Stefania Padroni, l’addio ad un «regalo della vita», di Gianfranco Murtas

Stefania Padroni, una delle “ragazze” fondatrici di San Mauro (famiglia Morittu), a lungo rimasta come operatrice e infine caduta ieri per insanabili problemi epatici. Era dirigente dell’Assoc. Trapiantati fegato e pancreas). Una bella figura che onorai in un libro di molti anni fa sulla comunità di S’Aspru (nella foto).

 

«Ogni volta che vado a S’Aspru è come se tornassi nella casa dell’infanzia…, ricordo con esattezza il giorno del mio arrivo. Un gruppo di ragazzi era lì già da più di un mese ed erano state fatte molte migliorie alla casa che aveva perso l’aspetto del rudere di qualche tempo prima. Soprattutto c’era vita, allegria e tanto entusiasmo. Era estate e la campagna intorno aveva il tipico aspetto di questo periodo dell’anno, ad accoglierci oltre ai ragazzi c’era Maria, anche lei piena d’entusiasmo ed ansiosa di mostrarci le nostre camere, con me era arrivata anche Lisa e suo figlio Alessandro, per noi è stata un’avventura essere le prime ragazze di S’Aspru, per entrambe un grande stimolo ed una vera opportunità.

«Non avevamo quasi niente, tutto era materiale recuperato, dalla mobilia alle attrezzature di lavoro e della casa in genere, ma la sensazione era di una gran ricchezza, non percepivamo ciò che mancava ma ciò che avevamo, soprattutto la grande casa, era come se vedessimo in prospettiva e fossimo già consapevoli di ciò che S’Aspru sarebbe diventata, di ciò che è oggi.

«Della mia stanza ricordo il letto in stile antico con un copriletto rosa, un cassettone con il piano di marmo, una sedia ed un fiore in una bottiglia d’acqua minerale con un biglietto di benvenuta appeso al collo della bottiglia.

«Vivere a S’Aspru nel primo periodo del percorso comunitario è stata un’esperienza credo irripetibile, mentre ricostruivamo la nostra casa anche la nostra vita di persone libere si concretizzava, una ricostruzione interiore che si materializzava e diventava visibile attraverso il nostro lavoro quotidiano nella casa e nella campagna di S’Aspru.

«Il tempo poi è volato e dopo quattro anni ero di nuovo a S’Aspru, stavolta come responsabile…

«Oggi  alcuni ragazzi vivono il tempo passato in comunità come un tempo rubato alla vita così detta “normale”, in realtà la mia esperienza è di aver avuto un tempo regalato dalla vita, nonostante gli anni volassero la mia sensazione era di ricevere e non di perdere…».

Sono parole firmate da Stefania Padroni.

La famiglia e l’associazione dei Trapiantati di fegato e pancreas della Prometeo AITF onlus hanno annunciato oggi la morte dolorosa di Stefania, creatura che, fra mille difficoltà, ha arricchito il mondo con la sua testimonianza umana e la sua opera, dapprima nel circuito di Mondo X Sardegna fondato dal benemerito padre Salvatore Morittu, quindi soprattutto nell’ambito della Prometeo (responsabile del tesseramento, delle relazioni della struttura sarda con i livelli direttivi nazionali torinesi dell’AITF).

L’incontro mio personale con lei data ormai da quasi trent’anni di calendario, negli spazi della comunità cagliaritana di San Mauro in via San Giovanni, dove operava allora – e così avrebbe continuato per lunghi anni ancora (fino al 2005), con vari incarichi – nel centro d’ascolto e orientamento ed accoglienza dei ragazzi tossico/alcool dipendenti.

Nel 2002, nel ventesimo di fondazione della comunità silighese di S’Aspru, in una struttura (villa Murgia-Vivanet) messa a disposizione dei francescani da quel gran cuore generoso che rispondeva al nome dell’arcivescovo  Paolo Carta, giusto alla vigilia del suo pensionamento dalla cattedra episcopale di Sassari , fui incaricato di preparare un testo, o il primo volume di una serie storica, evocativo della complessa esperienza di vita di un meraviglioso ensemble sociale, di una famiglia sociale in rilancio di motivazioni ed obiettivi. Stefania fu, fra gli operatori al tempo in servizio, la più pronta a collaborare. Ne venne appunto un libro – S’Aspru, vent’anni. Storia di un’avventura. 1982-1989. E l’idea si fece famiglia – utilizzato poi, con altre pubblicazioni e le produzioni agricole od artigianali interne, per l’autofinanziamento comunitario.

L’opera segmentava le stagioni della buona fatica secondo la sequenza dei mandati di responsabile affidati dal padre Morittu: a Maria Spiga dapprima, a Sandra Buondonno dopo, a Stefania Padroni dopo ancora… E alla testimonianza personale del titolare di quel cor unum colto nell’essere e nel fare, aggiungeva i documenti, soprattutto gli stralci dagli articoli pubblicati sul giornale di Comunità, in cui i ragazzi riferivano delle attività non soltanto di lavoro (campagna, agricoltura, orto, animali, porcillaia…, jjjkferro-falegnameria-muratura,  cucina-lavanderia-pulizia…) ma anche conviviali, religiose o sportive, fra scalate a Monte Santo ed incontri di conoscenza e discussione… allora anche con Gavino Ledda.

Per onorare Stefania Padroni riproduco qui di seguito alcuni brani a lei direttamente riconducibili: valgono tutti come testimonianza personale tanto delle fasi in cui fu “ragazza fra ragazze e ragazzi” impegnata anche lei, dal 1982, nei ritmi della comunità ergonomica: comunità che associa al lavoro materiale, come fondamenti del programma di recupero, anche i pilastri di formazione e cultura (intesa come acquisizione di chiavi interpretative del reale), quanto della stagione in cui a lei venne affidata, nell’autunno 1987 e per due anni, la conduzione della straordinaria famiglia sociale di Mondo X, della società dell’Uomo radicatasi in vetta a quella certa collina di Mesu Mundu, ancora recante tracce di antico insediamento di monaci benedettini.

Seguiranno alcuni brevi passaggi di articoli che la stessa Stefania ha pubblicato negli anni, sul periodico MappaMondo X, fondato e diretto da Luigi Alfonso.

A tutto premetto uno stralcio del terzo capitolo di S’Aspru, vent’anni, che a volo d’uccello riepiloga i primi momenti di vita comunitaria in S’Aspru.

 

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Ogni giorno, mille giorni. Li devi vedere, sempre in movimento, nella casa che per mille giorni è sempre cantiere, a far tramezzi e intonaci, bagni e solette. «Fervet opus!», avrebbe scritto il cronista dell’Unione Sarda o della Nuova Sardegna se la cosa fosse avvenuta novanta o cento anni prima…. Nella casa oppure nei campi, all’obbedienza, già quasi da subito, di Angheleddu, o… eterodiretti, in qualche modo, e per virtù di esperienza e solidarietà di vicinato, da taluno dei proprietari/lavoratori più prossimi. All’orto estivo o a quello invernale, nei recinti dei maiali o nel pollaio, nei ricoveri dei cavalli o nelle stalle di mucche e vitelli, nelle estensioni a pascolo, nell’area del vascone, in quell’altra dove un giorno non lontano sorgerà il pinneto, nelle strade d’accesso o penetrazione ed ovunque… Muratori e falegnami, fabbri e carpentieri, pastori ed agricoltori, cuochi e stiratori (o cuoche e stiratrici) anche, e servitor domestici per l’utile di tutti.

Si comincia in sei più Maria, meno d’un mese dopo arrivano da San Mauro, con Stefania e Lisa, i primi rinforzi. E altri ancora, a più riprese, in autunno e poi lungo l’intero 1983, fra primavera ed autunno. D’estate, ad agosto, è concesso a tutti, almeno all’inizio, il mare di Badesi. A turni di una settimana (poi l’esperienza consiglierà di limitare la vacanza ai vecchi). Arrivano i nuovi, anche, che a San Mauro han fatto soltanto i colloqui – e dal 1984 ci saranno pure quelli filtrati dal nuovo centro d’accoglienza di Sassari – e s’avviano progressivamente gli “scambi” fra le due comunità: questi scendono, quelli salgono…

Se gli incarichi di lavoro sono, all’inizio, per forza di cose, abbastanza grossolani, cumulando sulle spalle degli stessi e le incombenze del muratore e quelle dell’idraulico, oppure quelle del pastore e quelle dello stradino, ecc. man mano che ci si inoltra, che cioè si va… a regime, vengono le specializzazioni: questi all’orto e quelli agli animali, quegli altri alla casa e quegli ulteriori alla muratura, o alla falegnameria… E dopo meglio ancora: perché in ogni settore opera non più soltanto un singolo ma una squadra, con tanto di responsabile, e come in ogni azienda che si rispetti non mancano le rotazioni, per combinare al meglio specializzazione ed eclettismo. Naturalmente secondo logica comunitaria!

Ma qui bisogna dire intanto di chi ha preso su di sé il gravoso carico del “comando”. Di Maria Spiga, colei, cioè, che, dopo aver condiviso, per un anno circa, con Beatrice Ledda – Bea per tutti –, gli oneri della più diretta collaborazione con padre Morittu nel convento di Villanova, ha assunto la personale preposizione della nuova comunità

Così lei stessa si presenta, e illustra la sua attività, nelle pagine del Quinto Moro: «Ho cominciato pulendo i gabinetti a San Mauro. Adesso sono stata inviata qui a S’Aspru… Avevo fatto la scuola-convitto, dalle suore, per il diploma d’infermiera. La mia esperienza in ospedale non mi ha soddisfatto: avrei voluto intavolare con i malati un rapporto diverso, più umano. L’incontro casuale con Salvatore mi aveva impressionato. Parlava già (ancora prima che venisse fondata) della Comunità… mi trattava come se fossi una persona, non un robot capace di maneggiare soltanto termometri, siringhe e pastiglie…».

«Io mi sento, rispetto alla Comunità, come una sposa che ha detto “sì” e mantiene con entusiasmo la sua fedeltà!… Non ho fatto molti studi e tante volte questo mi dispiace, però sono convinta che il segreto della vita, la forza più grande sia l’amore…».

«Innanzi tutto bisogna accogliere il drogato. Al momento del suo ingresso non possiede una personalità leggibile. Tutto buio, confuso… Ciò di cui ha urgente bisogno sono cose che non hanno niente a che fare né col ricupero, né con un terapia psichica; solamente un tetto sulla testa, un piatto caldo e la necessità urgente di sottrarlo alla strada… Poi, in secondo luogo, bisogna seguirli, tutti, ad uno ad uno. In tanti modi: parlando con loro, nelle riunioni, sui luoghi di lavoro, ascoltandoli nei momenti più impensati quando cercano qualcuno a cui rivolgersi, per risolvere un dubbio, trovare una risposta sicura. E’ necessario responsabilizzarli nell’esecuzione di un lavoro, nel comportamento verso un ragazzo appena giunto, o nel prendere coscienza dei problemi essenziali della Comunità» [...].

Zella Corona la osserva nel suo fare senza posa. Scrive: «Arriva sempre molta gente. Si ha l’impressione di tanti fili che, pure partendo da tanto lontano, si riannodino sul canovaccio di un discorso intrapreso una volta dai francescani e che il tempo non ha logorato ma anzi rafforzato. E il canovaccio è la Comunità, è il campionario più svariato di umanità, che si fa di giorno in giorno occasione di riflessione attorno a problemi di natura sociale, religiosa, politica, ed economica. E lei, instancabile, è sempre disponibile per rispondere, spiegare, soddisfare gli interessi più diversi».  Le emergenze sono meno rare di quanto non si pensi, ma non bisogna scoraggiarsi: «Il mese scorso ci è toccato combattere col fuoco! Oggi, l’acqua».

La vede, Zella, impegnata al lavatoio, «giù nella vallata, presso una fonte di granito rosso che contiene due vasche d’acqua». E mentre lava, Maria spiega: «In due ore qui si sbriga una quantità di biancheria che una lavatrice automatica come la nostra dovrebbe fare in tre volte. Senza contare il tempo, il detersivo e l’energia elettrica. Non ce ne possiamo permettere una molto grande: costa troppi milioni… Possiamo venire qui sempre, all’infuori dei giorni stabiliti per le donne di Siligo che vengono a lavare la lana delle pecore…».

Coetanea del fondatore-patriarca (giovane “patriarca”: appena 36 anni nel 1982), Maria si è licenziata dal suo impiego di ferrista all’Oncologico. A S’Aspru, dopo l’anno trascorso a San Mauro, esprime al meglio il suo potenziale umano, si rivela un’autentica trascinatrice, emana un carisma che le consente di tenere compatto il gruppo in progress…

I ragazzi. I sei del furgone – Sandro, Mauro, Franco, Giampiero, Pacicu e Poppi –, pur tutti generosamente immersi nell’avventura dei pionieri, mostrano, alla distanza, un grado di resistenza assai differenziato. Se infatti i primi tre si rivelano d’acciaio, riuscendo a concludere bellamente il programma e uscendo dai ranghi, col perfetto consenso del responsabile, per restituirsi alla famiglia o darsi al lavoro conquistandosi anche l’autonomia economica, non così è per gli altri.

Giampiero, 22 anni, casa nel quartiere cagliaritano di San Michele, resiste fino ad agosto: un mese l’ha passato a San Mauro, tre a S’Aspru. Speriamo che bastino. Agostino, soprannominato Poppi dal nome del suo paese a un passo da Arezzo – la calma fatta persona in un fisico da gigante, semplice d’animo con i suoi appena 21 anni – regge fino a marzo 1983. Francesco, rinominato Pacicu (così si firma lui stesso), origini sennoresi e carattere introverso con qualche insistita malinconia, eccellente muratore e falegname, anche lui sfonderà di poco l’anno comunitario.

E gli altri? Fra quelli arrivati, dall’universo mondo (italiano e sardo), fra estate ed autunno dello stesso 1982, ecco Gavino, sorsese, uno dei sei o sette che accompagneranno padre Salvatore ad Assisi, per le festività giubilari in onore del Poverello; ecco Sandrino, cittadino di via Podgora-city, fisico agile ed abilissimo – come tutti in famiglia – nel gioco del pallone, temperamento alquanto chiuso che però sa entrare nelle situazioni, prestandosi sovente a divertenti scenette e balletti; ecco Maria Vittoria, 18enne sassarese, piccolina e grassotella, venuta in comunità con la sua bella bambina che socializza innocentemente con i topolini di campagna, all’ombra di qualche arbusto nell’orto; ecco Umberto e Roberto, entrambi di San Severo (compaesani di Franco Sacco): 21 e 23 anni, hanno caratteri assai diversi, più propenso a sintonizzarsi (in positivo) con l’ambiente il primo, un po’ più restio il secondo, che però regge qualche mese più dell’amico (abbandoneranno il campo rispettivamente ad aprile e ad agosto del 1983); di San Severo è pure Angelo, 21 anni, che arriverà quando quelli se ne vanno, ragazzo straordinariamente capace di cordializzare con tutti, mangiandosi le parole e trasferendo il suo senso d’allegria…

Ecco ancora, magari saltabellando da una ragione all’altra, fra la Sardegna ed il continente, l’altro Angelo, assegnabile pure lui alla combriccola dei sennoresi, 19 anni soltanto, alto e robusto, con una forza fisica fuori dal comune, e Rino, 20 anni stravaganti, il sennorese arrivato col gatto al guinzaglio e qualche problema che la comunità assai meglio delle terapie degli psichiatri restituirà al meglio della sua lucidità («avete fatto un miracolo», dirà il prof. Desole); ecco Tino, ferrarese di Tresigallo – tanto che lo si chiamerà “ Tresgalet” – personalità disciplinata, gentile e meditativa, ed il suo compaesano Edoardo, magrolino e più del maggiore con difficoltà di inserimento (lascerà d’estate); ecco Pietro, 19 anni, il più felice di tutti quando gli si farà scalare Monte Santo, e Titino, di età quasi doppia, un bel mestiere a Sassari dove vivono i suoi due bambini, buona cultura e personalità spiccata, maschilista alla ennesima potenza (ma anche per gioco e far… dialettica con Lisa); ecco Nino, romano figlio di sardi impiantati nella capitale, e Gaetano, bello e alto di Trastevere o dintorni, affidato alle cure proprio di Nino; ecco Massimo “il carlone”, milanese riccio e un po’ bohémien, filosofo più che operaio, burlone e spensierato, ed ecco il sardissimo Roberto, ribattezzato Johstone da Sandrone, per merito di naso aquilino e capelli tirati indietro così come il campione inglese, carattere allegro e positivo, simpatico e sensibile.

Ancora, ecco Pino il polemico, cagliaritano di San Michele, buon lavoratore, così come Graziano Lampu, vecchio di 25 anni, casa a Sant’Elia e tante esperienze difficili alle spalle, “comunista” e chitarrista, cantante e spirito ilare, abilissimo giocatore di pinella e dama; ecco Piero e Laura, cittadini di Parte d’Ispi, entrambi poco più che adolescenti, il primo simpatizzante punk, lei naif ed affettuosa; ecco Renzo l’ozierese, alto e magro, brillante stratega dei suoi non banali futuri destini, e con lui Vanni, il rosso di Castelsardo, spiritoso viceré della campagna; ecco i galluresi Franco e Marino: tempiese di 23 anni il primo, amante del calcio e validissimo  specialista di orti e giardini; coetaneo olbiese (ma nato in Germania) il secondo, pure lui buon lavoratore epperò indocile, che evolverà nel misticismo dandosi alle savie letture di Gibran; ecco Giorgio il genovese, calmo come la sfinge, messosi agli ordini del vecchio Sacco, che vezzeggia cento volte al giorno col nomignolo di “papi” ed ecco i due Maurizio, dopo quell’altro che è scappato quasi il giorno stesso dell’arrivo: entrambi cagliaritani e entrambi 24enni, l’uno all’apparenza figlio di papà e invece scrupolosissimo nell’adempimento del suo dovere, l’altro tutto simpatia, agile e scoppiettante  biondino di San Michele; ecco Sergio il romano, geometra associato alla squadra dei rifacitori del tetto della chiesetta di Monte Santo, nell’estate 1983, ed ecco l’altro Sergio – cagliaritano proveniente come molti degli altri da San Mauro –, spirito pratico ed intraprendente, rimasto famoso per la mitica pelata non men che come leader della falegnameria e dintorni.

Ci sono poi le altre donne, dopo Maria Vittoria ed oltre Laura: da Cagliari sono salite, a gruppetti o alla spicciolata, Stefania e Lisa, e poi Sandra, e poi Maria Teresa… Il gruppo include ancora Patrizia (Kicca), veronese allegrona e… abbondante, e poi Roberta, timida monserratina, ecc. I nomi si aggiungono ai nomi, le storie alle storie, le persone alle persone, tutti alla ricerca del giusto modo per riprendersi la libertà. Ecco quindi, fra 1984 e 1985, Alessandro e Paolo, e Carlo e Giampaolo, ecco poi Giuseppe e Bruno, e Gianfranco e Mario, ecco la sequenza dei Roberto (fino a sei in contemporanea)…

[Sul giornale di Comunità, che ha cadenza possibilmente settimanale, scrivono, e scrivono molto, moltissimo anzi, e scrivono bene, perfezione d’umanità messa a nudo, Gavino P., Sandrino B., Franco S., Mauro P., Sandro M., Maria Vittoria S., Agostino V. il quale ultimo avvia così il suo articolo]: «Ore 20,30, per la prima volta scrivo il giornale e insieme a me ci sono Maria Mauro Sandro Gavino, Franco Stefania e tanti altri ancora, coloro hanno scritto la settimana prima che io mi trovavo a Cagliari. Ognuno pensa cercando chi accumulare una frase di quando si ricorda, chi un avvenimento accaduto di pura scelta. Sto pensando e la cosa più bella che mi viene in mente è la giornata di oggi, qui a S’Aspru siamo distanti dalla strada principale per arrivare alla casa bisogna percorrere un km. di strada di campagna senza asfalto. Un gruppo di ragazzi in questi ultimi giorni la stanno mettendo a posto, scavano con le pale lateralmente per fare dei fossetti dove scorre l’acqua, scavando hanno buttato la terra nel centro della strada, poi il tempo ha cominciato a piovere e fare fango, a tal punto che le macchine quando salivano trovavano delle difficoltà, allora oggi è arrivato il camion con della ghiaia da spargere.

«Erano molti giorni se non qualche mese che non riprendevo la pala in mano, appena mi hanno chiamato ho fatto il muso poi quando mi sono trovato a spalare mi sono aperto molto, il pensiero volava e le riflessioni erano tante, una di queste era il lavoro che facevo fino al momento, ero proprio al punto di mollare, camminare per la casa aggiustare maniglie e serrature delle finestre, che quando mi sono ritrovato a spalare è stata proprio una contentezza ed era molto che non arrivavo a queste sensazioni».

[Scrivono anche Umberto M., Rino S. , Edoardo B., Pietro P., Titino R. … e con Angelo Pi., Maurizio M., Pino P., Pacicu, Lisa C., Roberto G., anche Stefania giovanissima]:

«Ho voglia di assumere un atteggiamento fatale e piangere tantissimo. Pensare a me, alla mia vita, al fatto che io sono una persona. Capire se sono veramente una persona. Questa donna, fragile, incapace, paurosa. Debole. Ho voglia di stringermi le ginocchia al petto sino a soffocare e far scivolare le mie lacrime per terra. E sono cosciente che questo mio momento non è di vita e non posso fare a meno di prendere atto di questa Stefi che vorrebbe non essere. In questo momento mi sento molto schizofrenica perché c’è una parte di me che invece ha voglia di sdraiarsi e spalancare le braccia, allungarmi nello spazio, essere, esistere, impormi, credere, volere. E’ una parte molto bella di me che ancora devo scoprire del tutto, è una parte di me che lotta contro i miei momenti di morte.

«Ma ora prevale l’altra Stefi. Quella Stefi brutta, incapace, antipatica, asociale, depressa, quella Stefi che si è spesso giocata la vita, che tante volte è morta in un angolo di strada, sola, o in un letto in cerca di amore, di compagnia e calore umano. E’ una Stefi che deve morire in quei momenti perché oggi non ha più motivo di esistere. Sono contenta, anche se soffro un casino, di vivere questi momenti di morte perché poi vivere è ancora più straordinariamente meraviglioso».

[Sono giornate piene per tutti, non bastano le ventiquattro ore per far tutto, ma bisognerà cominciare finalmente a capire che le ventiquattro ore sono a misura di noi umani, la giusta misura delle nostre occorrenze di vita… Nel maggio 1983 l’argomento del tema riflessivo, che anticipa la parte delle cronache dai settori, è quello dei figli lontani e dei figli vicini. Il mese dopo arriva in comunità, per trattenersi qualche giorno], padre Silvio, un religioso che, in vista di aprire lui una comunità di recupero, [intende] passare dalla teoria alla pratica, e conoscere dal di dentro la realtà di vita di un gruppo di tossicomani impegnati nel faticoso percorso della loro liberazione […]. I ragazzi dedicano gran parte del loro giornale del 30 giugno a mettere nero su bianco – attraverso la formula della lettera – le proprie impressioni. Un capolavoro di sincerità.

[Scrive Stefania, e pare interessante la capacità di analisi critica che rivela e le sarà utile, educata e valorizzata, quando a lei toccherà la responsabilità della comunità e poi quella del centro d’ascolto]: «Mi sono contrapposta subito ai miei amici, o meglio, ai miei fratelli – nei loro giudizi così maschili, forse anche pregiudizi, cadendo così nel personale, nel mio problema. Silvio è superficiale! Silvio è ambiguo! Silvio è facilone! Silvio non ama lavorare! Silvio non è adatto a stare con i tossici! Silvio non si fa rispettare! Silvio non ascolta tutti ma preferisce alcuni! Silvio non è abbastanza responsabile!

«E’ vero che in una settimana è molto più semplice notare gli aspetti negativi che non quelli positivi. Ma è poi solo una questione di tempo?! E’ anche vero che quando si ama un modo di vivere, quando si lotta disperatamente in un modo per arrivare alla libertà da se stessi, quando si ha conosciuto un padre è terribilmente difficile ipotizzarne uno nuovo… E’ essenziale, suppongo, per fare ciò che vuole fare Silvio una grande onestà, molta umiltà e non materiale, un grande amore per l’umanità, una quasi totale maturità, una purezza d’animo quasi bambinesca, una disponibilità totale per l’altro.

«Silvio? Forse è anche sensibile. Veloce nel cogliere certi aspetti della personalità altrui, forse è anche capace di autocontrollo. E’ vero però che è molto emotivo, capace anche di ferire con le parole quando attaccato. E questa non è una qualità. Capace anche di chiudersi se frainteso e questa non è una qualità… Il mio rapporto con lui per un momento è stato di alleanza e tutto perché lui si è accorto che io lo giustificavo nelle sue debolezze. E’ quindi incapace di correggermi nei miei difetti se crea alleanze. Parla bene, quasi affascina, da persona che ha preso possesso anche con rabbia delle armi del potere culturale e spesso usa questo potere… Mi ha ispirato tenerezza in alcuni momenti perché l’ho sentito un po’ in difficoltà nei confronti dei ragazzi…

«Riuscirei a mettermi nelle sue mani? Sì mi ci metterei ma non sono sicura del risultato positivo anche se è vero che l’uomo ha mille risorse nascoste che possono emergere nei modi e momenti più impensati… Nella stessa misura in cui una persona può creare ambiente, un ambiente può creare una persona, o meglio, aiutare a crearsi…».

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Passano gli anni. Nel 1985 ha iniziato ad operare la comunità (che diventerà doppia comunità) di Campu’e Luas. Una statistica rivela che al 31 dicembre 1986 sono entrati – fra San Mauro, S’Aspru e Campu’e Luas – ben 233 giovani (di cui 34 sono le ragazze) e soltanto a S’Aspru gli arrivi sono stati 95 (12 le ragazze). La pressione aumenta: nel 1987 chiedono di entrare nelle tre comunità in 61 (e specificamente a S’Aspru 28), l’anno seguente saranno 80 (e a S’Aspru 39), nel 1989 saranno 76 (33 a S’Aspru).

Stefania Padroni è chiamata a guidare lei stessa la comunità di S’Aspru, ad essere esempio e riferimento. Quando nel 2002 le chiedo un contributo di testimonianza sul tempo silighese trascorso nel ruolo difficile e complesso di responsabile di tanti giovani che sono impegnati nelle fatiche che lei ha affrontato vent’anni prima, e giù per settimane, mesi ed anni, scrive e mi consegna questa nota:

«Ogni volta che Salva mi ha proposto di assumermi una nuova responsabilità il mio primo pensiero è sempre stato quello di sentirmi inadeguata, così quando mi propose di andare a S’Aspru come responsabile ho pensato che non sarei stata capace di svolgere quel ruolo così impegnativo e ciò che mi ha spinto ad accettare, con entusiasmo, è stata solo la grande fiducia che ho per Salva. Ho creduto in me stessa perché lui ci credeva, ed è con questo spirito che mi sono dedicata a S’Aspru con tutta me stessa».

Quelle di Mondo X sono ancora pressoché le sole comunità che danno risposta alla domanda di soccorso che viene dalle piazze sarde infestate dalla droga. «S’Aspru è stata per me – aggiunge– una grande scuola di vita e tutt’ora sto raccogliendo i frutti di quella semina. Ho avuto modo di apprendere soprattutto ad amare ed ad accettare gli altri, ad aver cura di me stessa ed inoltre ho potuto imparare ad amare la natura ed ho scoperto e quindi potuto apprezzare la cultura sarda ritrovando così le mie radici. Mi è stata data la possibilità di dedicarmi agli altri, e certamente ho aiutato, guidato, confortato, molte persone ma principalmente ho avuto la possibilità di crescere e di arricchirmi interiormente.

«Essere stata responsabile a S’Aspru mi ha dato la possibilità di sperimentarmi nella maternità pur non essendo ancora madre, mi ha fatto scoprire aspetti della vita che non avrei mai potuto sperimentare in altre situazioni, ed è stato bello fare un po’ di tutto, dal cucinare al trattare con i pastori la vendita della lana, stare con i ragazzi e seguirli nel loro cammino, soffrire assieme a loro ed aiutarci reciprocamente nei momenti difficili, fare con loro le riunioni e poi… andare al mercato, comprare le tegole, scegliere le colture per l’orto, decidere insieme come passare il tempo libero, organizzare i lavori e seguirli insieme… E potrei continuare ad elencare le tante cose che ho imparato a S’Aspru, e seppure nei miei ricordi non manchino i momenti dolorosi, pieni di incertezze, di dubbi e a volte di sconforto e di solitudine, ciò che più ricordo è il grande senso di pienezza che aveva la mia vita di allora».

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Nell’era delle sperimentazioni del “noi”. Domenica 6 dicembre 1987, poche settimane cioè dopo l’arrivo di Stefania, si svolge, a S’Aspru, l’annuale incontro dei genitori con i loro ragazzi impegnati nel programma comunitario. Due giorni dopo è già tempo di riflessioni pacate. Paolo Piras coglie lo spunto dell’ora redazionale per interrogare in proposito padre Salvatore e riferirne sul giornale dell’8. Quale può essere il filo rosso che unisce, o vorrebbe, o dovrebbe unire, la famiglia alla comunità? E’ la domanda centrale che l’intervistatore pone al fondatore di Mondo X Sardegna.

Meditata e profonda la risposta: occorre valorizzare al massimo «qualità e capacità» dei singoli, «ma sapendo creare anche uno spazio… da condividere…Questo mette in moto valori di solidarietà, di libertà e di rispetto reciproci che altrimenti rischiano di rimanere compressi, inibiti».

[Scrive Paolo, destinato anche lui a guidare presto una comunità, quella di Campu’e Luas]:

«Salvatore lo conosciamo tutti. Ci fa da padre, da fratello maggiore, da amico, da confidente, da maestro a seconda dei nostri bisogni. Nel nostro giornale, non è mai apparso direttamente (almeno credo). Oggi abbiamo deciso di coinvolgerlo con una intervista, visto anche che siamo a cavallo tra due avvenimenti “forti”: la visita dei nostri genitori e il Natale. Siamo seduti davanti al caminetto dello studio, dove brucia allegramente un ceppo d’ulivo: ecco come è andata.

«Domenica sono venuti a trovarci i nostri genitori. In due parole, la cosa più bella e la cosa più brutta della giornata.

«-La cosa più bella che ho vissuto è stata la partecipazione corale dei genitori, che sono riusciti a vivere con pienezza tutti i vari momenti con i quali abbiamo scandito la giornata. La cosa più brutta – ne abbiamo già parlato – è stata l’incapacità di dare più sostanza, più spessore all’incontro della serata, che segnava la conclusione dell’incontro».

«Cosa vorresti che rimanesse in noi di questa esperienza al di là delle varie emozioni che sicuramente abbiamo provato?

«-Intanto la percezione il più possibile completa della difficoltà di fare il padre e la madre. E quindi, senza paura di svolgere questo ruolo quando siamo chiamati a farlo, il desiderio di mettere in questo una sensibilità nuova, adeguata al nostro tempo ed ai nostri problemi».

«E nei nostri genitori?

«-La percezione, chiara e precisa, che voi siete sempre i loro figli ma ormai – per età, per crescita interiore siete, o vi avviate ad essere, uomini chiamati in prima persona a responsabilità da genitori».

«Cosa pensi della famiglia? Parlo della famiglia come nucleo antropologico.

«-Penso di avere avuto dalla vita una percezione positiva della comunità; per questo ritengo che la famiglia costituisca la prima, fondamentale comunità umana. Deve avere le caratteristiche fondamentali della Comunità, ed in più lo specifico legame di consanguineità. Avendomi dato la vita anche un robusto realismo, mi rendo conto che la famiglia, essendo oggi accelerati i cambi generazionali, e cioè l’età a cui si è chiamati ad essere responsabili, abbia ancora dei messaggi profondi da trasmettere, ma con delle vesti che mutano rapidamente».

«Hai parlato delle caratteristiche fondamentali della famiglia e della comunità. Quali dovrebbero essere?

«-In sintesi, la massima valorizzazione delle qualità e capacità degli individui che la compongono, ma sapendo creare anche uno spazio – di dialogo, di attività – da condividere tra più persone. Questo mette in moto valori di solidarietà, di libertà e di rispetto reciproci che altrimenti rischiano di rimanere compressi, inibiti».

«Credi che la vita in Comunità, magari in una Comunità che comprenda più famiglie, si possa porre come alternativa alla famiglia tradizionale?

«-Direi non alla famiglia tradizionale, ma alla famiglia “mononucleare” che c’è oggi. Penso che il futuro della famiglia si giochi proprio nella capacità o meno di entrare in relazione comunitaria con altre famiglie».

«Dacci uno spunto per prepararci al Natale.

«-Vorrei che dal Natale imparassimo un modo diverso di concepire la sofferenza. Non c’è nascita senza sofferenza, ma è anche vero che si può soffrire e non nascere. La sofferenza è una componente essenziale della persona, al punto tale che possiamo definire la persona, la maturità di una persona, proprio in relazione a come sa gestire la sofferenza: se sa investire il suo soffrire in sentimenti di vita oppure in sentimenti di morte. La nascita di Gesù è pensata nella Bibbia come la sofferenza di un Io che vuole partorirsi uomo. Tanto che S. Paolo dice che Cristo annientò se stesso facendosi simile agli uomini. Ed è proprio tramite l’assunzione di un modo diverso di soffrire che Cristo ha fatto una proposta rivoluzionaria».

Il giornale continua a riferire che… Non sarebbe generoso fare elenchi di merito, ché è evidente come la comunità viva di “individualità impastate” nella polifonia quotidiana della maturazione così dell’“io” come del “noi”. Resta però nel tanto di vita immateriale della comunità, e stilla dalle pagine del suo giornale di cronache e riflessioni, il passaggio di quelli che la Provvidenza ha voluto, per suo disegno inesplorabile, migrassero dai nostri affetti per volgersi, fidenti, a quel dialogo che la Scrittura chiama del «faccia a faccia» [...]

A poche settimane dalla Pasqua [1988], tutti i ragazzi sono chiamati ad esprimere impressioni e riflessioni su un grande quadro che Bolgeri, noto pittore algherese, amico della comunità, ha appena concluso per una chiesa. Fra i molti che si cimentano nella “critica”, anche Angelo, Roberto, Alessandro, tutti e tre destinati all’incontro con quel grande Cristo crocifisso e risorto da morte. [Ne scrivono sul giornale di Comunità del 28 giugno].

In una settimana 31 nuovi agnellini. I lavori del gruppo Muratura/Falegnameria, fra tetti, tramezzi e porte, e degli Animali, con parti record. Sul giornale di Comunità rispettivamente del 5 luglio e del 22 novembre.

(Alessandro P.). «Cronaca del settore Muratura Falegnameria. Ciao ragazzi, ecco che dopo alcune settimane di attesa siamo riusciti a trovare il muratore che metterà a disposizione tutta la sua esperienza per costruire l’ultima parte del tetto che manca alla nostra sempre più bella casa.

«Non v’è dubbio che questo lavoro ha una storica importanza per tutti noi, ma sicuramente è a beneficio di tutti coloro che ne potranno usufruire, e ovviamente anche per noi.

«Per portare avanti questa prima fase del lavoro, che consiste nell’eliminare tutte le tegole, le travi, e poi scoperchiare alcune stanze, per poi mettere tutti i muri a livello affinché si possa poi avere un unico piano per fare una prima gettata.

«Per portare avanti questa fase del lavoro richiede la collaborazione di un gruppo ben consistente, volenteroso e sereno soprattutto, i ragazzi che più vi stanno lavorando sono R. Pinna, Carlo, P. Frongia, Raimondo G, Alessandro R., Giorgio P., Raimondo Podda e Andrea.

«I lavori proseguono a gonfie vele, e a parere mio non manca la grinta e si respira a parte la polvere anche un po’ di serenità.

«Il nostro muratore si chiama Antoni ed è di Ittiri stesso paese di Franco il muratore che l’anno precedente ha fatto il primo tratto di tetto.

«Con lui per il momento ci sto lavorando io con Graziano, e visto la sua esperienza stiamo portando avanti dei lavori del tipo; il primo lavoro che abbiamo fatto è nella vecchia stanza del fuoco che dopo il nostro passaggio non è più vecchia, rimane solo da verniciarla. Poi abbiamo tirato su un tramezzo nel corridoio del piano delle ragazze, dove per il momento queste stanze sono state occupate da noi e tolta la porta della stanza di Salva la abbiamo installata lì, mentre nella stanza di Salva abbiamo messo un bel portoncino fatto dal falegname.

«Nella zona del fattore che ora ospita le ragazze abbiamo fatto alcune modifiche all’impianto doccia. Mentre nel terrazzo dove si accede alle mansarde abbiamo messo il battiscopa.

«Un altro lavoro che stiamo portando avanti è il bagnetto nuovo che sta nel piano delle ragazze.

«Il gruppo della falegnameria in questi giorni sta dando la prima mano di colore agli sportelloni.

«Per ulteriori sviluppi del nostro bellissimo tetto ci sentiremo alla prossima settimana.

«Dimenticavo il nostro fotografo Murru è già all’opera».

(Andrea). «Cronaca del settore animali. Sono molto lieto di poter far scivolare la mia penna su questo foglio per parlarvi di quanto è successo in questa settimana nel mio gruppo. Tanto per incominciare la nostra famiglia ovina sta crescendo giorno dopo giorno, nel giro di 7 giorni siamo passati da cinque a trentasei agnellini, suddividi in 20 maschietti e 10 femminucce. Novità di queste nascite è quella di poter annoverare tra le piccole creature sei parti gemellari. Sempre per questo evento la stalla è stata adibita ad un vero e proprio dormitorio, cosicché le nostre pecorelle possono dormir sul morbido e caldo letto fatto da fascine di fave e fieno.Con la nascita degli agnelli si è ripreso a mungere le pecore, di conseguenza il latte oltre ad averlo abbondante, è vario, avendolo anche di mucca. E’ riniziata la produzione del formaggio.

«Per quanto riguarda i suini c’è da ricordare la castrazione di Rin.tin.tin, ormai vecchio ed acciaccato, che lascerà il posto ad il nuovo verro scuola Pipere.

«Altri lavori portati avanti in settimana riguardano interventi in campagna, come falciare l’erba medica, passando dalla falciatrice alla falcetta, per un guasto alla prima citata. Ci siamo occupati anche della pulizia del vascone, che a causa di uno scarico troppo alto, abbiamo fatto con secchi e palette. Lavoro ancora in sospeso ma in prossimità della fine è quello del muro a secco, che anche questa settimana è cresciuto in altezza e robustezza.

«Ultimo impegno era quello dell’abbattimento dell’eucaliptus secolare, purtroppo a causa del brutto tempo non abbiamo terminato anche perché la nostra motosega non è molto adatta al taglio di questi alberi mastri.

«Anche se il nostro responsabile, Marco, era assente, in tutto il gruppo ho notato un certo impegno, nonostante bisogna stare attenti a piccole distrazioni, vedi cancelli lasciati aperti, o animali trascurati. Valido è stato l’aiuto di Roberto D. che ci ha dato una buona mano.

«Per quanto mi riguarda in questa settimana mi sono sentito molto appagato, soprattutto perché ho svolto lavori che avevo fatto i primi giorni in cui ero entrato. Più vado avanti e più il mio rapporto  con gli animali cresce, mi gratifica, mi aiuta sempre più a vivere in questa natura lontano da mille pensieri e problemi».

Estate 1989, In teatro, «Parlami d’amore». Felice cronaca dal palcoscenico e dalla platea. Sul giornale di Comunità del 29 agosto.

(Margherita T.). «Recitando insieme, cosa ci rimane. Questa domenica a S’Aspru c’è stato un notevole scambio di rapporti attraverso uno dei tanti canali che la comunità adotta per sfruttare al massimo le capacità di ciascuno: il teatro. Si è pensato di trascorrere questa domenica all’insegna dell’improvvisazione che fosse teatro “serio” o semplicemente un momento che accomunasse tutti noi nel proporci agli altri, alla comunità, e questo secondo me, è stato molto bello, vissuto da tutti e contemporaneamente utile.

«In particolare mi è piaciuto il coinvolgimento di ciascuno di noi, l’impegno nel proporre e nel proporci e quell’atmosfera di fratellanza ed unione che ho sentito nell’aria. Poi mi è piaciuto aver avuto l’occasione di poter proporre qualcosa con Raffaele che è della comunità di S’Aspru (io vengo da S. Mauro), e questo è stato bello poiché anche con un mezzo come il teatro, ho sentito ancora di più quanto è bello incontrarsi e rendersi conto in fin dei conti che tutti si sta lottando per portare avanti quel grande ideale che è quello di diventare persone e uomini.

«Non ho avuto difficoltà nel preparare un riassunto tratto da “Parlami d’amore” di Michel Quoist con Raffaele anzi ad entrambi è piaciuto lavorare su questo tema che per certi versi ci vedeva sicuramente coinvolti nel messaggio che Quoist manda in questo libro.

«E poi era anche la prima volta che misuravo e vedevo le mie capacità artistiche, e devo dire che ciò mi è piaciuto molto. Credevo che il teatro fosse una cosa triste e noiosa, invece, aver preparato la parte con Raffaele, esserci trovati d’accordo su certi spunti, ed aver recitato è stata un’esperienza che non solo vorrei ripetere al più presto, ma che pure mi è piaciuta tantissimo.

«Ecco, mi rimane un grandissimo senso di unione e di fondo sempre più la consapevolezza che si può stare bene ed insieme in maniera saggia, simpatica e divertente».

Arriva Daniele, tornano i teloni da Badesi. L’infaticabile gruppo dell’orto zappa e concima, spietra ed abbatte un eucaliptus, insacca le mandorle e smista la frutta, ripulisce la fonte di Bidda Noa ed i pozzetti, ma, soprattutto, accoglie Daniele come un fratello giovane-giovanissimo… Sul giornale di Comunità del 18 ottobre.

(Filippo). «Cronaca dell’orto.  Questa settimana per l’orto è stata abbastanza intensa di lavori. L’avvenimento che io ritengo più importante è l’entrata di un nuovo ragazzo. Si chiama Daniele è di Olbia ed ha la bellissima età di 15 anni. Daniele che però è entrato in comunità non per problemi di droga, ma di altro genere, è figlio della moglie di Giampiero Pieri. Daniele sta con Giuseppe e Leonardo e di conseguenza lavora nel gruppo dell’orto. Dunque al momento il gruppo è composto da 9 persone, ed è attualmente il gruppo più numeroso.

«Da questa settimana due ragazzi del nostro gruppo, che sono Giuseppe e Leonardo, stanno imparando a fare il pane.

«Come lavoro, nell’orto abbiamo finito di zappare e concimare i carciofi, dando anche una ripulita a tutto l’orto.

«Io e Tonino abbiamo rimesso in funzione lo stenditoio che sta sopra la cappella. Abbiamo risaldato e murato i ferri in cui verranno agganciati i fili.

«Poi con Angheleddu abbiamo buttato già l’Eucaliputs che stava di fronte alla casa, trasformandolo in legno per il caminetto.

«Giovedì mattina siamo andati a Badesi dove abbiamo caricato il gruppo elettrogeno i tendoni il frizzer e altre cose. E la sera abbiamo lavato i tendoni per poi asciugarli, piegarli e per bene e custodirli in un luogo sicuro.

«Siamo anche andati al terreno di Sau Vincenzo, terreno che ci viene lasciato al pascolo nel periodo delle stoppie, e al cui padrone abbiamo fatto il piacere di spietrarlo.

«Poi visto che abbiamo finito la raccolta delle mandorle abbiamo incominciato ad insaccarle, dividendole in amare e dolci, e sbucciate e non sbucciate.

«Venerdì mattina come al solito abbiamo fatto la pulizia di Bidda Noa. Il sabato invece abbiamo ripulito tutto lo stanzone delle patate e smistato la frutta, facendo anche le solite pulizie del sabato (pozzetti, stanza delle scarpe, stracco ecc) »…

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Trovo articoli firmati da Stefania Padroni su MappaMondo X n. 4/2000 (“E’sempre la mia casa: «Ho conosciuto S’Aspru durante la gita di Pasquetta del 1982…»), n. 5/2001 (“Qui San Mauro”), n. 1/2005 (“San Mauro tra passato e futuro. Ancora oggi è un punto di riferimento”), e ancora in altri numeri del prezioso periodico, mano tesa al pubblico per dare e raccogliere, anche per abbonamenti, in fraternità sarda.

 

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