«Indipendenza!, indipendenza!”, di Michele Columbu
….“Il grido «indipendenza “indipendenza!”, che si ripercuote in ogni città e in tutti i villaggi dell’Isola, è il vento della ribellione dei sardi contro tutte le ingiustizie sentite; è il vento gagliardo di una generosa e democratica rivoluzione combattuta per oltre sessant’anni, che ora viene finalmente capita e seguita dal popolo sardo”…. Carbonia, 5 maggio 1984.
n° 1. documenti politici su SARDEGNA e … dintorni. Ogni sabato questo sito mette a disposizione documenti del passato utili per l’operosa attività politica dell’oggi.
La relazione è stata scritta dal presidente del Partito Sardo per introdurre il XXI° congresso (Carbonia, 5/6 maggio 1984) che doveva scrivere il programma di governo del partito (nella sala campeggiava lo slogan: «Col Psd’az per governare la Sardegna») che, da lì a qualche mese, avrebbe raggiungo il massimo di successo elettorale del secondo dopoguerra e avrebbe avuto la presidenza della Regione sarda per i successivi cinque anni con Mario Melis (1984 – 89). Causa il ritardo nell’arrivo delle delegazioni – 1200 persone in viaggio da tutta l’Isola – il documento non fu letto ma viene pubblicata negli atti de “Il Solco, , 15 maggio 1984 Anno I (Nuova Serie), n. 3-4).
In questo Congresso il Partito si propone come forza di governo. E poiché nessuno di noi, neppure il più ottimista, ha il coraggio di prevedere che nelle prossime elezioni riporteremo la maggioranza assoluta dei voti, è chiaro che non stiamo pensando di governare la Regione da soli.
Lo slogan di questo Congresso – «Col Psd’az per governare la Sardegna» – significa soltanto che, anzitutto agli elettori, proponiamo una via, un indirizzo, un metodo di ispirazione sardista.
Il risultato della consultazione elettorale determinerà poi ulteriori orientamenti e aggregazioni che renderanno possibile un nuovo, anzi nuovissimo governo regionale, caratterizzato non solo dalla presenza ma anche dalla linea politica del Partito sardo d’azione. Siamo fiduciosi che gli elettori esprimeranno una ben precisa e non equivoca indicazione in questo senso. Dopo, e soltanto dopo, verificheremo quali e quante forze politiche (democratiche e autonomiste beninteso) dichiareranno la propria disposizione a collaborare col Partito sardo.
La nostra posizione è serena ma non è attesa indifferente e aperta alla costituzione di qual si voglia governo. In altre parole, non miriamo esclusivamente alla «quantità» e alla «stabilità» di un governo regionale, ma pensiamo soprattutto alla sua «qualità» politica rispondente, o vicina ai punti irrinunciabili del programma sardista. Perciò, il Partito sardo si dichiara disposto sia all’assunzione di responsabilità di governo e sia a ritrovarsi in paziente ruolo di opposizione.
Senza entrare nel merito, poichè a me spetta il compito di svolgere un altro tema, posso agevolmente prevedere che il programma riprenderà tutte le tesi sostenute dal Partito, in tempi recenti e meno recenti, al fine di accelerare la ripresa economica dell’Isola, di migliorare la situazione occupativa, di stimolare lo sviluppo della cultura, in generale, ma specialmente la riscoperta, la difesa e la diffusione della cultura sarda, assieme alla lingua, sommersa e tanto spesso repressa dalle culture dominanti, vuoi degli italiani, vuoi degli spagnoli e vuoi di altri popoli ancora.
E’ noto che molti dei partiti italiani presenti in Sardegna dichiarano di condividere, e fanno proprie, in tutto o in parte, le tesi del Partito sardo d’azione, ivi compresa la revisione dello Statuto. Dunque sembrerebbe che tutto va bene, che abbiamo già vinto, che la NATO non solo non occuperà militarmente nuovi spazi ma anzi andrà alleggerendo via via la sua pressione fino a restituire interamente le aree occupate; sembrerebbe che il problema dei trasporti sta per essere risolto con l’appoggio di tutte le forze politiche, di governo e di opposizione nel Parlamento italiano, che le navi e gli aerei che collegano l’Isola al Continente italiano e al resto del mondo non solo funzioneranno ma cesseranno di imporci costi punitivi; e sembrerebbe pure che avremo anche noi qualche autostrada assieme all’elettrificazione e al raddoppio delle linee ferroviarie.
Però, a questo punto, mi viene in mente un ricordo d’infanzia (e così vi rilassate un poco): i bambini irrequieti, fomentatori di disordine, a loro modo, e disturbatori della pace, o della pigrizia dei genitori, qualcuno tentava di acquietarli con promesse di tipo: Si faches a bonu, cras ti pico a sa festa e t’amustro unu tziu de turrone. Questo inganno a volte funzionava e a volte no. Un’altra formuletta per liberarsi di un bambino noioso, ai tempi in cui non si trovavano le baby-sitter, almeno da noi, era la seguente: Bae ante tzia Maria e nàrali a ti dare unu soddu de istentu.
Non avrei bisogno di spiegare il mio parlare allusivo; ma non si sa mai. E allora, ecco, voglio dire che qualcuno forse considera il Partito sardo come un pargoletto un po’ birbante e per tenerlo buono gli canta una sorta di ninnaanna in cui si parla di turrones (solo da guardare, s’intende) e di soddos de istentu, ovvero di potenziamento dei porti, di partecipazioni statali consistenti come fantasmi, di nuove industrie immaginarie eccetera. Così il tempo passa e tutto resta come prima, peggio di prima, e un esercito di altri centomila sardi sono pronti per emigrare.
Il mio pensiero, in altre parole, è che di promesse e di solenni impegni, non solo dal presidente Craxi, ne abbiamo avuto abbastanza, e che generalmente siamo stati ingannati come bambini. Pertanto, ritengo che l’espressione di solidarietà delle forze politiche italianiste possa essere, sì, considerata sincera – perché non dobbiamo dimenticare che questi italianisti sono sardi come noi, e forse amano la Sardegna come noi – ma, a causa della loro mancanza di autonomia e della dipendenza da forti direzioni politiche non sarde, non possiamo fidarcene completamente.
Sulla base delle dichiarazioni di solidarietà programmatica, con le altre forze politiche noi dobbiamo trattare per la costituzione di un governo regionale di buona volontà, e dobbiamo esercitare una vigilanza instancabile per tenere sempre viva la «buona volontà” di realizzare tutto quel che è possibile entro i limiti dell’autonomia di cui la Sardegna dispone. Ma, poiché siamo usciti da un pezzo anche dall’infanzia politica, sappiamo già che la più onesta e operosa buona volontà non potrà rimuovere, nè in tempi brevi nè in tempi lunghi, gli ostacoli, i vincoli di ferro, sas tropeas de cada zenia che sospingono o mantengono la Sardegna fuori dalla strada dello sviluppo economico.
Quelli che chiamiamo ostacoli, vincoli di ferro o tropeas, altro non sono se non le leggi inflessibili di quel moderno sistema capitalista che in Europa ebbe origine sul finire del secolo XVIII, dopo il crollo della società feudale, e che, geograficamente, trovò un suo terreno ideale di espansione e di crescita dalle provincie della Gran Bretagna meridionale a Parigi, alla Valle del Reno, grosso modo, e infine, come propaggine secondaria e tardiva, nella Val Padana occidentale. Le restanti parti dell’Italia, cioè la Padania orientale e tutte le regioni a Sud dell’ Appennino tosco-emiliano, sono investite soltanto debolmente dal processo di sviluppo capitalistico europeo. Tuttavia, anche regioni meridionali tradizionalmente emarginate, come la Campania e la Sicilia, in virtù del loro cospicuo peso elettorale, forse potranno via via partecipare allo sviluppo in modo più consistente. Tale possibilità, stando le cose come stanno, è negata alla Sardegna. Io non so se esista una volontà italiana maligna e perversa che abbia premeditato la nostra esclusione: i sardi, a nostro parere, sono esclusi per forza di tante cose ma anzitutto perchè la Sardegna non può disporre di se stessa, ovvero per mancanza di autonomia.
La Sardegna è geograficamente fuori dall’Italia; persino geograficamente è diversa; diversa è la sua storia; diversa la sua cultura originale, diversa la sua lingua. La Sardegna, insomma, ha i suoi titoli in regola per definirsi -Nazione»: e se venne a trovarsi nell’ambito del Regno d’Italia, e poi della Repubblica italiana, ciò non si deve a una sua scelta, ma a una serie di vicende sciagurate di cui fu vittima.
Già nella Carta di Macomer (9 agosto 1920) i fondatori del Partito sardo annotavano che «la Sardegna è storicamente legata (all’Italia) più per il contributo di spirito e di sangue offerto che per la tutela e il soccorso ricevuti”. Ciò è vero da secoli e non è necessario che si perpetui ancora più oltre una verità così dolorosa. Ecco, sono venuto al punto.
Cari delegati del Partito e sardisti tutti; e mi rivolgo anche a voi, rappresentanti delle leghe degli emigrati sardi, rappresentanti dei partiti e dei movimenti delle etnie, e delegazioni dei partiti italiani, delle associazioni e dei sindacati. A me pare che il popolo sardo si trovi in una trappola senza uscita e possa fare soltanto due cose: o si rassegna supinamente alla propria emarginazione perenne, alla esclusione dalla società produttiva dell’Italia e dell’Europa, e intanto va alla deriva e sprofonda verso livelli da Terzo Mondo, sempre meno accettabili, e cresce la disoccupazione e si ripresenta sempre più pressante la necessità di emigrare avventurosamente per porre fine all’angoscia e umiliante attesa di un lavoro, oppure, il popolo sardo, si ribella con tutte le sue forze, rifiuta questo destino e lotta per modificare profondamente lo stato attuale dei suoi rapporti con l’Italia e col resto del mondo.
Questa ribellione e questa lotta va conducendo appunto il Partito sardo d’azione nella fiducia che prima o poi, ma forse prestissimo, troverà il consenso di una larga maggioranza dei sardi.
Affinchè non sussistano dubbi, neppure fra coloro che hanno orecchie ma non vogliono intendere, riaffermiamo esplicitamente che la suddetta modifica dei rapporti con l’Italia, cioè l’obiettivo della nostra lotta, si chiama indipendenza della Sardegna.
Il Partito sardo d’azione mira all’indipendenza della Sardegna per difendere il diritto dei sardi alla propria rinascita, per istituire feconde relazioni intersoggettive con tutti i popoli del mondo, a cominciare dall’Europa e, secondo me, dalle «nazioni» italiane e dallo stato italiano – per molte ragioni che non sto a illustrare – per ritrovarci in seno alla federazione europea dei popoli, con i medesimi diritti, con la medesima dignità di tutti i liberi popoli che ne faranno parte. Questo obiettivo, già nettamente formulato nel nostro XVI Congresso, che si tenne a .Cagliari nel 1968, ripreso poi e ripetuto in tutti i congressi successivi, a Oristano come a Portotorres, come oggi a Carbonia, non può essere esecrato dagli avversari come un tradimento dei sardisti nei confronti della Patria italiana – perchè noi non intendiamo tradire nessuno – e non può essere neppure distorto o annacquato come un semplice progetto di più avanzata autonomia. Il nostro obiettivo rimane, come è, la piena indipendenza politica dell’Isola dalla Repubblica italiana al fine di costituire la Repubblica dei sardi. Ciò comporta, naturalmente, la riforma della costituzione italiana; a tale riforma intendiamo pervenire pacificamente e democraticamente attraverso il voto dei sardi e sulla base del diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Qualche mese fa, su questo tema, fui intervistato da un giornalista catalano, il quale fra l’altro mi domandava: «E se l’Italia non mollerà neppure davanti alla vostra richiesta appoggiata dalla grande maggioranza dei sardi, che cosa farete?”
La domanda era evidentemente provocatoria. Io risposi che in tal caso la Repubblica italiana non sarebbe democratica e noi lo diremmo a tutto il mondo facendo sorgere una «questione sarda» in seno all’ONU.
Il giornalista a questo punto mi diede apertamente dell’ingenuo e dell’utopista perchè, secondo lui, gli stati costituiti non concedono l’indipendenza a una parte del proprio territorio soltanto perchè c’è uno che la richiede. Egli si aspettava forse che io parlassi di insurrezione armata; ma il Partito sardo insisterà sempre con la sua lotta democratica, nel totale rispetto delle leggi italiane, anche nel caso in cui l’Italia si ostinasse a non concedere l’indipendenza alla Sardegna. Noi non useremo mai bombe, mitragliatrici, fucili, e neppure coltelli, perchè la via della violenza provocherebbe atroci lutti, sofferenze, galera, senza peraltro portare alla vittoria; ma soprattutto perchè siamo profondamente convinti che soltanto le vie democratiche, nell’ assoluto e religioso rispetto della vita umana, possano guidare alla democrazia, alla vera libertà e alla pace.
Cari sardisti, io sono forse il più vecchio fra voi e non vorrei perciò che qualcuno mi giudicasse debole e imbelle. Ma io non sono mai stato debole e imbelle e neppure ora lo sono. Da giovane ho avuto una lunga esperienza di guerra combattuta con tutte le armi e senza paura ho visto cose molto tristi. Vi assicuro che la giustizia non si trova nelle guerre e non si guadagna con le guerre.
Vi invito pertanto a considerare fermo e immutabile il punto dell’ideologia sardista che riguarda il metodo non violento della lotta. So bene che il mio invito è superfluo; so bene che tutti noi abbiamo scelto di lottare democraticamente non per cialtroneria e per codardia, ma perchè siamo forti, coraggiosi e civilmente protesi a contribuire, con la nostra azione politica, alla realizzazione di un mondo più onesto e più giusto. E sia anche ben chiaro che colui il quale pensasse di ricorrere all’uso della violenza per accelerare il processo di liberazione nazionale della Sardegna non solo deve essere considerato uno stupido, non solo fuori dalla linea del Partito sardo d’azione ma anche contro questa linea; deve essere considerato un nemico, il peggiore nemico, del Partito sardo d’azione.
Questa nostra dichiarazione non è nuova. Perciò è abbastanza sorprendente, e attribuibile soltanto a disinformazione, che il 13 gennaio scorso il Procuratore generale della Repubblica, nel suo discorso all’apertura dell’anno giudiziario, abbia voluto stabilire delle connessioni fra «manifestazioni criminali intese a separare la Sardegna dallo stato italiano» – posto che tali manifestazioni e tali finalità siano dimostrate – «e l’attività di un partito» (cito parole testuali) «che, nel suo congresso di Portotorres, aveva evidenziato una linea di separazione dallo stato».
Non ostante la vagamente approssimata definizione della nostra linea, il riferimento a Portotorres non lascia dubbi: si tratta proprio del nostro Partito. Ebbene, siamo in dovere di correggere l’opinione dell’alto magistrato di Cagliari, negando nel modo più categorico l’esistenza obiettiva di tali connessioni fra il Partito sardo d’azione e manifestazioni criminali di qualunque genere. Rifiutiamo nel contempo talune incaute, ma più francamente dovrei dire odiose e quasi poliziesche, dichiarazioni di uomini politici presunti e sedicenti democratici che hanno voluto attribuire al nostro Partito un ruolo sovversivo. Noi raccomandiamo a questi avversari un più responsabile controllo delle parole quando da queste si può evincere l’intenzione di segnalarci ai pubblici poteri come un partito fuorilegge. E più non mi dilungo.
Per il resto, io sono certo che la lotta indipendentista del nostro Partito è molto meno ingenua di quel che può sembrare al giornalista di cui vi ho parlato.
Anzitutto ritengo che nessun governo italiano oserebbe ignorare una maggioranza del popolo sardo risoluta e concorde nel chiedere l’indipendenza; ma anche se ciò avvenisse per qualche tempo, ben presto noi potremmo contare sulla solidarietà di moltissimi italiani e di moltissimi cittadini europei, che sicuramente riconoscerebbero, molti già riconoscono, la legittimità delle nostre aspirazioni. Molto dipenderà dalla forza di penetrazione e di espansione dei nostri messaggi. Ci dicono da molte parti che, in ogni caso, incontreremo resistenze, sensi vietati, ostilità aperte e trappole sotterranee per noi molto più pericolose delle aperte opposizioni. Non ignoriamo tutto questo, non sappiamo neppure fino a che punto saremo in grado di difenderci senza pagare prezzi troppo alti; tuttavia perseguiremo il giusto obiettivo che ci siamo prefisso con la coscienza tranquilla, e in definitiva, io credo che, anche per gli avversari, sarà molto difficile fermarci fintanto che avremo il consenso del popolo sardo. Questa nostra risolutezza non scoraggia i nostri avversari che si affannano a ricercare argomenti e motivi di opposizione sulla via di questa rivoluzione e, in termini che ci fanno soltanto sorridere, riprendono un’astiosa lotta contro di noi accusandoci, e sgridandoci, che stiamo combattendo battaglie velleitarie di retroguardia, involute e involutive. Il Partito comunista italiano (già Partito comunista d’Italia), al quale mi riferisco senza peraltro coinvolgerlo tutto, facendo di ogni comunista un fascio, attraverso alcuni suoi piccoli dirigenti sardi, non ha perso occasione, da un anno questa parte, per lanciarci terribili anatemi e severe condanne.
Io non so se costoro abbiano mai avuto sottocchio un ben noto documento votato nel IV congresso del Partito comunista d’Italia (1926) nel quale si legge di «costituzione di repubbliche socialiste e soviettiste autonome del Mezzogiorno d’Italia, della Sicilia e della Sardegna nella federazione delle Repubbliche socialiste e soviettiste d’Italia». Nel medesimo documento si parla del «diritto delle minoranze nazionali di disporre di se stesse sino alla separazione» affinché siano liberate «dall’oppressione dell’imperialismo italiano». Ora non si chiede che i comunisti ritornino su quelle posizioni – se non credono più al federalismo ma se intendono coltivare utili rapporti con noi, come ci auguriamo, debbono smetterla di scomunicarci durante le loro cerimonie.
Anche la chiesa cattolica ha superato la sua tragica avversione contro gli ebrei e ha cancellato dal rito l’espressione «perfidos Judeos». In ogni caso, il Psd’az resta profondamente convinto che per la Sardegna non esistono prospettive di crescita e di partecipazione alla cultura moderna e alla attività produttiva dei popoli europei più avanzati se non avrà la sua piena autonomia, dico l’indipendenza, prima che la maledetta diaspora in atto disperda tutti i sardi per il mondo, dunque prima che sia troppo tardi.
No, l’indipendenza non serve a nulla – ci dicono i più ostinati menagramo – e basta guardare alla miseria di certe repubbliche africane di recente formazione. A costoro si potrebbe rispondere che neppure l’Italia, e forse nessun paese del mondo è mai stata del tutto indipendente; l’Italia tuttavia non sembra che voglia rinunziare alla sua condizione di repubblica. Un’indipendenza assoluta infatti non è possibile, e forse non è desiderabile; ma una cosa è la dipendenza dell’Italia, per esempio dall’America, e altra cosa, molto più grave, è la dipendenza della Sardegna, per esempio dall’Italia.
Altri ancora incalzano affermando che l’indipendenza è pericolosa, perchè i sardi non ci sono abituati. Come potrebbero vivere senza l’Italia? E i carabinieri sardi, che sono tanti, come farebbero senza Italia? E ai cantonieri, chi gli darà lo stipendio? E ai postini?
Domande di questo livello sono così deprimenti – se penso alle condizioni mentali di chi ce le rivolge – che starei per rispondere: Dio mio, confesso che ai cantonieri non ci avevo pensato. Ritiro l’indipendenza. Con tante scuse anche ai postini. Ma non bisogna perdere la calma, non bisogna rispondere con quell’ironia, così cara ai sardi (poichè fa parte della struttura stessa della loro lingua); con l’ironia che a tutti i sardi è congeniata ma può riuscire incomprensibile a tzertos istudiaos che menano persino vanto di non conoscere una parola di sardo e sono fieri della propria dissardizzazione convinti di appartenere così a una cultura superiore. Ma chi rinunzia alla sua identità è destinato a non appartenere a nessuna cultura e rischia di finire come una cornacchia in mezzo ai pavoni.
Non indugio più oltre in questa polemica, anche se, a mio parere, più dannosi nemici della Sardegna, oggi come in ogni tempo, sono gli intellettuali sardi rinnegati.
A tutti coloro che avversano sconsideratamente le posizioni ideologiche del nostro Partito risponderò dunque senza ironie e senza sarcasmi: continueremo per la nostra strada. Noi abbiamo un’immensa fiducia nella recuperata coscienza nazionale del popolo sardo, che è risveglio politico e risveglio culturale, che è volontà di riscossa e impegno di rompere l’esilio nel quale ci sentiamo stretti. In conformità all’ideologia sardista parteciperemo, come sapete, alle elezioni del Parlamento europeo. Siamo alleati con l’Union Valdotaine e con tutte le altre minoranze etniche presenti nel territorio della Repubblica italiana; ma idealmente siamo al fianco di tutte le » nazioni proibite» dell’Europa che potranno ritrovarsi nella Confederazione europea dei popoli per realizzare un nuovo rapporto internazionale di fratellanza, di giustizia e di pace.
Il Partito sardo si rende conto che la liberazione della Sardegna, come di qualsiasi altro paese per essere duratura, deve essere attuata nell’ambito politico di tutte le liberazioni, nella rivolta di tutti gli oppressi, di tutti gli emarginati e i tutti gli esclusi della terra. Con la nostra presenza alle elezioni europee noi intendiamo partecipare a una rivoluzione di svecchiamento degli stati di origine medioevale, ivi compreso lo stato ottocentesco italiano tutti costituiti con la violenza e la sopraffazione delle armi senza il consenso delle popolazioni. Anche su questo tema, che meriterebbe approfondimenti storici, giuridici e sociali, in un congresso come il nostro ritengo di sorvolare. Basta così, cari sardisti, cari delegati, basta che io vi esprima la mia soddisfazione perchè il Psd’az partecipa. Nè tanto importa mandare un nostro rappresentante al Parlamento europeo, quanto l’avere concorso alla lotta. Di questo possiamo esser orgogliosi, perchè mandiamo la bandiera del Partito sardo, cioè della Sardegna in tutta l’Italia, nelle cinque circoscrizioni in cui si voterà, e in così grande parte dell’Europa. Altro che nuraghismo, poveri nostri avversari miopi veramente sardignoli.
Concludendo rapidamente per non togliere troppo tempo ai vostri interventi.
Il grido «indipendenza “indipendenza!”, che si ripercuote in ogni città e in tutti i villaggi dell’Isola, è il vento della ribellione dei sardi contro tutte le ingiustizie sentite; è il vento gagliardo di una generosa e democratica rivoluzione combattuta per oltre sessant’anni, che ora viene finalmente capita e seguita dal popolo sardo. C’è una diffusa e fervida ansia di vittoria, la speranza brilla nuovamente anche negli occhi dei sardi che disperarono e ci abbandonarono nei momenti tristi della lotta; c’è un presagio sicuro, ragazzi, miei cari fratelli, quasi una certezza che siamo vicini a una affermazione di consensi molto più vasta di quanto potessimo prevedere soltanto pochi mesi or sono. Ciao, andate a predicare la nostra fede: andate a votare. Vi saluto e vi abbraccio, senza presunzione personale, ma solo con l’augurio di una grande volontà unitaria di liberare la Sardegna.