LA CRISI DELLA VOLKSKWAGEN E GLI EFFETTI SULL’EUROPA, documentata da IL CORRIERE
E’ crollato il cartello tra industria e Stato, di Wolfgang Münchau. Le ricadute europee di una Germania che si scopre debole, di Enzo Moavero Milanesi.
È crollato il cartello tra industria e Stato
Il settore ha puntato troppo sulla tecnologia diesel, con cui è difficile rispettare i valori di emissione consentiti. La politica è venuta più volte in soccorso dell’azienda tedesca. Ora servono riforme strutturali, non bastano cambi al vertice
di Wolfgang Münchau
La crisi della Volkswagen è uno dei grandi eventi dell’anno, perché ciò che sta per sfaldarsi come un castello di carte non è solo la grande impresa di una volta ma il modello economico tedesco in generale. In Germania, si dice spesso che in Italia il legame tra politica ed economia sia molto stretto e che tutto sia gestito sottobanco. Ma la vicenda Volkswagen dimostra che in Germania la situazione è peggiore e, in ultima analisi, più pericolosa.
Illustr. di Doriano Solinas
La relazione tra Volkswagen e politica tedesca risale ai tempi del nazismo. Di quel periodo rimane solo l’architettura fascista nella zona industriale di Wolfsburg. Il Land della Bassa Sassonia è uno dei principali azionisti di Volkswagen, con un diritto di veto che protegge l’azienda da una scalata ostile.
Uno dei direttori della Volkswagen, Peter Hartz, ha scritto le riforme del mercato del lavoro del cancelliere Gerard Schroeder. Queste ultime non riguardavano la liberalizzazione del mercato del lavoro, come spesso si dice: l’obiettivo era ridurre il costo del lavoro per l’industria tedesca. In seguito alla riduzione delle prestazioni sociali, il sindacati cercarono di tutelare i posti esistenti: erano pronti a negoziare una moderazione salariale di vari anni. La Volkswagen era in grado di comprimere gli stipendi per legge. Anche in questo scandalo, i rapporti tra aziende e politica emergono come uno degli aspetti più rilevanti. I giornali tedeschi hanno pubblicato documenti secondo i quali Berlino avrebbe premuto nell’Unione per rendere più flessibili le direttive sulle emissioni dei gas e soddisfare gli interessi dell’industria tedesca. In effetti, in Europa, molti modelli diesel recenti non rispettano le norme sui gas di scarico. E il governo federale sapeva che la discrepanza tra i valori misurati e quelli dichiarati era enorme. Questi sotterfugi sono finiti. Ora ciò che rende interessante questa vicenda, e minaccia la Germania, è l’interesse della En vironmental Protection Agency, una delle poche istituzioni al mondo su cui Berlino non esercita alcuna influenza lobbistica. L’industria tedesca ed europea dell’auto si è basata sulla tecnologia diesel per decenni, ma quest‘ultima sta diventando sempre più problematica. Ogni volta che cambiano le norme, aumentano le difficoltà ad attenersi ai valori di emissione consentiti. Dato che è tecnicamente possibile rispettare tali norme, immagino che la Volkswagen sia ricorsa a espedienti illegali per ridurre i costi. Finora, era stato possibile compensare gli oneri della tecnologia diesel con i sussidi pubblici. I governi europei appoggiano la follia del motore diesel tassandolo di meno, dunque in molti Paesi il carburante diesel è distribuito a prezzi più competitivi. Sovvenzioni possibili grazie agli stretti legami tra lo Stato e l’industria automobilistica. Esagerando, si potrebbe dire che la Volkswagen non decide solo le leggi sul lavoro ma persino le accise.
Ora però crolla il cartello tra industria e Stato e i consumatori si allontanerannodalla Volkswagen per motivi assolutamente razionali: i modelli che hanno comprato potrebbero dover essere aggiornati per rispettare le norme. La Volkswagen riuscirà a finanziare le modifiche? Riuscirà a sopravvivere a questa crisi? Lo Stato tedesco violerà le regole della Ue sostenendo la Volkswagen con aiuti di Stato? I clienti ritroveranno la fiducia in un marchio commercializzato in modo manifestamente illegale? Se la Volkswagen si comporta così con gli addetti ai test, perché non dovrebbe fare lo stesso con i suoi clienti? Chi spende molte migliaia di euro per un’azienda che si comporta in questo modo, se ha delle alternative?
I regimi cadono quasi sempre per una serie di incidenti. L’Epa ha intrapreso ciò che nessuna autorità tedesca o europea oserebbe: un attacco frontale al cuore del modello economico tedesco, secondo molti, tutt’altro che liberale. È corporativista. Se c’è un Paese nell’area euro che ora necessita di riforme strutturali, quello è la Germania. E non intendo le riforme del mercato del lavoro dell’allora direttore della Volkswagen.
(Trad. Ettore C. Iannelli)
25 settembre 2015 (modifica il 25 settembre 2015 | 09:41)
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VOLKSWAGEN
Le ricadute europee di una Germania che si scopre debole
Il Paese si interroga sulla capacità di essere ancora la locomotiva dell’Unione. A queste paure si aggiunge un’altra questione: per essere leader bisogna sapere per primi rispettare le regole
di Enzo Moavero Milanesi
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In Europa, quanto sta accadendo alla Volkswagen non può non far riflettere. La reazione istintiva di molti, probabilmente, è beffarda: ecco, anche i primi della classe provano a barare. Pensiamo subito a quante volte, nelle vicende dell’Unione Europea, specie durante la tempesta della crisi economica, esponenti del mondo politico e industriale tedesco hanno richiamato l’importanza del rispetto delle regole. Tutti i Paesi europei hanno sentito e sentono il vincolo del rigore normativo del quale, così spesso, la Germania si erge a tutrice. Un vincolo reale, concreto e psicologico, in forza del quale le regole Ue sono state potenziate e hanno imposto duri sacrifici. Ora, apprendiamo un fatto gravissimo: il più grande gruppo automobilistico del mondo, con astuti accorgimenti, avrebbe raggirato disposizioni di legge fra le più sensibili per i cittadini, come quelle a tutela dell’ambiente e della salute. Le responsabilità dovranno essere stabilite, ma colpisce che il secondo azionista della Volkswagen sia un ente pubblico, uno dei Länder della federazione tedesca. Addirittura, c’è chi solleva interrogativi e dubbi su eventuali connivenze politiche.
Dunque, gli ingredienti per una sorta di rivalsa morale ci sono ed è pressoché inevitabile che si diffonda quel sentimento descritto proprio da una parola tedesca: Schadenfreude, la gioia per i guai altrui. Ma siamo sicuri che siano soltanto guai altrui? L’economia europea, fiaccata dalla crisi, si sta riprendendo molto meno velocemente di quanto auspicato. Il mercato dell’automobile è fra quelli che andavano meglio: il colpo subito da uno dei suoi protagonisti può rallentarlo. Un fattore essenziale per l’Ue sono le esportazioni: l’accusa di frode negli Stati Uniti colpisce un’azienda simbolo e potrebbe avere effetti dannosi su altre imprese europee. Il titolo del gruppo coinvolto ha subito perdite notevoli in Borsa, trascinando al ribasso altre Borse, ovunque, a pesante discapito di tanti investitori e risparmiatori.
La vicenda Volkswagen ha una clamorosa risonanza in Germania: c’è un rischio di ripercussioni negative sulla sua capacità di essere quella locomotiva del continente che traina anche gli altri Paesi. Se guardiamo oltre le questioni più schiettamente economiche e per esempio, pensiamo all’epocale movimento migratorio verso l’Europa, non dobbiamo dimenticare che il maggior numero di migranti è, da sempre, assorbito dalla Germania: cosa accadrebbe se, indebolita, non fosse più in grado di accoglierli? Sappiamo bene, del resto, che per gli accordi sulle quote fra i diversi Stati è stato determinante l’impulso tedesco, così come lo è per quasi tutte le decisioni rilevanti che si prendono a livello dell’Unione.
Penso che il centro focale della riflessione sia proprio questo: la leadership tedesca in Europa. Non da un punto di vista astratto, di filosofia politica, né alla luce delle colpe passate, nelle tragiche guerre. Piuttosto dovremmo concentrarci sulla realtà degli equilibri europei. Senza l’Unione e di fronte a un mondo globalizzato e agitato, è arduo immaginare un avvenire con pace e prosperità analoghe agli ultimi 60 anni. Tuttavia, non possiamo nasconderci che, in Europa, alcuni Paesi contano nettamente più degli altri e fra questi primeggia la Germania. Non dipende solo dalla potenza economica. Si tratta della capacità, via via cresciuta negli ultimi 25 anni, di costruire stabili alleanze, di proporre iniziative, di convincere i partner, di interagire con i meccanismi Ue, anche attraverso propri connazionali intelligentemente collocati in posti politici e amministrativi chiave. Per analoghe ragioni, in precedenza, si erano distinte Francia e Gran Bretagna.
Dunque, non è inusuale per l’Europa avere uno Stato leader, ma ne discendono due domande: quali sono i contrappesi e quali sono le scelte concrete del leader. Con riferimento al primo aspetto, gli assetti istituzionali Ue ne offrono in abbondanza (ricordiamoci l’esigenza di unanimità che persiste per le scelte cruciali), ma spesso sono utilizzati in maniera approssimativa, privilegiando il generico approccio politico a una meticolosa azione da sviluppare nei numerosi tavoli di lavoro. Per quanto riguarda il secondo aspetto, il discorso ritorna alle opzioni politiche e alle regole che le accompagnano. La Germania influisce su iniziative e normative dell’Unione e sa coniugare l’interesse nazionale con le esigenze europee. È basilare che sia la prima a osservare una severa disciplina, a non trascurare la vera sostanza di una prescrizione. Gli esempi nodali non includono tanto l’odierno caso Volkswagen, bensì: la questione dello squilibrio determinato dal surplus commerciale tedesco, illecito per le regole Ue se inflessibilmente applicate; e l’opportunità di incentivare la domanda in Germania, trainante anche per le produzioni di altri Paesi Ue e, quindi, conforme al principio europeo di solidarietà. Infine, è auspicabile trarre un ulteriore insegnamento dalla vicenda Volkswagen: i rilievi delle autorità statunitensi dimostrano che le norme di garanzia ci sono e se fatte valere funzionano; non occorre adottarne sempre di nuove, prima usiamo quelle esistenti con diligenza e senza eccessi di sovra regolamentazione.
25 settembre 2015 (modifica il 25 settembre 2015