Quando le operazioni dei servizi segreti italiani contro il sardismo cominciarono a essere conosciuti e dibattuti dalla pubblica opinione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n°2. documenti politici su SARDEGNA e … dintorni. Ogni sabato questo sito mette a disposizione documenti del passato utili per l’operosa attività politica dell’oggi.


Nel dicembre del 1975 scoppia il caso Columbu: il SID (Servizio Informazioni Difesa) – scrive un servizio da Cagliari sulla “Nuova Sardegna” del 30 novembre – starebbe svolgendo delle indagini sul possibile collegamento tra i rapitori di Carlo Travaglino e di Pietro Riccio ed il finanziamento dei “movimenti separatisti”, prevedendo un’intesa politica tra il PSd’ A, “Su Populu Sardu” ed il movimento “Città e Campagna”.

Il punto di raccordo si collocherebbe nella fabbrica chimica di Ot­tana, mentre Michele Columbu avrebbe contatti con l’ambasciata li­bica a Roma, ovviamente per concordare progetti eversivi ed ottene­re finanziamenti.

Di accertato c’era la riunione, organizzata dal segretario del PSd’ A a S. Leonardo di Siete Fuentes, con esponenti dei due movi­menti neo-sardisti e l’intensa frequentazione di ufficiali dell’ antiter­rorismo presso la direzione della azienda di Ottana (ed al seguito dei più importanti dirigenti dei due movimenti; per il Partito Sardo, di M. Columbu e G. P. Marras (Zampa).

I titoli dei giornali sardi, le inchieste, gli inviati speciali della grande stampa nazionale!’! si sprecano, in quel dicembre 1975. I commenti degli interessati: la “provocazione” che avrebbe lo scopo di screditare il movimento autonomistico ed anticiperebbe la mas­siccia occupazione militare della Sardegna e l’uso delle truppe spe­ciali in funzione antipopolare (“Su Populu Sardu” e “Città Campa­gna”). Per il segretario sardista, che ricorda la costante permanente “povertà” del proprio partito. “il PSd’ A, oggi come nel suo lungo passato, è un partito rivoluzionario … ma si muove e combatte nel più rigoroso rispetto degli spazi consentiti da una costituzione democra­tica.

Titino Melis, unico sardista in Consiglio regionale, rivolge un’ interrogazione urgente al Presidente della Giunta chiedendo spiegazioni “su tutti gli elementi che possono fon­dare o no, come è manifestamente, una pubblicazione cosi arbitraria e cattiva, nella sostanza, come insensata nella forma e diffamatoria a tutti i fini, politici, economici”.

Anche le destre, i comunisti, la DC rivolgono delle interpellanze al Governo nazionale ed alla Giunta; i sindacati nuoresi si mobilita­no. Tutta la vicenda ha il sapore di un’abile mossa da parte dei servi­zi segreti italiani, tesa a denunciare pubblicamente, in anticipo, ciò che si intende evitare: il rafforzamento di un autonomismo radicale e militante nell’Isola. Titino Melis fa anche visita al potente Procurato­re della Repubblica di Cagliari, Villasanta, ma, invano, tenta di convincere Michele  Columbu a fare altrettanto.

Columbu, oltre che segretario del PSd’Az, è deputato, eletto sulla base di un accordo con il PCI, nel 1972. Lo resterà fino alle elezioni anticipate della primavera del 1976. Da questa vicenda – la prima, nel secondo dopoguerra, che vede i servizi segreti italiani pubblicamente interessati ad intervenire sul sardismo – aveva poco da temere, almeno personalmente e nell’immediato. Nel 1977 Francesco Cossiga, ministro degli interni nel governo Andreotti, attuerà la riforma dei servizi segreti, attuando un accordo con il PCI, che parlava esplicitamente, a Roma e in Sardegna, di ‘servizi deviati”.

Ma non passeranno neanche dieci anni e la nostra questione tornerà nel 1984 con le accuse di De Mita a Mario Melis presidente della Regione. Ci si troverà di fronte sia a un attacco politico che ad un’iniziativa giudiziaria, il processo al cosiddetto “complotto separatista” (S. C.).

 

Potrà risultare utile rileggere il documento di allora, che riflette sulla vicenda:

Il venerdì 19 dicembre 1975, nel salone del consiglio provinciale a Nuoro il Partito sardo d’azione, il circolo “Città-campagna” e il “Movimento su Populu Sardu” hanno organizzato una conferenza-dibattito sui presunti rapporti tra movimenti politici e banditismo in Sardegna. Ecco il testo della dichiarazione introduttiva alla conferenza stampa dei tre gruppi politici.

 

“La fuga manovrata di confidenze e documenti riservati circa ipotetiche indagini del Sid, dell’antiterrorismo e delle prefet­ture su fatti e circostanze inventati di sana pianta serve anzi­tutto a diffamare uomini, gruppi e partiti politici che hanno pieno diritto al rispetto dei concittadini. Ancora una volta pren­de quota da zero una diffamazione che, in quanto continuata, e’ or­mai diventata una vera e propria persecuzione politica. E pertanto chiediamo alla magistratura che i ribaldi ispiratori e autori del­l’invenzione e della fuga manovrata siano acciuffati e castigati in modo esemplare.

E’anche troppo chiaro, pero’, che l’attuale manovra e’ molto ampia. Si vuole diffamare, screditare e annientare il sardismo, non solo in quanto ideologia del Partito sardo d’azione, ma in quanto patrimonio politico culturale del popolo sardo, in quanto ideale da cui sono scaturite le prime conquiste dell’autonomia e al quale tutti i partiti hanno largamente attinto; in quanto ideo­logia e fondamento della lotta del popolo sardo per respingere la posizione di sudditanza che gli e’ stata ingiustamente imposta; in quanto terreno politico-culturale sempre fecondo di appassionati e civili confronti e di iniziativa e partecipazione popolari.

Si vuole annientare il sardismo per stroncare l’attuale dibat­tito sull’identita’ del popolo sardo, sulle funzioni della Regio­ne, sulle prospettive della nuova fase della programmazione regio­nale, e impedire nuove aggregazioni o l’allargamento di formazioni politiche già esistenti. Anche l’attacco ai sindacalisti e agli operai di Ottana viene condotto su questa stessa linea.

La nuova classe operaia della Sardegna centrale, infatti, respinge la logica colonialistica di una contrattazione dualistica tutta interna alla fabbrica e allarga lo scontro di classe a una dimensione immediatamente politica e complessiva e, lungi dallo isolarsi, ripropone ancora una volta i suoi organici legami con le comunità agro-pastorali da cui proviene. La nuova classe operaia travalica i limiti di una lotta puramente rivendicativa e si fa portavoce di un processo di rinnovamento sociale di più ampia portata. Nel riaffermare le istanze politiche già espresse dalle popolazioni della Sardegna interna alla fine degli anni sessanta diventa essa stessa oggetto di persecuzione come lo furono in quegli anni le comunità agro-pastorali additate all’opinione pub­blica nazionale e mondiale come isole di barbarie da distruggere anche facendo ricorso al napalm e a bombardamenti di guerra. Ma la resistenza operaia rende vani i programmi a suo tempo disposti dal colonialismo anche allo scopo di sovvertire e disgregare le comunità agro-pastorali e lacerarne il tessuto sociale preesi­stente.

Le mire e i metodi bassamente proditori dei nemici del sardis­mo non sono ne’ nuovi e neppure rinnovati. Già Mussolini fece pro­palare la voce di assurde collusioni tra Emi1io Lussu, allora in esilio, e il bandito Stocchino, e quando quest’ultimo cadde “per ordine del duce”, ma in realtà per una banale polmonite, i giornali dell’epoca non esitarono a parlare di vittoria del fascis­mo sull’antifascismo e sul sardismo.

Questo espediente di confondere i banditi con veri o presunti oppositori politici e’ troppo vecchio e balordo e stupisce che vi sia ancora qualcuno disposto a reinventarlo. Esso serve, però, sia a colpire uomini e idee non graditi al potere, sia per creare cortine fumogene intorno a problemi veri e gravissimi. Quali che siano le intenzioni dei fabbricanti di infamie, e’ certo che l’at­tenzione dell’opinione pubblica e’ stata distolta subdolamente dal considerare la gravità degli attuali fatti di criminalità e dal valutare la inconsistenza dei risultati conseguiti nella lotta al banditismo.

A questo punto e’ legittimo il sospetto che con tali espedienti si pensi di arrivare all’appello del processo Pilia in una atmosfera di torbida tensione da cui sia agevole far spuntare confidenti prezzolati, provocatori e super-testimoni raccattati nei buglioli delle galere italiane. E’ sintomatico, infatti, che i giornali par­lino delle indagini del Sid e dell’antiterrorismo come di stra­scichi del caso Pilia.

Mentre respingiamo e dichiariamo stolte le voci messe in cir­colazione, denunciamo come antidemocratica e colonialista l’aggres­sione al sardismo.

Riaffermiamo il diritto a godere pienamente, senza intimi­dazioni e persecuzioni, di tutte le libertà di pensiero, di parola e di associazione garantite dalla costituzione repubblicana.

Rivendichiamo l’attribuzione al Presidente della Regione sarda della delega prevista dall’ articolo 49 dello Statuto speciale allo esercizio delle funzioni di tutela dell’ordine pubblico per il duplice scopo di rendere efficace la prevenzione e la repressione del banditismo senza metodi razzisti e di estirpare la congenita predisposizione di certi ambienti a confondere, in buona o in mala fede, banditismo e politica.

Per conto di chi e per quali motivi e’ stata montata questa aggressione al sardismo ?

Non e’ necessario disporre di servizi segreti e di informazione per formulare ipotesi largamente attendibili. La prima ipotesi è che si voglia, questa volta, partendo dalla Sardegna, rinfoco­lare la già sperimentata “strategia della tensione” per ricreare confusione e ansia in tutto il territorio dello stato italiano.

Una manovra, dunque, di grande ambizione, ma assolutamente priva di occasioni vere o almeno verosimili, ma non per questo meno perico­losa perché le occasioni si può essere tentati di inventarle ri­correndo alla fantasia.

La seconda ipotesi e’ che, nel momento in cui sta per avviarsi la nuova fase della programmazione regionale, potenti forze economi­che estranee agli interessi dei sardi abbiano messo gli occhi e vo­gliano mettere anche le mani sui finanziamenti previsti dalla leg­ge 268. Si vorrebbe usare anche la programmazione regionale per più ampi disegni colonialisti e metropolitani entro i quali rendere definitivo il ruolo dell’isola come area di servizi econo­mici, militari, turistici e di trasporto aereo-navale a disposi­zione delle più retrive società multinazionali. Tant’e’ che si ventila l’idea di costruire in Sardegna un super-aeroporto inter­nazionale, magari con l’investimento di petrodollari. E del resto tutto e’ possibile in un ambiente dove anche le superporcilaie si definiscono di rinascita, come annuncia la sigla rass (rinascita allevamento suini sardi).

Nella prima ipotesi l’attacco al sardismo sarebbe niente più che un pretesto per preparare il terreno di avventure peninsulari. Nella seconda il sardismo, in quanto matrice di resistenza cultura­le e politica ai programmi colonialisti, sarebbe un ostacolo da spazzare via rapidamente e a tutti i costi.

Perciò la difesa e l’affermazione del sardismo non sono dove­re esclusivo del partito sardo d’azione e degli altri movimenti che al sardismo si richiamano; la difesa e l’affermazione del sardismo sono dovere irrinunciabile di tutte le forze autonomiste, dei lavoratori e di tutto il popolo sardo. Fuori del sardismo non c’e’ alcuna possibilità di superamento della crisi profonda della autonomia ne’ tanto meno e’ pensabile l’allargamento della sua sfera a nuovi e più produttivi poteri.

Fuori dal sardismo la stessa legge n0268 sul rifinanziamento del piano di rinascita e’ inevitabilmente destinata – come già e’ accaduto per la 588 – a fornire nuovi incentivi a operazioni eco­nomico politiche di cui dopo, con ipocrita autocritica, si e’ riconosciuto il carattere spesso puramente parassitario e, comunque, esterno e estraneo alla Sardegna; e, perciò, fomentatrici di più acuti squilibri e traumi di varia natura.

La nuova fase della programmazione regionale deve essere uti­lizzata per avviare la costruzione di una economia sarda – realizzata e amministrata, cioè, dai lavoratori e produttori sardi- e téndente, per quanto e’ possibile, a sottrarsi alla dipendenza del potere economico sovranazionale.

Naturalmente, non vogliamo ne’ dogmatizzare il sardismo ne’ proporre utopie o sbandierare falsi miti. Quelle e questi li lascia mo volentieri nei crani di chi spreme le ultime gocce del cosmo­politismo provinciale, dello storicismo acritico dei superstiti cavouriani, dell’evoluzionismo ottocentesco di chi scambia ogni ci­miniera per un faro di libertà.

Nel sardismo, in quanto prodotto originale della nostra cultu­ra politica, cerchiamo i mezzi per affrontare i problemi odierni dèll’isola e per confrontarci, senza complessi di inferiorità,con le più attuali correnti di pensiero. E’ una ricerca appena agli inizi, portata avanti senza finanziamenti, ne’ inconfessabili ma neppure statali o regionali, senza strumenti adeguati e anzi osta­colati continuamente da accuse infamanti, denigrazioni di ogni qe­nere, insulti e persecuzioni.

Eppure siamo riusciti ad aprire una grossa discussione. Un ottimo inizio, dunque, e anche un segno della nuova sensibilità dei più dinamici strati sociali del popolo sardo, da cui nasce la speranza che le idee possano ancora prevalere sugli apparati e sui danari.

 

 

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