«Il mondo nello zaino», in un libro la vicenda di vita di Piergiorgio Pasolini, di Gianfranco Murtas

 

E’ appena uscita in libreria ed edicola la testimonianza, umana e civile, di Carlo Nieddu Arrica che rende onore, da amico, all’avvocato cagliaritano che nel 1997 fu vittima di un gravissimo incidente in occasione di una sua visita esplorativa in un deserto australiano, rimanendo da allora e fino alla morte, avvenuta nel 2010, completamente paralizzato.

 

 

 

 

 

 

 

Sotto l’influenza astrale del segno del Leone, come si dice per trovare nelle convenzioni giustificazione alle convinzioni. Per dire di lealtà e generosità che sono lì, non un complimento postumo, ma un dato di fatto evidente che è giusto e bello richiamare e proclamare. Per dire anche di un dinamismo, di uno spirito quasi ipercinetico, insieme istintivo e razionale, mosso dalla necessità interiore di una conoscenza del mondo sempre più larga. Per trovare nel mondo quegli altri pezzi di se stesso, s’è detto press’a poco volendo spiegare un pensiero fattosi azione in vista di ricreare, nelle pause professionali, le energie della mente e dello spirito, nel blocco unico di corpo e anima. E per ricomporre così, nelle dimensioni espanse e varie di meridiani e paralleli, più ancora che nelle sequenze temporali di un prima e di un dopo, un senso identitario, il senso di sé, e forse, chissà, i perché religiosi di una missione laica, laicissima, nella quotidianità delle relazioni.

Il 12 agosto, come oggi, fu il giorno in cui lo avemmo, cagliaritani, a Cagliari, Piergiorgio Pasolini, e l’anno era il 1950. Uno degli anni santi, forse quello più marcato di ideologia confessionale, fra i molti della secolare successione, anche fra quelli relativamente recenti, cioè di prima e di dopo la guerra, della quale nel 1950 restava, in città, l’eco materiale nel mezzo della velocità e anche del disordine della ripresa sociale ed economica. Venne in una famiglia importante, colta, rispettata, quella benedizione. E vennero poi gli studi e le regole del collegio, l’officina del carattere fiero, orgoglioso non fazioso, fra i preti, e venne poi ancora quel tanto altro che avrebbe riempito le giornate e gli anni, nel mix permanente di studio ed esperienza, dentro il suo tempo che era anche il mio e di molti di noi. La formazione, la cultura – bella cultura giuridica ed umanistica – e la professione di avvocato, le soddisfazioni, lo sport con qualche scaramanzia giocosa essa stessa, virtuosa non viziosa. I viaggi, quanti viaggi! per il mondo intero, veramente per meridiani e paralleli, come seguendo un dizionario degli opposti e contrari, o delle alternanze geografiche fra gli zenit e i nadir del globo perso fra le costellazioni del cielo, per avvicinarsi al tutto, al pieno, con il rischio perfino di incontrare Dio – il Grande Architetto dell’Universo avrebbe detto lui – mestieroso non misterioso. A chiudere il ciclo – nel mezzo agosto del 1997 – un incidente tragico nel deserto al nord dell’Australia, e la morte che allora si fa presente accompagnando, anzi mordendo, la vita, la sua vita vitalistica ma sempre pensosa, mai saccente per buona figura, per tredici lunghi anni.

E’ d’una mattina dei primi di dicembre del 2010 la scena d’impressione d’un amico artista, sapiente d’arte cioè, che l’ha voluta adesso condividere, e merita perciò gratitudine. «… immaginai che fosse partito per l’ennesimo viaggio, a svernare in qualche isola ai tropici, come usava fare solitamente, pieno di entusiasmo e fiduciose chimere, sfuggendo ai primi freddi, col suoi zaino azzurrino. Quel bozzolo avvolgente che lo aveva tenuto prigioniero del suo stesso corpo, vulnerabile, sconquassato, finalmente si era schiuso. Ora tornava libero, come libero aveva sempre vissuto». La notizia del lutto prendeva i toni della liberazione. Il sogno dolce di chi lo aveva amato, amico gemello, che troppo anche lui aveva sofferto, giorno dopo giorno, per quasi cinquemila giorni tutti uguali e si regalava anche lui adesso, finalmente, spazi e colori di vita, convertendo la lunga oppressione in una… mesta euforia.

Come una tela delle tante che ha dipinto e presentato al suo pubblico, ma forse la più preziosa, è questa sua tela di parole, di immagini raccontate. E’ la pagina di diario che inventa una sintesi delle emozioni di un lungo prima nell’atto di trasformarsi nella liberazione della morte, o che la morte può portare in dote, la migliore delle doti, alla vita offesa. Le emozioni in conversione, nuove dunque ma forse prefigurate, chissà quante volte, nei momenti più duri della infermità che ti tocca e squassa anche se non ne sei la vittima prima: emozioni nuove quando ti dicono che tutto è finito e sembra che ormai hai un credito verso Domineddio, che Domineddio dovrà pur pagare se è onesto. E lo si sa onesto. Emozioni in conversione, quando ti dicono che l’amico con il quale sei cresciuto da ragazzo, con il quale hai condiviso le stagioni delle età in avvento veloce, e gli esami all’università, e la professione in boccio e in sviluppo, e il giro largo e selettivo delle intimità sodali, e le passioni, anche quelle del vivere pieno da estremo a estremo del pianeta, sì… quando ti dicono che quell’amico è morto e lo rivedrai soltanto, nell’affollamento plenario, il giorno del giudizio. Quando ancora ripensi, stremato, a quei quasi tre lustri trascorsi, nel concreto, da Piergiorgio come «uno straccio inzuppato», come in una dimensione «sgozzata», «dissestata», «sgualcita». Soltanto gli occhi a dire allora, mobili e forse interroganti, di una permanenza resistente eppure sterile nei passaggi del calendario.

Carlo Nieddu Arrica ha scritto, con il tratto letterario dei migliori, un capolavoro di umanità evocando la sua consuetudine di vita con Piergiorgio Pasolini, il protagonista assoluto di Il mondo nello zaino, appena uscito per i tipi della GIA editrice e con una pagina di introduzione illuminante di Alessandra Medesini. Un testo relativamente breve – 132 pagine di formato piccolo – ma pieno di colore, di colori, di segni interpretativi di una vita di qualità alta, e stroncata anzitempo nelle sabbie del quinto dei continenti, a bordo di una jeep che doveva dar gambe alla esplorazione ennesima della serie, ai confini del mondo. Come in una mostra di quadri, pezzo dopo pezzo – quando ogni pezzo è unico –, racconta i viaggi il libro di Nieddu Arrica: i viaggi fino a quello australiano – tempo programmato quaranta giorni – e fino al ricovero in un ospedale di Perth, per le prime previsioni nefaste. In sequenza cantano prima Katmandu e Bali, Rio de Janeiro e San Juan Chamula, Barcellona e Catagena, Delhi e Havana e Parigi, precisando che ogni nome è avamposto o spia di un aggregato assortito di montagne e deserti, foreste e fiumi, templi  e spiagge, villaggi della prima età e città moderniste o postmoderne. Nel mezzo Villasimius (Cala Molentis, Campu longu…, fra occasionali discettazioni di teologia religiosa e teologia laica) e Capo Pecora nell’Iglesiente più suggestivo, oltre le tracce dell’archeologia punica.

Sono sapide descrizioni del mondo, delle sue varietà e variazioni, delle sue modalità e dei suoi umori negli impasti d’ambiente ed umanità, con un fraseggio d’artista, impressionista, quelle di Nieddu Arrica che sempre punta ad innalzare, unico e speciale, Piergiorgio, amico gemello…

Le pagine iniziali raccontano il passaggio dalla adolescenza alla prima giovinezza di Piergiorgio e anche del suo biografo e degli altri, della generazione che, giusto a ridosso della rivoluzione contestativa, in sedicesimo anche in Sardegna e a Cagliari soprattutto, incrocia modelli di costume, gusti musicali e artistici, vocabolari valoriali che aprono una nuova era nello spirito pubblico e nella politica, nelle relazioni sociali e negli stessi rapporti fra le nazioni, fra l’est e l’ovest, fra il sopra e il sotto del mondo. Sullo sfondo la guerra del Vietnam e i movimenti pacifisti d’America e d’Europa, l’happening rock nell’isola di Wight e i brani della Baez, di Bob Dylan e poi magari degli Inti Illimani, i concerti dei Doors e dei Led Zeppelin, i saggi di Marcuse, i versi di Ginsberg, le pagine di economisti come Sweezy e Baran con i fari accesi sulle logiche capitalistiche ed i processi del potere monopolistico in capo alle fameliche multinazionali e alle forme nuove del colonialismo mondiale. In Italia docet un moralista come Pier Paolo Pasolini, sfida le statue di sale un teatrante come Dario Fo, aprono filoni nuovi i film di Zurlini o, in tutt’altro campo, le provocazioni di uno Schifano o un Piero Manzoni… In Sardegna ed a Cagliari è il tempo dei sogni in scena di Pierfranco Zappareddu, delle proiezioni del cinema d’essai, delle sceneggiature della cooperativa Teatro di Sardegna     (e di Masala e Ruju), degli articoli di Alberto Rodriguez professore di jazz… E’ il tempo di maturazione o di nuove abilità nella misurazione del mondo, prima per intuizioni, poi per esperienze sempre più trasversali e complesse.

E intanto sono gli esami a Giurisprudenza, esami da preparare insieme da Carlo e Piergiorgio, più spesso in casa di quest’ultimo, nella sezione di quella Gallia domestica destinata ai maschi, con «un cesto da pallacanestro appeso ad un muro, le sbarre incastrate per esercizi a corpo libero, qualche scarpa da tennis e palloni. Da calcio e da basket». Successivamente fanno da supplemento le reliquie della iconografia automobilistica, motori e carrozzerie, potenza ed eleganza. Tracce di un vitalismo rafforzato e arricchito, non contrastato, dalle prove estive nei campi di lavoro in Francia, in agricoltura soprattutto, pro missioni di qualche lega religiosa e pro ospedali. L’internazione giovanile europea a favore dell’Africa nera,le  fatiche educative e formative di un’adolescenza in viaggio verso la giovinezza, durante o dopo gli anni del collegio e anche i conflitti con qualche religioso esaltato padrepadrone.

Gli anni dell’università, in quella prima parte del decennio segnato in Italia dalle stragi fasciste e dal terrorismo brigatista, segnano un balzo in avanti, nella focalizzazione degli interessi prevalenti e dunque anche delle future scelte di vita professionale. Sono i libri più delle lezioni a dare energia all’intelligenza ricettiva: «mattone dopo mattone, andammo a costruire un castello di mentalità, cultura e conoscenze che avrebbero pesato nel nostro futuro. Quella formazione di quattro, cinque anni avrebbe influito anche sul nostro modo di essere, sul modo di vedere la vita, la società. Sicuramente perché lo avevamo scelto, quel corso di studi si dimostrò avvincente: dal diritto costituzionale alla storia giuridica sarda, al penale, tutto ci interessava e portava a discutere. Lo studio dei libri di testo, ma sarebbe più giusto parlare di incontro, era spesso coinvolgente. Certi erano meramente strumentali, procedurali, da mandare a memoria. Altri introducevano in un mondo dove non c’era una verità ma tante. A seconda della teoria che abbracciavi, della corrente di pensiero – magari antitetica l’una all’altra – potevi giungere a conclusioni assolutamente differenti. Questione di ermeneutica. Una metafora della vita. Bisognava imparare a valutare il tempo che influisce sugli atti giuridici, come sulla vita degli uomini, determinando termini, usucapioni, prescrizioni…».

Inizia l’attività professionale dopo la laurea, apre uno studio legale in proprio, condiviso magari per tot tempo con un amico cinefilo competente e appassionato, troppo appassionato, quasi invasato, appassionato studioso anche di psicologia giuridica e criminale, i libri ordinati dietro la scrivania disordinata, e un giorno una revolverata, nello studio deserto, a finire una vita appassionata e inquieta. Un addio, come tanti altri, tutti ugualmente e diversamente dolorosi.

Verrà un giorno da dover contare, su un calendario bianco, le ritrazioni, le assenze venute in successione,  i lutti dolorosi e oltraggiosi: così sarà per Gianna, dopo quella volta di mezzo gennaio, al Poetto, quand’era apparsa bella come la Sonia Petrovna del cinematografo…, così per quanti altri! «per Carlo il conte, avvocato e raffinato intenditore d’arte ed argenti antichi, e per Gigi, avvocato dello Stato, un talento naturale per il diritto, e per Chicco, esperto tributarista e per Marco, avvocato e mediano incontrista, sempre ad inseguire i suoi ritardi…». Mi colpisce, fra gli altri, il richiamo a Gigi Dessì: i nomi di entrambi apparvero sulla stampa chiacchierona a proposito dei piedilista delle logge giustinianee sarde, e si fece, da perditempo, nel 1993, soltanto chiacchiera pettegola. Essi erano invece, Pasolini e Dessì – iniziati insieme, il 9 giugno 1986, fra le colonne della loggia cagliaritana numeri 981 dantesi il titolo distintivo di “Sardegna“ per non sottaciute ambizioni identitarie ma per espansioni cosmopolite in logica glocal – dei numeri uno per intelligenza e cultura, scrupolo e sensibilità nell’ascolto, gusto compositivo… Certo diversissimi per mille aspetti, pari nella lealtà e nella generosità anche nelle situazioni difficili.

 

 

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