La chiesa cattolica e la sfida del dialogo, di Alberto Melloni

Visione Per il futuro dell’Italia è sempre più necessaria una «politica ecclesiastica» nuova. Aiutare il governo vuole dire soprattutto tenere insieme le coscienze e scuoterle.

Con i parametri classici dei «rapporti stato-chiesa» non si riesce a capire nulla delle scintille scoccate sul confine fra società politica e cattolicesimo italiano in questi giorni: che non è collocato sul Tevere, ma nelle strade, nelle coscienze, nelle culture, nei territori.

Mons. Galantino strapazza i leghisti e, come l’esorcista quando costringe il male a dichiararsi ontologicamente tale, ottiene una risposta di inusitata arroganza: e come capita alle ministre insolentite in Aula da rivoltanti grevità, non trova chi solidarizzi non con lui, ma con il ramingo, la cui sacralità solo Sodoma aveva osato bestemmiare. Poi un pasticcio giornalistico forse casuale rivela che il presule incolpa il Governo (e il Parlamento?) dell’assenza di leggi che diano ai rifugiati una possibilità di vita e non il destino di un peso morto da occultare nelle diocesi e nelle Regioni: e il Pd, anziché badare al contenuto, protesta con grigiore contro un presule «ingeneroso».

Nel frattempo molti cardinali denunciano la «teoria del gender», come se non sapessero che una «cultura del genere» è comunque all’opera nelle relazioni e che, senza teorie, ogni società adotta, insegna e rende giuridicamente operante una «cultura di genere» che o è fatta di eguaglianza o fatta di quella sottomissione, che non è «tradizionale» ma anticostituzionale dopo la Pacem in terris perfino anticattolica. In mezzo una curiosa tesi dell’ Unità che dipinge Francesco come un nuovo Pio X e il silenzio di Renzi, più prudente oggi di quando un anno fa accusò la presidenza Cei di essersi «abituata male».

Sullo sfondo il dibattito sulle unioni civili in vista del quale si affilano le lame per molti duelli -nella chiesa, nella destra, nella sinistra. È infatti evidente che normare una forma intermedia di relazione fra convivenza e matrimonio, dotata di caratteri capaci di soddisfare la (sacrosanta) istanza di eguaglianza delle persone omosessuali è o necessario o inevitabile.

Il Papa ha parlato delle convivenze come un fatto pastorale, ricevere una coppia di trans, dichiarare per bocca di Galantino non prioritaria (e dunque non dirimente) la norma sulle unioni, ha già sdrammatizzato un passaggio che la destra sogna di poter agitare per darsi un’anima o farsene prestare una dal conservatorismo cattolico. Chiedere di più sarebbe ingenuo: se dunque ci saranno riserve su un punto o sull’altro dovranno essere ascoltate senza mai usare lo stilema «discussione sì – ricatti no», che per la chiesa è un ricatto.

Quel passaggio, però, sarà anche l’occasione, dentro il cattolicesimo, per cercare di frenare in nome di temi etici la dottrina di papa Francesco sul povero come principio cristologico ed ecclesiologico. Sono pochi i vescovi italiani iscritti al «partito della flemma», che aspetta che questo papato passi; pochi quelli che, obbedienti a loro modo alla chiamata alla parresia di Francesco, lavorano per mandare il papa in minoranza al sinodo. I più si dividono sul ruolo d’una chiesa del Vangelo in una società pluralista: cercare mediazioni pragmatiche (che pure esistono)? Usare il proprio peso per guadagnare privilegi (che pure ci sono)? O far sentire sulla vita lo sguardo sanante di Dio in Cristo?

Sul lato politico la sfida è simile. Chi conteggia gli sgarbi di Galantino o spera di trovare alle sue spalle mediazioni o mediatori, non si rende conto che finché non lo caccia alle sue spalle c’è il papa e che all’Italia serve una «politica ecclesiastica» nuova. In un paese nel quale la disgregazione cresce con rischi incalcolabili, la chiesa cattolica non aiuta il governo se ne «parla bene», ma se tiene insieme le coscienze e le scuote. Se il pluralismo religioso, oggi normato in una dozzina di organi impermeabili, è parte della geografia, della storia e del futuro dell’Italia non ci si può accontentare della ripetizione di simpatiche cortesie interreligiose o del reperimento di «moderati» con cui parlare del più e del meno. Serve una visione: la serietà con cui la chiesa cattolica ha fatta sua la pace fra le culture e il dialogo fra le fedi è la misura per chiunque si deve (deve) misurare con questa sfida.

Il corriere della sera 15 agosto 2015

 

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