Mauro Pili fa outing di indipendentismo e … fa bene.
Di Terraruja: “….difendersi dal terrore e dal fascino che esercitano i forti conquistatori è molto difficile, e se non si è dotati della fiera magnanimità di Vercingetorige non c’è di meglio che servire fedelmente Giulio Cesare”.
Mauro Pili ha fatto outing di indipendentismo presentando al Parlamento italiano una pdl che consenta ai sardi il referendum sull’autodeterminazione. Bene. Pili va interpretando in maniera efficace, utile ed originale il suo ruolo. La scelta rappresenta l’esito coerente di un percorso di monitoraggio quotidiano dello ‘sfruttamento e dell’abbandono’ in cui lo Stato italiano tiene la Sardegna ed i Sardi.
L’importante tappa del viaggio di Mauro Pili va festeggiata da tutti i Sardi di buona volontà, non solo dagli indipendentisti. Porta esperienza, impegno e forze in un campo che ne abbisogna (S: C).
*****
Le visioni indipendentiste e federaliste si vanno affermando sull’onda di una nuova cultura politica che viaggia con la rapidità di tutti i mezzi moderni di comunicazione.
Oggi il sardismo non può essere considerato, neppure da noi, come una ribellione unica e singolare contro il colonialismo e contro il centralismo. Molti popoli ci hanno preceduto in questa lotta, altri ci hanno seguito; alcuni di questi ultimi ci hanno rapidamente sopravanzato. Non vorrei fare citazioni perché esistono casi analoghi, ma non esistono casi eguali al nostro: gli algerini, che si sono mossi dopo di noi nella lotta per l’autonomia, hanno ormai da decenni l’autonomia e la piena sovranità. Il loro precedente rapporto con la Francia, però, somigliava poco al nostro rapporto con l’Italia. Il loro contrasto con la Francia non era mascherato da eufemismi e da ipocrisie: l’Algeria era, dichiaratamente, un possedimento francese; e c’era di mezzo la storia, la lingua, la religione, il colore della pelle. Per la Sardegna invece la lingua, la storia, la cultura e il diverso colore della pelle non contano, perché l’Italia, a parole, ci fa sapere che facciamo parte del suo territorio metropolitano. Un sardo – così strettamente imparentato con un berbero algerino – essendo stato sfruttato da romani, genovesi, piemontesi e infine dagli italiani, nonostante i suoi connotati mediterranei antichissimi, può passare per un italiano, non tanto nella considerazione degli italiani, quanto per la sua viva disponibilità a essere italiano, come nel 1847 era smanioso di farsi piemontese. E non importa se non trova posto nella sua Isola così scarsamente popolata, naturalmente ricca e grande, non importa se per tornare in Sardegna qualche volta si ritrova come un cane sui moli di Genova e Civitavecchia o negli aeroporti di mezza Italia, e dal Ministro si sente dire che le cose vanno fin troppo bene. Un sardo la patria ce l’avrebbe in casa sua, ma non l’ha ancora riconosciuta e va disperatamente cercandola in casa dei padroni.
Un sardo può diventare senatore o deputato della Repubblica; può diventare ministro o sottosegretario di Stato. A un sardo, in Italia, può toccare in sorte la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Presidenza della Repubblica; però il sardo, in ogni caso, fa tutto il suo dovere di sardo fedelissimo e lascia la Sardegna nella brutta situazione in cui si trova. Un sardo, quando abbia raggiunto l’ambita condizione di braccio del governo, sia col grado di generale o sia con la mansione di scrivanello, impegna tutte le sue forze per cancellarsi di dosso ogni traccia di sardità. Come le sciagurate guide indiane del Far West che portavano i “lunghi coltelli” contro i propri villaggi, sperando forse di diventare “visi ‘pallidi” , poiché’ la storia ripete i medesimi eventi in secoli diversi e nei più diversi paesi del mondo, molti sardi si illudono di poter sedere, volta a volta, alla stessa tavola dei commercianti di Cartagine, dei magistrati romani e, via via, dell’aristocrazia militare piemontese e dei grossi speculatori italiani. Ma non dobbiamo scagliare pietre contro nessuno, né condannare né disprezzare i sardi per questo; perché difendersi dal terrore e dal fascino che esercitano i forti conquistatori è molto difficile, e se non si è dotati della fiera magnanimità di Vercingetorige non c’è di meglio che servire fedelmente Giulio Cesare (CO. Mi.).