Ecco perché l’Isis perderà, di Bernard Henry Lévy
Nella foto: guerrigliere peshmerga.
Una decina di giorni fa mi trovavo con i peshmerga davanti agli uomini dell’Isis. Con una troupe televisiva ho percorso un lungo tratto dei mille chilometri di linea del fronte dove loro, i peshmerga curdi iracheni, tengono testa ai tagliatori di teste.
E affermo che questi ultimi, gli uomini dalla bandiera nera, i barbari che per ora si sono creati un quasi Stato a cavallo fra Iraq e Siria, saranno sconfitti. Saranno sconfitti perché sono buoni terroristi ma pessimi soldati. Perché fanno i gradassi davanti all’obiettivo, quando si tratta di sgozzare ostaggi indifesi, ma poi scappano come conigli, come recentemente nella zona di Albu Naim, davanti all’avanzata di un esercito popolare che rioccupa 200 chilometri quadrati di territorio. Saranno sconfitti perché lo stesso giorno, in località Tel Bussel, alcune telecamere, fra cui la nostra, li hanno visti arretrare disordinatamente dopo aver fatto un numero limitato di vittime fra i peshmerga — undici, per quanto ne so io — morte in gran parte perché quei mascalzoni avevano nascosto delle mine nelle case e nelle moschee prima di abbandonarle, e anche in taniche nascoste fra i sassi della strada. Saranno sconfitti perché, contrariamente a quanto sempre si ripete, non amano la morte quanto i curdi amano la vita.
Saranno sconfitti perché sono meno numerosi di quanto si creda a poter dire «perché combattiamo», mentre i curdi difendono al tempo stesso una terra e un’idea, il sogno di un Paese e un modello di società unico nella regione. Saranno sconfitti perché di fronte hanno un esercito sempre più professionale, ma composto da uomini (e donne) di ogni età, di ogni condizione, che hanno lasciato una vita da civili spesso realizzata e felice: hanno 20, 30, 50 anni e anche di più. Ho incontrato un peshmerga che aveva addirittura 80 anni; era appostato, gomito a gomito con i suoi compagni, sulla cima più elevata del monte Zartik. E’ lui che la notte precedente montava la guardia quando una colonna dell’Isis è salita sulle pendici per tentare di attaccare di sorpresa l’accampamento. Saranno sconfitti perché i loro capi si nascondono e inviano sul campo di battaglia folli di Dio senza cervello; mentre i generali curdi che ho incontrato son tutti lì, in prima linea, rispettati, rispettabili: i bunker in cemento sono riservati alla truppa mentre la casamatta più esposta ai tiratori imboscati di Bartilla è per il maggior generale Maghdid Harki. Saranno sconfitti perché le bandiere nere che scorgiamo con il binocolo, a poche centinaia di metri, nel settore di Kirkuk, sono piantate in zone piene di civili, e sappiamo che non si vince mai quando si trasformano i civili in bersagli umani.
Saranno sconfitti perché i silos distrutti, le installazioni agricole esplose, le strade sfondate, il ponte crollato sopra il canale d’irrigazione invaso dalla sterpaglia, le rovine fumanti, insomma i paesaggi di desolazione nelle zone che hanno brevemente controllato e che hanno dovuto abbandonare di fronte all’esercito della libertà, attestano che non conoscono altra politica se non quella della terra bruciata: anche con questa barbarie non si può mai vincere. Saranno sconfitti perché le truppe del presidente Barzani possono riprendere Mosul quando vogliono: i piani sono pronti; gli uomini sono pronti; basterà qualche ora per riconquistare la pianura di Ninive e consentire ai cristiani e ai yazidi di ritrovare le loro case razziate. Le truppe aspettano un segnale, uno solo, per sapere quando i sunniti rimasti a vivere sotto l’Isis ne avranno abbastanza di quei gangster e di quei teocrati assassini.
Saranno sconfitti perché i curdi, che amano la vita, quando è necessario sono capaci di correre il rischio di morire e di compiere atti di coraggio eccezionale: è il significato letterale («colui che va incontro alla morte») del termine «peshmerga», ed è la storia di Jamal Mohamed Salih che, vedendo un camion-kamikaze avventarsi sulla loro postazione, ha deciso in mezzo secondo di lanciarsi con il carro armato contro il camion per salvare i suoi ottanta compagni: è sopravvissuto, è gravemente ferito, ma è sopravvissuto; e noi abbiamo filmato la sua eroica e commovente testimonianza. Saranno sconfitti perché nei ranghi dell’Isis ci sono traditori che passano informazioni ai peshmerga sui suoi movimenti consentendo così di prevenirli. Saranno sconfitti perché, quando nella zona di Gwer ci si imbatte (per caso?) sulla loro radiofrequenza, si è portati a pensare che essi finiranno, come i khmer rossi, con l’uccidersi a vicenda nella più grande confusione.
Saranno sconfitti perché i peshmerga, superato il primo momento di stupore, un anno fa, hanno rinforzato le loro postazioni attorno alla diga di Mosul, scavato piste in mezzo ai sassi sopra a Qaraqosh, costruito un vero e proprio ossario di Douaumont nel settore più strategico della regione di Kirkuk, fortificato le cime rocciose della zona di Zartik, scavato trincee dai cinque ai dieci metri di larghezza per fermare in pianura i camion kamikaze.Saranno sconfitti perché, se il baluardo di sacchi di sabbia mescolata alla calce resta incompiuto, hanno ormai solo dei cecchini per continuare a seminare terrore. Saranno sconfitti, infine, perché la coalizione internazionale che si batte al fianco dei curdi — di cui ho visitato una delle sale di comando, in una vecchia base aerea da dove partivano i bombardamenti chimici di Saddam Hussein — un giorno si deciderà a dare il colpo di grazia.
(trad. di Daniela Maggioni). Il Corriere della sera, 11 settembre 2015