“Dobbiamo far vedere a tutti che in casa nostra siamo padroni, non servi…”, GAVINO LEDDA
L’Interessante servizio de L’UNIONE SARDA sulla guerra in corso per occupare la pianura presso Decimoputzu.
L’UNIONE SARDA 21.08.2015 «Vogliono rubarci la terra e adesso usano pure l’infamia»
«Vogliono invadere la Sardegna con qualsiasi mezzo, ecco quello che penso io. E adesso cominciano a servirsi pure dell’infamia». Francamente, a leggere certi attacchi, viene da buttarsi a terra per le risate… «Io invece dico che vengono dette cose gravissime, oltreché ridicole. E credo che questo ci deve dare la misura di quanto grandi e spregiudicati siano certi appetiti riguardo al nostro territorio. Ma noi sardi dobbiamo essere padroni nella nostra terra: se la svendiamo, anche solo in minima parte, saremo destinati a diventare servi». Gavino Ledda è al telefono da Capo Comino, località marina della Baronia dove da qualche lustro trascorre le vacanze estive. Ha letto sì, la storia della società con sede a Londra e a Macerata che vorrebbe piantare 270 ettari di parco solare termodinamico nei pascoli di Villasor e che, perciò, vorrebbe cacciare via una famiglia di pastori resistenziali. Ha letto del fascicolo depositato al ministero dell’Ambiente dai continentali in doppiopetto. E che questi, per rinforzare la bontà del proprio progetto e screditare l’azienda agricola in questione, infilano una sciocchezza (un eufemismo, capirete) appresso all’altra sulla cultura agropastorale, l’allevamento delle pecore e la storia della Sardegna. Cose tipo che il benessere animale (normative europee e nazionali, pezzi di ignoranti) è qualcosa di «un’ipocrisia unica» visto che «gli agnelli vengono scannati barbaramente»; o che «la pastorizia sarda, da decenni ormai, non è in grado di stare sul mercato contando soltanto sulle proprie forze». Insomma, chi meglio dell’autore e protagonista di “Padre padrone”, romanzo universale come pochi altri, può pesare il senso di questa storia? A 77 anni Gavino Ledda è un uomo dalle molte vite: un’infanzia trascorsa all’ovile di Siligo, l’affrancamento grazie allo studio, la laurea in glottologia (con tesi sul lessico agricolo e pastorale), la cattedra di ricercatore, il ritorno alla campagna e in paese. Sullo sfondo il successo planetario di un libro (pubblicato nel 1975, lui aveva 37 anni) che ha venduto un milione e mezzo di copie, è stato tradotto in trenta lingue ed è uscito in 49 edizioni. Ha scritto altri tre volumi, poi, ma è quello il manoscritto che gli ha dato la fama e che ha spezzato per sempre il silenzio millenario che gravava sull’appartato mondo dei pastori sardi. Ecco, nel fascicolo presentato a Roma per promuovere il progetto del solare termodinamico, hanno dimenticato giusto quell’altra storiella: i pastori fanno l’amore con le pecore… (Prima di dar conto della risposta dell’intervistato, occorre avvisare i lettori che, dall’altro capo del filo, lo scrittore Gavino Ledda è un vulcano in eruzione). «Hanno scritto anche questa cazzata?». No, questa no, ma visto il tenore delle comunicazioni col Ministero, è un miracolo che non l’abbiano messa nero su bianco. «Roba da matti. Però questa società ha sede pure a Londra, no? Beh, sciocchezza per sciocchezza avremmo potuto rispondere che certe cose i britannici le hanno fatte prima di noi. Questo per dire che i pregiudizi, i luoghi comuni, sono sempre frutto dell’ignoranza». Sul punto, forse, è un po’ colpa del suo romanzo, dove descrive scene di iniziazione sessuale con le bestie… «Erano altri tempi. Nell’ovile non s’incontravano donne, e così uno se le inventava. Si colmava un’assenza, non era mica una deviazione sessuale. Lo è invece quella di chi, pur vivendo in città, non regge il confronto con una donna e fa l’amore con un animale contento di farlo con un animale. Ma, alla fine, sono questioni che non contano nulla. Bisogna ricordare invece che la pastorizia ha fatto la storia della Sardegna. Ha fatto i nuraghi». Il prezzo del latte è di nuovo buono, ma il comparto agricolo sta scontando la crisi… «E qual è il settore che non sente crisi, al giorno d’oggi? La pastorizia, e l’agricoltura in genere, vanno sostenute adeguatamente. La terra è l’unica vera ricchezza della Sardegna». E difatti fa gola a molti, soprattutto a chi vorrebbe occupare suolo con distese di pannelli solari e torri eoliche per speculare sui proventi d’oro garantiti dallo Stato. «È l’offensiva di chi ci vuole rubare il sole, il vento, il paesaggio. Di chi mira ad appropriarsi della nostra terra. Beni che dobbiamo difendere. Sa cosa penso? Che l’energia pulita non può essere appannaggio degli speculatori. La Regione dovrebbe bloccare certe iniziative e, allo stesso tempo, fare una legge che preveda un paio di pannelli solari sopra il tetto di ogni casa». Oggi i ragazzi non vogliono più fare il pastore… «Ma un ritorno alla campagna c’è. Ecco, io penso che i giovani debbano essere aiutati a comprendere e apprezzare il valore della terra. La terra è madre, è tutto». È anche assistita, no? I contributi europei sono una borsa pesante. «E allora? Mica arrivano solo in Sardegna. Vero è che la Regione dovrebbe sostenere l’agricoltura e la pastorizia: altre risorse vere, sicure, qui non ce ne sono. Abbiamo tutto perché abbiamo la terra. Per questo non dobbiamo farcela rubare». Adesso su progetti come questi può decidere Roma. «Non esiste. Stanno provando con ogni mezzo a invadere la nostra isola, ma noi sardi siamo cittadini d’Europa e cittadini del mondo. Dobbiamo far vedere a tutti che in casa nostra siamo padroni, non servi».
L’UNIONE SARDA – Ambiente e territorio : «La pastorizia? Inutile e barbara»
20.08.2015
Solare è bello. La pastorizia, invece, in Sardegna «ha ostacolato lo sviluppo», «non è in grado di stare sul mercato» e ha «una struttura produttiva così fragile, e il prodotto che esita è così elementare, che senza le stampelle del pubblico denaro è impensabile la sua sopravvivenza». Ma il mondo delle campagne sarde, per convincere tutti, «ha schierato i suoi cantori, diffuso miti e bugie», «perché pecunia non olet». Quegli agnelli, poi, che si vogliono far crescere in un ambiente naturale («che in Sardegna non esiste da almeno due millenni») non sarebbero che una scusa di «una ipocrisia unica», perché «vengono scannati barbaramente». Posizioni della Flumini Mannu Limited, firmate dal rappresentante sardo Luciano Lussorio Virdis, riportate nei documenti ufficiali depositati al ministero dell’Ambiente per difendere il progetto del gigantesco impianto solare termodinamico che la società, con sede a Londra e a Macomer, vorrebbe realizzare nelle campagne tra Decimomannu e Villasor. Una spianata di specchi per la produzione di energia che dovrebbe svilupparsi su 270 ettari, con un investimento di 200 milioni di euro. Un progetto che non piace a molti, nemmeno in Regione, sul quale a Roma è in corso la valutazione d’impatto ambientale. Gli oppositori depositano carte di contestazione, la Flumini Mannu replica. Nel faldone ministeriale ti aspetti solo complesse disquisizioni tecniche. Invece ecco gli attacchi personali, il giudizio con la clava sulla tradizionale pastorizia sarda e sulla sua economia. Tutto in nome del progresso e, stando alla posizione della società, contro chi si rifiuta di accettare l’impianto per raschiare qualche soldo in più dalla cessione dei terreni. Anche se spunta un parere del Corpo Forestale, che bolla come «esilaranti» certe tesi targate Londra-Macomer. LO SCONTRO All’inizio era Davide contro Golia. Da una parte la famiglia Cualbu, proprietaria di molti ettari che nei progetti dovrebbero essere coperti dall’impianto, dall’altra il colosso dell’energia. La Flumini Mannu vuole prendere in affitto le aree per 30 anni, i Cualbu non intendono cedere nemmeno una zolla. Dalla fine del 2013, con l’inizio della procedura per la Via ministeriale, lo scontro si fa duro. Negli uffici di via Colombo, a Roma, iniziano a piovere le carte. La posizione della società è netta: il solare termodinamico è la fonte di energia del futuro e lo dice anche l’Europa, non inquina, è silenzioso. L’impianto, inoltre, deve sorgere su terre praticamente sterili, erose, poco sfruttate. I proprietari replicano che lì campano da decenni, che il progetto danneggerebbe l’economia del territorio, ma non solo: nella zona ci sono importanti aziende casearie, che godono dei marchi Dop e Igp e avrebbero solo svantaggi. Osservazioni e controdeduzioni, protocollate al ministero, si fanno sempre più velenose. Mentre sul fronte dei Cualbu arrivano enti pubblici, come Regione, Forestale, Soprintendenza, ma anche Coldiretti e altre associazioni, del settore e ambientaliste: tutti critici. E Golia si scaglia contro tutti, a testa bassa. LA SOCIETÀ Le repliche prendono di mira il sistema. Chi parla di danni all’agricoltura e pastorizia, descrivendoli come settori fondamentali nell’Isola, «traccia un quadro non realistico», scrivono dalla Flumini Mannu Limited, «fatto di evidenti sopravalutazioni di attività che sopravvivono solo grazie a una pluriennale e costante assistenza finanziaria regionale, nazionale e europea». Una palla al piede, insomma. Al contrario del progresso energetico fatto di distese di pannelli curvi. I Cualbu, poi «hanno solo due dipendenti». Altro che «fulgida azienda». La società riporta anche numerosi comunicati delle associazioni di categoria, che nel denunciare le difficoltà delle campagne avallerebbero la sua tesi. In terre aride come quelle interessate poi: così le descrive, allegando delle foto. Ma la Forestale, a febbraio scorso, smonta la tesi. Non si capisce da dove siano scattate e, su trivellazioni che sarebbero state effettuate, non vengono fornite coordinate: «Siete entrati abusivamente nei fondi?», si chiede la Forestale. Che tranciante, aggiunge: «È tutto francamente esilarante».
L’UNIONE SARDA – Politica: Flumini, tutti contro il solare
21.08.2015
Il progresso è una distesa di pannelli solari, agricoltura e pastorizia sono attività morte che soccombono, come l’ambiente, davanti all’energia pulita. Ma, a quanto pare, c’è chi non la pensa così: «Dichiariamo la nostra totale contrarietà alla realizzazione dell’impianto. La società ha inserito a nostra insaputa i nostri terreni nell’area dell’opera e ha presentato il progetto al ministero senza nemmeno avvertirci». Firmato eredi Pibiri di Villasor, proprietari di alcuni ettari di terra sui quali la anglo-italo-sarda Flumini Mannu Limited vuole costruire un grande campo solare termodinamico. Il documento, datato febbraio 2015, è una delle numerose voci contrarie al progetto: fa parte del faldone depositato al ministero dell’Ambiente che deve decidere sulla valutazione d’impatto ambientale. Un piano che non piace a molti. FRONTI OPPOSTI Comuni interessati (Villasor e Decimoputzu), Regione, ambientalisti (Gruppo d’intervento giuridico, Legambiente), associazioni di categoria (Coldiretti, Confagricoltura, Copagri), Consorzi di tutela (dell’agnello Igp, del pecorino romano), padroni dei terreni (oltre ai Pibiri anche un’altra famiglia, i Cualbu), università di Sassari: tutti hanno scritto al ministero per chiederne la bocciatura. Sull’altro fronte c’è la società, sedi a Londra e Macomer, che usa tutti gli argomenti possibili per difendere l’investimento da 200 milioni su 270 ettari, per 30 anni e forse più. Anche gli attacchi alle tradizioni agropastorali dell’Isola, con i loro «agnelli barbaramente scannati», la sopravvivenza solo grazie ai soldi pubblici, i miti creati ad arte: queste le tesi. «Tanto vale immaginare per il popolo sardo – scrivono dalla Flumini Mannu Ltd – un futuro alternativo valorizzando importanti competenze industriali ancora presenti». Anche la Corte costituzionale la penserebbe così: «La Consulta – afferma la società – ritiene lo sviluppo del settore agricolo, al pari dell’ambiente, un settore soccombente rispetto a quello delle energie rinnovabili». CONTESTAZIONI Nel fascicolo ministeriale ci sono 119 documenti. Oltre ai dettagli del progetto, molte osservazioni (tutte contestazioni) e le repliche dei proponenti. La Regione, che ha perso in favore di Roma la competenza sulla decisione finale, a febbraio dà parere negativo. Scrive: la società non ha la disponibilità di parte delle aree su cui vuole lavorare, alcune demaniali. Ci sarebbero contraddizioni nella descrizione dell’impatto sui terreni: all’inizio la Flumini Mannu aveva definito non necessaria la bonifica ma poi, spiegano in Regione, sarebbero spuntati alcuni ettari che verrebbero compromessi dai pannelli. La proposta alternativa è: andate a Ottana, non disturbate nessuno. Quelle che vengono definite «terre improduttive» avrebbero invece «un’elevata vocazione agricola». Il Comune di Decimoputzu, a gennaio, pone un altro problema: le carte rivelano un fabbisogno d’acqua, per gli impianti, di 50mila metri cubi annui. In realtà, notano dal municipio, all’Enas è stata chiesta «disponibilità per il triplo, 150mila metri cubi». In più, per i tecnici comunali, la Regione aveva già detto no a un progetto simile nella stessa zona: perché questo dovrebbe avere il via libera? Associazioni di allevatori e ecologisti sottolineano la ripercussioni negative dell’impianto sulle aziende della zona e sulla filiera. Esempio: la decennale attività della famiglia Cualbu, che al ministero si rivolge attraverso l’avvocato Stefano Porcu e non vuole mollare neanche un centimetro di terra. Posizione ribadita a maggio in una lunga lettera. LE REPLICHE Chi si oppone è contro il progresso o in malafede: è l’estrema sintesi della posizione della Flumini Mannu Ltd, firmata dal rappresentante sardo Luciano Lussorio Virdis. Che vede la realtà all’opposto: i Cualbu, sostiene, vogliono solo spuntare qualche soldo in più per cedere i terreni. A favore dell’investimento ci sarebbe poi la carta dell’esproprio per pubblica utilità (tesi giuridica smentita dal legale dei Cualbu). L’impianto poi non inquina e produce tanta energia pulita. Ottana non va bene: zona industriale troppo urbanizzata. E rimbalza il solito argomento: 2.000 posti di lavoro nel periodo del cantiere, 200 a regime, un sacco di soldi (anche giapponesi e sauditi, per un miliardo) per il territorio. Perché di agricoltura e pastorizia non si può più vivere. Pare.