi a noi vicini;

-         l’evoluzione definitiva del capitalismo in imperialismo;

-         l’inizio della trasformazione del costume attraverso i nuovi media (radio, cinema, tv…) e i nuovi spazi offerti alle masse (welfare e turismo sociale);

 

Per la storia d’Italia la ‘grande guerra’ rappresenta il pungo d’arrivo del suo Risorgimento

  • con la verifica del proprio ruolo tra le grandi Nazioni
  • gli effetti della rivoluzione industriale nel triangolo del Nord
  • la capacità combattiva del proprio esercito

 

Per i giovani – maschi, di tutte le leve attive  – fu una carneficina, soprattutto per la gente delle campagne che meno si sentiva impegnata nelle grandi discussioni che squassavano i confronti politico-culturali

Come in tante altre parti d’Italia, «le grandi masse non vissero la febbre dell’intervento», ha scritto Girolamo Sotgiu. Realisticamente il prefetto di Sassari il 2 I aprile rispondeva cosi alla circolare «riservatis­sima» di Salandra che chiedeva di indagare sullo spirito pubblico: «La grande massa della popolazione di questa Provincia, assillata dai biso­gni economici, ben poco interesse prende alle cose pubbliche. Onde è che anche la conflagrazione europea la terrebbe indifferente se non fos­se per la ripercussione economica che anche qui si fa molto sentire»!”.

 

“La storia della prima guerra mondiale è, in Sardegna, soprattutto la storia della Brigata Sassari: per il grande numero di morti, per i sangui­nosi combattimenti in cui fu impegnata, per il «mito» che ne crearono gli inviati speciali dei giornali e gli addetti alla propaganda, a comincia­re dagli stessi alti comandi’”.

Ma la storia della brigata è, storicamente, soltanto una parte dell’ espe­rienza di guerra (e della guerra di trincea) che tanti sardi fecero in que­gli anni. La Sardegna ebbe infatti, nel conflitto, 13602 morti in guerra o per cause di guerra: di questi solo (ma l’avverbio non è corretto) 1754 furono i morti della «Sassari». Altri tre dati: il primo è che la Sardegna ebbe, nel conflitto, una media di 138,6 morti ogni mille abitanti chia­mati alle armi, cifra di gran lunga superiore alla media nazionale, 104,91; il secondo è che ai morti della «Sassari» (che ebbe anche oltre 9000 fe­riti) vanno aggiunti 2088 dispersi che, riferiti nella gran parte alle con­fuse giornate di Caporetto, sono in larga misura da considerare morti; il terzo è che, in riferimento alla brigata, va tenuto presente il numero di effettivi che la componevano, 6000, sicché non appare eccessiva l’affer­mazione di Camillo Bellieni che fu «disfatta dieci volte e dieci volte fat­ta», fino a diventare, nel sentire collettivo isolano, anche l’immagine del grande sacrificio che il paese aveva chiesto ai sardi:

Alla sera il mulattiere che saliva l’erta di Castelnuovo cantava con voce sommessa:

Pro defender sa patria italiana /

Distrutta s’este sa Sardigna intrea”‘ (6).

La Sardegna contava allora poco più di ottocentocinquantamila abitanti, quasi centomila maschi partirono in guerra, uno ogni quattro maschi, quasi tutta la popolazione maschile attiva.

Come avvenne per tutti gli europei, la grande guerra strappò grandi masse alla loro precedente cultura tradizionale. Questo drammatico evento politico-militare, dalle durature conseguenze politiche e sociali, con lutti e danni economici indescrivibili, ebbe qualche aspetto positivo anche per la Sardegna

-         l’apertura di centomila sardi ad altri uomini, altre esperienze, altre lingue e dialetti

-         la possibilità di misurarsi ed eccellere nel protagonismo della battaglia

-         una coscienza nuova dell’identità sarda fatto di

+ il coraggio, l’eroismo e il conseguente prestigio, la fama

+ il debito dello Stato per il sangue versato dai sardi

+ l’esperienza dei vantaggi dell’organizzazione, per difendere la propria vita in guerra, per far valere i propri diritti e interessi in pace nella propria terra (incontro tra giovani ufficiali e soldati, l’organizzazione assistenziale e poi politica degli ex-combattenti)

+ nuovo sentimento dello sfruttamento da parte dell’Italia e un nuova e originale interpretazione della questione sarda

+ l’autonomia e il federalismo quale asse della politica istituzionale, il libero mercato e la cooperazione tra i produttori quale linea di intervento economico

 

Mentre la gioventù sarda si muoveva verso una riforma istituzionale dello Stato italiano nella direzione federalista, in Italia si andava verso il fascsmo, cioè nella direzione contraria di un centralismo dittatoriale. Dopo una fase di disorientamento e tensione, gli ex-combattenti tentarono di sardizzare il fascismo nell’Isola, ottennero anche qualche effimero successo, ma tutto fu interrotto da un dato di fondo: le miniere servivano all’economia italiana, sul commercio del formaggio dovevano avvantaggiarsi i caseari romani, la borghesia sarda cedeva le armi e si consegnava subalterna al fascismo. Delle medaglie al valore restava soprattutto la retorica.

 

3.2. Gli effetti della seconda guerra mondiale (1939 – 1945) sono differenti, in Sardegna, in Italia e in Europa. Il grande problema da risolvere è la riconquista della libertà e della democrazia contro il fascismo e il nazismo. Allo scopo serve anche l’alleanza con la Russia sovietica, ma solo temporaneamente. Dopo la sconfitta del nazifascismo il mondo si ridividerà nella guerra fredda: libertà e democrazia quali valori dell’Occidente, uguaglianza e giustizia sociale obiettivo non verificato del mondo comunista.

La storia d’Italia che abbiamo vissuto nasce dalla liberazione dal fascismo, dalla Repubblica, da una costituzione democratica. In questa nuova Italia c’è stato posto anche per la creazione della Regione sarda, organismo di rappresentanza del nostro popolo che avrebbe dovuto ampliare la partecipazione democratica e migliorare le nostre condizioni di vita. Un’economia e una politica a misura della Sardegna. Si è costruita una società più attenta alle esigenze dei deboli, ma al fondo c’è una grande delusione. La Sardegna non ha fatto il salto di qualità che ci si aspettava e dopo sessant’anni ci si interroga con preoccuparne sul futuro (7).

Lo Statuto del 1948 – ed il consiglio regionale del 1949 – nasce con scar­si poteri, nessuna struttura per applicarli, alcuni nemici (dichiarati), tanti (in tutti i sensi) opportunismi. I ritardi delle norme di attuazione e gli sgambetti della burocrazia romana non impedirono una partenza ed alcu­ne scelte tutt’altro che trascurabili. L’ autonomia nasce indebolita, cresce povera, vuole vestirsi troppo in fretta delle vesti di fuori. Invecchiando, i suoi difetti si ingigantiranno. Ma non era bella già prima. I Sardi, poi, affideranno la sua gestione a partiti che, in non pochi casi, si comporte­ranno come obbedienze locali di centrali esterne, la cui testa, e soprattut­to il cuore, erano altrove. Lo Stato, nelle sue varie espressioni, si è messo di traverso: nella costruzione della norma, nel suo completamento, nell’applicazione. Anche nel periodo democratico sono stati più che speri­mentati i suoi comportamenti: debole con i forti e forte con i deboli. Il Piano di rinascita è stata la proposta riempita di atti contradditori con l’ispirazione iniziale.

 

Non è riuscito a impedire che i vostri padri e le vostre madri intraprendessero il viaggio oltre il Tirreno e oltre tanti altri mari.

 

3.3 Le nazioni forse sono immortali, ma non gli uomini. Il tempo viene, offre le occasioni al protagonismo degli individui e dei popoli e, poi, procede.

È da almeno trent’anni che, a ritmo continuo, profeti inascoltati spie­gano ai Sardi il ‘perché’ ed il ‘come’ le istituzioni, la cultura, l’economia ed il loro distribuirsi nel territorio necessitino di una verifica critica e di azioni conseguenti.

È stata, ancora una volta, la Sardegna, all’inizio degli anni ’80, a riprendere la via dell’identificazione etnica quale fondamento del proprio esistere nel mondo. La delusione per come è stato gestito quel moto di risveglio è parte non secondaria dell’ attuale scoramento.

Ma il tempo non appare del tutto trascorso. Dunque, si può ricominciare.

 

 

  1. 4. La vicenda italiana e la storia sarda.

 

Quel che vado dicendo contiene una consapevolezza che ormai vi è chiara: l’idea che la Sardegna abbia una sua specialità, le nozioni di popolo sardo, di nazione sarda (culturale con conseguenti proposte istituzionali, l’autogoverno.  Queste nozioni possono non scontrarsi con le pluralità interne al popolo e alla nazione italiana. Del resto da destra e da sinistra persino il progetto granditaliano è in grado di convivere con il cosmopolitismo e l’internazionalismo (8) Oggi il dibattito che quando nacque l’Italia lacerava le nazioni d’Europa è molto più sfumato. Presso il Parlamento europeo l’alleanza dei popoli senza stato (Ale) riunisce i partiti sardi, i catalani, gli scozzesi, i gallesi, i friulani, i valdostani, gli occitani, i baschi, gi irlandesi, i fiamminghi. La specialità è diventata luogo comune, (anche perché è inoffensiva), e il progetto federalista costringe persino la destra sarda, tradizionalmente subalterna, ad inventarsi una diversità, a sottolineare la sua alleanza con il partito sardo. La questione dell’identità è diventata fondamentale in Sardegna nell’epoca in cui il prodotto da vendere deve enfatizzare i proprie elementi peculiari ed unici. Mai come in questo periodo si sono usate nella pubblicità parole o frasi in sardo. E’ un fatto curioso: la lingua sarda è universalmente accettata nel momento in cui si ha paura che possa avviarsi a scomparire (9).

Se dovessimo individuare, tra gli elementi positivi, quello che oggi ci potrebbe risultare più utile io sceglierei l’aumento dell’istruzione realizzata in questi centocinquant’anni.

Già l’età giolittiana aveva concluso il suo ciclo, anche in Sardegna, con un saldo at­tivo nel bilancio dello sviluppo culturale. Dal 1871 al 1901 la percen­tuale degli analfabeti sulla popolazione al di sopra dei sei anni di età era scesa dall’86,1 al 68,3 per cento; nel 1913 era ancora calata a 58,0 e di altri dieci punti sarebbe risultata diminuita nel 192 I; nel ventennio d’ini­zio secolo l’analfabetismo sardo accusava ancora un notevole distacco, ma diminuiva ad un tasso superiore rispetto a quello medio nazionale (dal 48,7 al 32,8 per cento).

Non pochi giovani sardi, peraltro, usciti dai licei isolani sceglievano di frequentare le università del continente (10).

La scuola dell’obbligo e il servizio militare sono state la fucina con la quale si è forgiata la coscienza nazionale italiana nel Nord e nel Sud dell’Italia, e pure in Sardegna. Nonostante l’eterodirezione dei fini rappresentata per i sardi dall’esperienza della grande guerra – e prima che parte preponderante dell’educazione nazionale di massa venisse rappresentata dalla televisione e dal tifo calcistico – l’Italia resta quella che è stata da secoli, prima di tutto unificata dalla cultura e dalla Chiesa cattolica, poi una terra di comuni al Nord e di organizzazioni para-familistiche al Sud, con una Sardegna che è persino un continente a sé. Dopo 150 anni l’Europa guarda alla presente situazione italiana con stupore per una pluralità di motivi che non sono diretta materia del nostro discorso, seppure fanno parte (e come!) del nostro discorrere di storia patria.

Dicevamo che la Sardegna è entrata nella vicenda italiana in maniera quasi naturale avendo già fornito per prima la leva obbligatoria per le prime guerre di indipendenza e procurato, tramite una tassazione terribile, parte dei capitali necessari per l’acquisto delle armi che venivano comprate dall’esterno prima che iniziasse a organizzarsene la produzione nel triangolo industriale. Occupare i capitali per la politica unitaria del Piemonte significava non avere soldi per le opere pubbliche (strade, acquedotti, cimiteri, fogne…) nella nostra Isola. L’eliminazione delle barriere doganali interne agli stati italiani portò, a partire dal 1949 la Sardegna ad essere definita ‘la fattoria di Genova’: il commercio, la navigazione, le cave, le miniere, il sale, le tonnare, le saline: Giovanni Siotto Pintor definì la politica dei genovesi in Sardegna ‘il cancro dell’isola’. Ciò non aveva impedito che la Sardegna entrasse nelle trattative per essere ceduta da Cavour alla Francia di Napoleone III in vista della sua partecipazione alla seconda guerra d’indipendenza italiana in cui combattevano tanti sardi. Quando   chiese a Cavour se non temesse una rivolta indipendentista degli isolani questi rispose. “Non esiterei un attimo a decidere di mandare la flotta militare a bombardare Cagliari” (11).

Non stupitevi, giovani amici che venite da tutto il mondo, pure gli Scozzesi e gli Irlandesi vi racconterebbero cose simili – pure peggiori – della loro storia. John Day, lo storico franco –americano che è l’ultimo grande straniero che abbia studiato la Sardegna, parlava e scriveva della nostra Isola come ‘un laboratorio di storia coloniale’.

(Cito da un saggio dello storico Federico Francioni che sta per uscire a Sassari nella rivista ‘Cammineras’, DE CALE TIPU EST SA DIPENDÈNTZIA ECONÒMICA DE SA SARDIGNA IN S’OTIGHENTOS?. Mi soffermo laddove parla dell’emigrazione a cavallo di quel secolo.

 

Sardos disterrados. Un’aspetu chi devimus leare in cunsideru mannu pro cumprèndere bene sa dipendèntzia in s’Otighentos e in su Noighentos est chi sa Sardigna est istada ispogiada de sas fortzas megiores de traballu pro su mèdiu de s’emigratzione, unu disterru. S’emigratzione sarda – chi cumprendet cudda chi andaiat in su Mediterraneu e in s’Europa e cudda chi si dirigiat in America – passat dae 6.672 unidades in su 1906 a 5.351 unidades in su 1914, ma bisòngiat ammentare puru sos nùmeros de su 1907 (11.659 emigrados), de su 1910 (sunt 10.663) e mascamente de su 1913 (12.274): li devimus pònnere a costàgiu de su cùcuru tocadu dae s’emigratzione italiana in sa gai cramada edade giolittiana. Custu est un’àteru problema grussu meda de sa Sardigna.

Comente at mustradu sa psichiatra Nereide Rudas de s’Universidade de Casteddu, su riu mannu de sos sardos disterrados crescheit intre sos annos chimbanta, sesanta e setanta de su Noighentos e una de sas cunseguèntzias fuit chi mìgias de sardos, chi aiant pèrdidu sas raighinas issoro, pro problemas de alienatzione e de adatamentu fuint custrintos a andare in sos CIM (Centri di Igiene Mentale). Comente at iscritu Rudas, s’entidade de custu problema no est istada cumpresa e istudiada bene. Su triunfu de su leghismu – partidu dae sempre ratzista in manera decrarada e programmatica – at fatu cuasi irmentigare sas istòrias de italianos e sardos che pòpulos de migrantes peri totu su mundu.

Karl Marx e Friedrich Engels iscrieint: «Comincia con l’impoverire gli abitanti di un paese, e, quando non c’è più alcun profitto che può essere spremuto da loro, quando sono diventati un peso per il reddito, cacciali via, e calcola il tuo Reddito Netto!». Issos aiant presente sa situatzione tragica de s’Irlanda a pustis su 1854, su numeru de sos mortos de fàmine, de sos emigrados. A Engels mascamente devimus sas pàginas forsis prus documentadas de totas sas chi sunt cumparfidas  subra s’Irlanda. Marx nos at lassadu, intre sos suos iscritos, una cundenna pretzisa e implacàbile de sos crimines de su colonialismu inglesu in Àsia.

 

Tzertu, faeddare de dipendèntzia in generale no est bastante. Gramsci at sustènnidu chi sa Sardigna est istada reduida a colonia di sfruttamento. At iscritu chi s’Istadu italianu derramaiat pro s’Eritrea e si nche bogaiat dae sa Sardigna unu tributo imperiale. Su pensadore e òmine polìticu at mustradu chi si podet inditare s’ìsula che colonia – de s’Istadu italianu, de tzentros de podere econòmicu europeu – e, in su tempus matessi, fàghere una cuntierra forte meda cun su ascarismo, est a nàrrere cun grupos dirigentes sardos teracos de cussu tipu de dipendèntzia. In prus Gramsci aiat cussèntzia de sos problemas de sos Mesudies de su mundu.

 

Conclusione

Che cosa ha da festeggiare la Sardegna nella ricorrenza celebrativa dei 150 anni dell’Unità d’Italia? E’ una domanda che invita i Sardi a una riflessione storica per andare oltre gli accenti trionfalistici di maniera  e chiarire invece come i Sardi hanno vissuto quel periodo storico e le conseguenze che esso ha prodotto. E’ perlomeno curioso che a festeggiare la ricorrenza siano i cattolici che furono accaniti avversari, e la sinistra socialista e comunista che ha dimenticato improvvisamente la lettura di Antonio Gramsci sul Risorgimento. Così come risulta paradossale che l’entusiasmo celebrativo coinvolga il Sud che fu martoriato dalle violenze delle annessioni, mentre il Nord si mostra del tutto tiepido e addirittura contrario alle celebrazioni (12).

A noi Sardi, al posto di una gratuita adesione, occorre invece una illustrazione storica come lezione di educazione civile e come consapevolezza del nostro essere nella storia. E se mettessimo in relazione la data del 17 Marzo con quella del 28 Aprile, sa Die de sa Sardigna? Ai fautori delle celebrazioni risorgimentali non piace il confronto: c’è persino la tentazione di credere che i favorevoli dei 150 anni siano contrari alla celebrazione della Festa dei Sardi.

Il 5 maggio 2010 il presidente Giorgio Napolitano ha dato inizio ai festeggiamenti dei 150 anni dell’unità italiana. Il giorno prima gli eletti del PD in Sardegna hanno presentato al Consiglio regionale e ai sardi un testo – “l’ordine del giorno- voto al Parlamento della Repubblica” – che fa il punto sullo stesso periodo visto dalla parte sarda, per proporre un percorso sul come procedere.

Due fatti, quasi certamente non legati da intenzioni. Anche per chi si considerasse sardo, più che italiano, è un dato che in questo non breve tempo la Sardegna è stata in Italia, è in Italia.

Celebrare è il mettere in rilievo con atti, con scritti, con parole, un avve­nimento, una cosa, una persona, con intenzione di lode. Un dizionario dei sinonimi e dei contrari gli opporrebbe verbi quali “denigrare, infamare, infangare, mini­mizzare, vituperare”.  Noi sardi, al contrario, abbiamo ritenuto di non  poter prenderci il lusso  di trascurare o minimizzare:  comunque sia andata, è stato importante. In qualsiasi modo la pensiamo.

Noi abbiamo colto l’occasione, abbiamo riflettuto su cosa è stato, perché non sia più quello che non avremmo voluto, perché realizziamo ciò che ci serve, ci piace, di cui abbiamo diritto.

Dobbiamo chiarire come la pensiamo. Per questo motivo prendo in prestito il titolo di un celebre articolo di Camillo Bellieni, fondatore del partito sardo, che indica come un sardo – dirigente politico, intellettuale, cittadino – deve porsi, “di fronte all’Italia”: non “al di sopra”, meno che meno “al di sotto”, forse tra poco possibile il mettersi “di fianco” o “a lato”. L’ “odg-voto” – e concludo con l’attualità, come avevo iniziato, dato che la storia ci serve per aggiornare l’azione di oggi  – dichiara concluso il patto costituzionale che finora ha legato le istituzioni sarde a quelle italiane: per ragioni fattuali, dato che ci si avvia verso una forma di stato federale; per motivazioni storiche, dato l’esito non soddisfacente dell’esperienza compiuta; per ispirazione ideale, confortata da argomentazioni di diritto, perché i sardi, attraverso nuove istituzioni vogliono scrivere una storia nuova. Noi, voi, insieme  sardi dell’Isola e sardi nel mondo,  a costruire e poi scrivere la nostra nuova storia.

 

NOTE

  1. Alberto Maria Banti, Il Risorgimento italiano,  vol. I e II, Laterza, Bari 2010. Vedi Federico Francioni, relazione al convegno “Questione sarda: questione nazionale o questione di classe”, presso l’aula magna della Facoltà di lettere dell’Università di Cagliari, 6 maggio 2011.
  2. Mario Cubeddu, relazione al convegno “Dai 150 anni dell’unità d’Italia a sa die de sa Sardigna 2011”, Seneghe, 25 marzo 2011 vedi in questo sito testo e video.
  3. CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA, XIV LEGISLATURA, ORDINE DEL GIORNO N. 41 approvato il 18 novembre 2010, in appendice.
  4. I tre ultimi capoversi richiamano quasi per intero il documento con il quale è stato convocato il convegno di Seneghe del 25 marzo 2011.
  5. L’Autore ha partecipato con altri alla stesura del documento.
  6. Manlio Brigaglia, La Brigata Sassari come problema storiografico, introduzione al testo di Giuseppina Fois, Storia della Brigata Sassari, Ed. Gallizzi, Sassari 1981.
  7. Mario Cubeddu, cit .
  8. Ivi.
  9. Ivi.
  10. La Sardegna, nella Storia d’Italia, Einaudi.
  11. Federico Francioni, ivi.
  12. Citazione dal documento “Faghimus s’istoria. Sas chimbe preguntas … per sa die  de sa Sardigna 2011”, convegno di Seneghe del 3 giugno 2011. Vedi relazioni e video in questo sito (wwwfondazionesardinia.eu/ita ).

 

 

APPENDICE

 

1. Mozione sulla sovranità del Popolo sardo’,

(Presentata dai Consiglieri Salvatore Bonesu, Giacomo Sanna, Efisio Serrenti, approvata dal Consiglio regionale della Sardegna  il 24 febbraio 1999 con  44 si, 2 no e 13 astensioni).

 

 

Il Consiglio regionale

rilevato che l’attuale assetto istituzionale non risolve i problemi del popolo sardo e dei singoli cittadini, né fornisce gli strumenti atti a risolverli;

rilevato altresì che l’esigenza, pur universalmente sentita, di un nuovo assetto istituzionale non trova alcuna soluzione e che appare pertanto necessario operare con sufficiente energia per spazzare l’immobilismo;

ritenuto di dover perseguire soluzioni nel rispetto delle tradizioni di libertà del nostro popolo e della sua volontà di collaborare pacificamente, su un piano di pari dignità, con gli altri popoli;

considerato che il Popolo Sardo ha goduto in passato della sovranità, per abbandono dell’occupazione da parte dei bizantini e vittoriosa difesa dell’Isola contro i mussulmani, affermando la medesima con la creazione delle quattro statualità dei giudicati;

rilevato che tale senso della sovranità e della statualità era profondamente radicato nei sardi e ciò portò al fallimento dei tentativi di infeudazione imperiale, attuati col conferimento del titolo regio a Barisone e ad Enzo, mentre l’infeudazione pontificia a favore del re di Aragona fu attuata compiutamente solo dopo quasi duecento anni dal conferimento, in quanto i sardi combatterono accanitamente contro l’imposizione di una dominazione esterna;

considerato:

  • che, in virtù della bolla di Bonifacio VIII del 5 aprile 1297 e di una serie di cessioni e scambi di popoli e territori fra i sovrani europei, conclusa con i trattati stipulati a Londra e Vienna nel 1718, la Sardegna è pervenuta alla dinastia dei Savoia, senza che il popolo sardo sia mai stato chiamato, a differenza delle popolazioni degli altri stati italiani che votarono in plebisciti l’adesione al Regno d’Italia sotto la dinastia dei Savoia, ad esprimersi sull’assetto istituzionale;
  • altresì che il mutamento istituzionale del 1946, pur rendendo sovrano il popolo in luogo del monarca, non ha identificato, aldilà di un indistinto popolo italiano, centri di potere sovrano e che la stessa concezione costituzionale di una Repubblica formata non solo dagli organi centrali, ma anche su un piano di pari dignità dalle Regioni e dalle comunità locali, ha trovato nella costituzione di fatto, creata da forze politiche, economiche e burocratiche centralistiche, insormontabili ostacoli;

rilevato che

per la Regione Autonoma della Sardegna è avvenuto un progressivo svuotamento delle sue prerogative mediante l’imposizione di un sistema finanziario derivato e strettamente vincolato, con l’abuso degli strumenti finalizzati alla conservazione dell’unicità dell’ordinamento, e in particolare con l’anomala estensione della definizione di norma fondamentale di riforma economica e sociale e del concetto di principio dell’ordinamento, con una giurisprudenza costituzionale, derivata anche dalle modalità centralistiche di formazione dell’organo giudicante, restrittiva dei poteri regionali, mentre la sistematica compressione delle autonomie locali ne ha impedito la libera esplicazione;

ritenuto che

tutto ciò impedisce il libero sviluppo economico, culturale e sociale del nostro Popolo ed è fonte di un confuso ribellismo contro quelle che son viste come spoliazioni del territorio e imposizioni di una autorità estranea e che tale fatto compromette la stessa vita democratica delle comunità locali;

considerato che:

  • le strutture centrali non rappresentano adeguatamente gli interessi del nostro Popolo in sede internazionale ed europea;
    • appare necessaria la rivendicazione in capo al Popolo Sardo dell’originaria potestas suprema, cancellata con la forza e con il genocidio di una operazione colonialista, simile a quella che portò successivamente alla conquista delle Americhe da parte degli stessi spagnoli, e che i trattati internazionali firmati dall’Italia riconoscono che nessun popolo può dominare un altro popolo;
    • ·rilevato che
      • ·il Popolo Sardo conserva, nonostante i tentativi ripetuti di deculturazione, una propria precisa identità derivante da fattori storici, geografici, culturali e linguistici ed è quindi un soggetto politico ed istituzionale autonomo, come comprovato dall’articolo 28 del vigente Statuto regionale;

rivendicato

il diritto e dovere del Consiglio regionale di rappresentare l’intero Popolo Sardo, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto;

ritenuto che

è necessario, nella gravità del momento istituzionale e sociale, assumersi le proprie responsabilità di fronte alla passività ed inconcludenza del Parlamento Italiano, che si rifiuta di approvare l’assetto federale della Repubblica;

considerato che

l’assunzione delle proprie prerogative sovrane non osta a che la sovranità sia, a condizioni di parità con altri popoli e stati, limitata per il perseguimento di interessi comuni e che anzi è ammissibile la coesistenza, con la sovranità dello stato federato, della sovranità dello stato federale;

affermato

il diritto del Popolo Sardo di essere padrone del proprio futuro,

dichiara solennemente

la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma oceanica.

Cagliari, 25 settembre 1998

 

2. 2.1. Ordine del giorno voto al Parlamento  (art. 51 Statuto Sardo). Trascriviamo il documento elaborato dalla Fondazione Sardinia e consegnato ai consiglieri regionali il 4 febbraio 2010:

*******************

Il Consiglio regionale della Sardegna

Premesso che la Mozione approvata da questo organismo il 24 febbraio 1999 afferma

-“il diritto del Popolo Sardo di essere padrone del proprio futuro”,

– “il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l’intero Popolo sardo, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto” ,

premesso il diritto del Popolo Sardo a difendere e rafforzare l’autogoverno della Sardegna così come si evince dal Patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;

constatato che l’ attuale regime di Autonomia

– non ha realizzato il suo significato più importante, quello dell’autogoverno e dello sviluppo economico,

– non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione,

– mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la libertà e la prosperità,

– acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;

constatato che la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si è accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna, nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;

considerato  che l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno;  che mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico; che la crescita di una coscienza e di una fede nel Popolo sardo e nella Nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del Popolo Sardo;

riafferma i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente “la sovranità del Popolo Sardo sulla Sardegna, sulle isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina” , riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia Sabauda in cambio della ‘fusione perfetta’  con gli stati della terraferma”,

dichiara politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948. E, pertanto,

disconosce la petizione portata avanti dalle Deputazioni delle tre maggiori città dell’Isola “rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni…” (Deliberazione del Consiglio Generale di Cagliari, del 19 novembre 1847); altresì

denuncia come non valida la concessione della ‘perfetta fusione’ deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito – come avverrà nelle altri stati italiani in vista dell’unità del 1861 -, in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale. Conseguentemente

chiede al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del Popolo Sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana;

rivendica il diritto di partecipare al processo di riforma secondo le forme che la legittima rappresentanza del Popolo Sardo vorrà seguire,  nel rispetto della sovranità popolare e della natura  “nazionale” del suo popolo,  nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna,  nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza ma non ancora nella forma costituzionale,  nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà  anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell’Italia.

Il Consiglio Regionale della Sardegna

ribadisce, infine, nel rispetto della propria tradizione democratica:  i valori di coesione economico – sociale e il modello di libertà, di democrazia, di  benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa;  – l’amichevole collaborazione alle comunità ed agli Stati  frontalieri del bacino Mediterraneo  per il progresso degli interessi comuni”;

dà avvio alla elaborazione del nuovo Statuto – Costituzione della Sardegna tramite un’assemblea costituente il cui lavoro verrà confermato da questo Consiglio regionale con il voto e dai cittadini sardi tramite referendum[1]

 

3. CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA
XIV LEGISLATURA

MOZIONE N. 46

MOZIONE CONTU Felice (UDC) – DEDONI (Riformatori) – CUCCU (PD), sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall’articolo 51 dello Statuto sardo).

***************

IL CONSIGLIO REGIONALE

PREMESSO:
- che la mozione approvata da questo Consiglio il 24 febbraio 1999 afferma:
- “il diritto del popolo sardo di essere padrone del proprio futuro”;
- “il diritto e il dovere del Consiglio regionale di rappresentare l’intero popolo sardo, ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto”;
- il diritto del popolo sardo a difendere e rafforzare l’autogoverno della Sardegna così come si evince dal patto costituzionale che ha avuto un suo primo riconoscimento nello Statuto del 1948;

CONSTATATO che:
- l’attuale regime di autonomia non ha realizzato completamente il suo significato più importante, quello dell’autogoverno e dello sviluppo economico, non risponde alle richieste dei nuovi problemi creati dai cambiamenti sociali, dalla unificazione europea, dalla globalizzazione, mortifica la volontà della Sardegna di attuare quelle scelte che ne garantiscano la prosperità e lo sviluppo, acuisce la conflittualità fra Stato e Regione quasi sempre a sfavore della Sardegna;
- la condizione di dipendenza, anziché ridursi, si é accresciuta nel sistema politico, finanziario, economico, culturale, educativo, sanitario, delle servitù militari, delle risorse energetiche, dei beni culturali e artistici, nonché nella presenza delle multinazionali operanti in Sardegna nella esclusione dalla rappresentanza nel Parlamento europeo;

CONSIDERATO che:
- l’identità storica, geografica, culturale e linguistica esige un’identità politica chiaramente definita e un forte autogoverno;
- mancano interventi risolutori da parte dello Stato nel campo sociale ed economico;
- la crescita di una coscienza e di una fede nel popolo sardo e nella nazione sarda, come valori capaci di innescare processi di cambiamento e di sviluppo, può essere progettata e attuata solo attraverso una piena sovranità attribuita alle istituzioni del popolo sardo,

riafferma

i principi di sovranità contenuti nella mozione approvata dal Consiglio regionale il 24 febbraio 1999, nonché le sue motivazioni storiche, culturali e politiche, con le quali è stata confermata solennemente “la sovranità del popolo sardo sulla Sardegna, sulle Isole adiacenti, sul suo mare territoriale e sulla relativa piattaforma marina”, riprendendosi la sovranità a suo tempo frettolosamente abbandonata nelle mani della monarchia sabauda in cambio della “fusione perfetta” con gli stati della terraferma,

dichiara

politicamente e istituzionalmente conclusa la vicenda storica susseguente alla rinuncia alla proprie sovrane istituzioni avvenuta nel lontano 29 novembre 1847 e solo parzialmente recuperata nello Statuto del 1948; e, pertanto,

disconosce

la petizione portata avanti dalle deputazioni delle tre maggiori città dell’Isola “rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza, in forza di qual fusione ed unità di interessi si otterrebbero le bramate utili concessioni..” (deliberazione del Consiglio generale di Cagliari del 19 novembre 1847); altresì,

denuncia

come non valida la concessione della “perfetta fusione” deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto, con Regio Biglietto del 20 dicembre 1847, a cui non fece seguito alcuna consultazione popolare attraverso plebiscito – come avverrà negli altri stati italiani in vista dell’Unità del 1861 – in palese trasgressione con il dettato dei trattati internazionali di Londra del 1720 e, soprattutto, senza il voto dei tre Stamenti sardi, unico organo autorizzato a risolvere una simile questione internazionale; conseguentemente,

rivendica

il diritto di partecipare al processo di riforma:
- nel rispetto della sovranità popolare e della natura “nazionale” del suo popolo;
- nel contemporaneo riconoscimento di una più alta ed efficace forma di autogoverno della Sardegna;
- nella convinzione maturata anche in Italia secondo la quale il Paese è diventato uno Stato plurinazionale e pluriculturale nella sostanza, ma non ancora nella forma costituzionale;
- nella fiducia che il nuovo Patto costituzionale offrirà anche alla Sardegna la possibilità di convivere fraternamente con i popoli dell’Italia,

ribadisce, infine, nel rispetto della propria tradizione democratica,

- i valori di coesione economico-sociale e il modello di libertà, di democrazia, di benessere e di progresso tipici delle diverse nazioni presenti in Europa;
- l’amichevole collaborazione con le comunità e con gli Stati frontalieri del bacino Mediterraneo per il progresso degli interessi comuni,

dà avvio

alla elaborazione del nuovo Statuto-costituzione della Sardegna secondo le forme che la legittima rappresentanza del popolo sardo vorrà seguire,

chiede

al Parlamento la stipula di un nuovo Patto costituzionale, partecipando con pieno diritto e nel rispetto della rappresentanza del popolo sardo al processo di riforma e di revisione della Costituzione italiana.

Cagliari, 8 marzo 2010

 

 

 

 

  1. CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA, XIV LEGISLATURA ORDINE DEL GIORNO N. 41

approvato il 18 novembre 2010

ORDINE DEL GIORNO BRUNO – STERI – MELONI Francesco – SANNA Giacomo – DIANA Mario – URAS – MARIANI – CUCCUREDDU sulle iniziative da assumere in materia di riforme.

***************

IL CONSIGLIO REGIONALE

a conclusione del dibattito sulle mozioni n. 6 (Maninchedda e più), n. 20 (Floris Mario e più), n. 27(Bruno e più), n. 46 (Contu Felice e più), n. 80 (Sechi e più), n. 81 (Diana Mario e più), n. 82(Zuncheddu e più), n. 85 (Vargiu e più), n. 87 (Bruno e più), n. 88 (Porcu e più) sulle iniziative da assumere in materia di riforme;

PRESO ATTO:
- della comune e diffusa consapevolezza espressa da parte di tutte le componenti politiche del Consiglio regionale di considerare conclusa una stagione importante dell’autonomia della Sardegna che con luci ed ombre ha caratterizzato la nostra specialità ed il rapporto con lo Stato derivante dal patto costituzionale contenuto nello Statuto del 1948;
- della condivisa opinione che i cambiamenti in corso nei rapporti fra lo Stato e le regioni in materia di competenze necessitano di un nuovo patto fra la Sardegna e lo Stato;
- che attraverso un procedimento ampio e partecipativo è necessario pervenire al superamento e ampliamento delle competenze autonomistiche che, confermando le ragioni che hanno reso e rendono la Sardegna speciale per la sua condizione geografica, storico-culturale e linguistica, conduca ad un duraturo e maggiore sviluppo attraverso la più ampia sovranità, da definirsi nel rispetto del quadro costituzionale;

CONSIDERATO che:
- l’obiettivo di riallineamento della sensibilità e di piena unità tra politica e società sarda potrà essere ottenuto con un grande movimento di coinvolgimento dei sardi nell’azione di riscrittura dello Statuto, anche attraverso un’assemblea per lo statuto, elettiva, con funzione costituente, che sottoponga la proposta di nuovo Statuto al Consiglio regionale, che lo discute e lo approva;
- si sovrappongono una pluralità di temi e di livelli di intervento (Statuto, legge statutaria, legge elettorale, organizzazione regionale, Regolamento interno) rispetto ai quali occorre operare secondo un indirizzo unitario, senza rinunciare contemporaneamente ad un’iniziativa tempestiva rispetto ai temi più attuali del dibattito nazionale o su cui è possibile far maturare più rapidamente posizioni condivise;

RITENUTO che occorre dare al dibattito un forte impulso sia sul piano della elaborazione sia su quello della iniziativa politica, favorendo la massima convergenza,

dà mandato alla Prima Commissione permanente

1) di provvedere entro novanta giorni ad istruire ed elaborare un percorso costituente finalizzato alla riscrittura dello Statuto nel quadro delle disposizioni dell’articolo 54 dello Statuto stesso, avvalendosi anche di contributi tecnici altamente qualificati da individuarsi ai sensi dell’articolo 42 dello Statuto;
2) di avviare immediatamente, al suo interno, un confronto per l’individuazione puntuale dei temi delle riforme secondo i diversi ambiti: legge statutaria per i rapporti fra organi statutari, legge elettorale, incompatibilità ed ineleggibilità; riflessi sull’organizzazione regionale, la sua struttura e le funzioni ad essa attribuite;
3) di operare in ogni fase secondo un metodo unitario, eventualmente integrando la propria composizione, in modo da garantire la rappresentanza di tutte le forze politiche al massimo livello;
4) di esprimere la volontà del Consiglio attraverso la predisposizione di un ordine del giorno da approvare ai sensi dell’articolo 51, primo comma dello Statuto speciale.

Cagliari, 18 novembre 2010

————————————

Il presente ordine del giorno è stato approvato dal Consiglio regionale nella seduta antimeridiana del 18 novembre 2010.

 


[1]Il testo della mozione n° 46 CONTU Felice – DEDONI – CUCCU, sulla formulazione di un ordine del giorno voto al Parlamento per la stipula di un nuovo patto costituzionale (così come previsto dall’articolo 51 dello Statuto sardo), presentata il 4 marzo 2010, manca degli ultimi due capoversi, cioè della parte che concerne l’assemblea costituente del popolo sardo.

 

 

 

Condividi su:

    Comments are closed.