Don Tonino Cabizzosu, quarant’anni di presbiterato speso fra comunità di popolo e di studio, di Gianfranco Murtas

E’ nella lunga stagione del calendario civile ed anche religioso che va dalla solennità dei santi Pietro e Paolo a quella della Vergine Assunta, che la tradizione della Chiesa latina concentra – pur senza vincoli assoluti – le ordinazioni presbiterali nei vari territori diocesani del mondo. E i giubilei si sprecano anno dopo anno, ed è bello così, per chi ci crede. Dico: crede al valore della ministerialità, o della ministerialità in una società ecclesiale ispirata da una Parola spesa duemila anni fa (e tante volte dimenticata, talaltra rivivificata ogni giorno) e costruita con genialità e cinismi, sempre fra mille contraddizioni, dalla storia degli uomini.

Anche da noi, anche nella cerchia delle nostre amicizie personali, qui in Sardegna, siamo chiamati a partecipare a festeggiamenti giubilari. E quest’anno poi! E’capitato pochi giorni fa di abbracciare, dalle pagine di questo sito (per pubblica testimonianza) e per il suo cinquantesimo di messa, don Angelo Pittau – personalità eminentissima del clero alerese e sardo tutto intero, prete credente amico di Giuseppe Dessì, teologo/sociologo di militanza evangelica ed umanistica nel Vietnam della guerra lontana e poi manovale e contadino nell’emigrazione sarda a Lione ed a Torino prima delle invenzioni di parrocchie e comunità e centri d’ascolto  e cooperative sociali e giornali d’impegno dialogico nella sua terra mai abbandonata… Tocca oggi a don Tonino Cabizzosu, presbitero che celebra giusto il 2 agosto non cinquanta ma quarant’anni di servizio fra comunità di popolo, nella Sardegna del nord, e comunità di studenti e di studiosi, nella facoltà Teologica di Cagliari o nelle fatiche (ora smesse) dell’Archivio storico diocesano del capoluogo regionale.

Prossimità ideali e di sentire civile e religioso in un unico impasto ci hanno unito nel tempo, fedeli entrambi – per dire della storia ecclesiale (ed ecclesiastica) ma anche civile e politica della nostra Sardegna – al magistero di coraggio di un canonico Tommaso Muzzetto, il vicario capitolare tempiese che raccolse le firme dei suoi confratelli, nel secondo Ottocento, per invitare Pio IX a rinunciare spontaneamente al regno teocratico (e relativa ghigliottina con relativo boia sul palco romano), e raccolse poi la vendetta della curia papale per tanto ardire evangelico…

In una bella intervista raccolta da Andrea Giulio Pirastu per il mensile salesiano Vocifraterne (cf. n. 2/giugno 2015), don Cabizzosu ha evocato tempi e modalità della sua formazione, inclusa ovviamente, e soprattutto, la fase dell’istituto lanuseino e poi di quello romano di Mandrione, fino al ritorno in Sardegna, al seminario regionale di Cuglieri e poi (dal 1971) di Cagliari. Una stagione – quella degli anni ’60 e primi ’70 – che meriterebbe, che merita anzi, una raccolta ordinata di testimonianze ed una elaborazione di studio, di analisi, per definire e comprendere meglio la tipologia umana e anche religiosa e clericale di tanta parte del presbiterio  ancora attivo nelle dieci diocesi isolane con incarichi tanto spesso di grande responsabilità, e con cui abbiamo, per mille ragioni, a che fare ogni giorno. Perché si tratta di un passaggio storico di straordinaria vivacità, quello di costanza del Concilio Vaticano II e di aggiornamento o nuova sistematizzazione postconciliare, nel mezzo delle ambivalenti applicazioni, nel vivo dei territori diocesani, dei deliberati dell’assemblea ecumenica.

Proprio don Cabizzosu ha scritto di quella stagione di travaglio e sviluppo della Chiesa sarda, riportando sì la ricchezza della propria esperienza personale ma anche azionando tutte le sapienze e abilità dello storico formato dalle migliori scuole della storiografia ecclesiastica (nelle quali rientrano nomi eccellenti come quelli di Giuseppe De Luca e, più recenti, di Giacomo Martina). Ne ha scritto in diversi saggi (cf. fra l’altro, per alcune premesse di quel che sarebbe stato il dopo, “Il Seminario regionale di Cuglieri 1927-1971: sviluppo, crisi e rinnovamento”, in Theologica e Historica, XVI, 2007 ed anche, in parallelo, “Alcuni aspetti dell’insegnamento teologico a Cuglieri dal 1927 alla vigilia del Vaticano II”, in Iuventuti docendae ac educandae. Per gli ottant’anni della Facoltà Teologica della Sardegna, curato insieme con Luciano Armando, Cagliari Aisara, 2007) che, nella rilettura ordinata di tutta la sua vastissima produzione cui mi sono impegnato per la fine di questo 2015, spero di poter evidenziare per la originalità delle chiavi interpretative. Soprattutto ne ha scritto in una sorta di quaderno-di-vita, insieme giornale dell’anima e agenda di memoria e di continua preghiera interrogativa, gioiello di confidenze, cui ha lavorato nel suo 25° di messa (anno 2000) ma esitato poi nel 2008: Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo.

Queste dedicate in particolare alle permanenze di studio a Cuglieri ed a Cagliari, fra 1967 e 1975, sono pagine fra le più dense di tutto il libro, che è tutto godibile, in verità, nella scansione dei ventitrè capitoli contenuti fra la premessa ed introduzione e la fitta appendice documentaria.

Sono gli anni, quelli della formazione liceale e teologica che vedono don Cabizzosu non soltanto studente della facoltà, ma interno a quella che l’indimenticato, meraviglioso amico don Efisio Spettu chiamava “comunità educante”: il seminario regionale cioè, che l’episcopato disastroso (con l’annessa disastrosa presidenza della CES) dell’arcivescovo Mani ha scriteriatamente e gravemente ferito negli anni recenti.

Quelli che ricorda don Cabizzosu, nelle preziose pagine di testimonianza autobiografica, sono soprattutto gli anni del rettorato di don Ottorino Pietro Alberti, fra 1971 e 1973, ancora docente alla Lateranense e prima della sua promozione alle cattedrali di Spoleto e Norcia, che marcano l’affrettato sradicamento del seminario dallo splendido isolamento del Montiferru e il suo nuovo complesso e complicato impianto a Cagliari: città certamente provocatoria per le iniziative politiche, associative o universitarie compresenti nel suo catino post-68, ma anche esplosiva per le tante ragioni sociali – si pensi soltanto alla sorte del borgo Sant’Elia o a certe sistemazioni urbanistiche e sociali fra CEP, Is Mirrionis e San Michele – cui la inadeguatezza del ceto amministrativo impediva comprensione e savia gestione. Con una Chiesa – quella allora governata dal cardinale Sebastiano Baggio, certo meno imperiosa e più dialogica, nei settori di gerarchia, di quella di monsignor Paolo Botto – incapace anch’essa di quei recuperi di radicalità evangelica che invece dalle sparse stanze del seminario erano giovanilmente invocati.

Comunione e liberazione, autoreferenziale fin dall’inizio e noiosa nel suo banale spirito democristiano, ed i Cristiani per il socialismo, dall’altra parte, certamente più compromessi con i marginali ma con condizionamenti dottrinari non sempre costruttivi, costituivano forse i corni della luna sociale-laicale della Chiesa cagliaritana che accompagnò, ponendo problemi e inserendosi nel taccuino dei giudizi di valore e di impegno, il giovane don Cabizzosu fino alla ordinazione nella parrocchiale della sua Illorai, per le mani del metropolita di Sassari e amministratore apostolico nella diocesi di Ozieri, monsignor Paolo Carta, il 2 agosto 1975.

A seguire le prime brevi esperienze di parrocchia a Berchidda, la patria del grandissimo don Pietro Casu ma anche di don Giuseppe Ruiu, discepolo e continuatore di don Pedru. Gli studi e la specializzazione quadriennale alla Gregoriana, il corso all’Archivio Segreto Vaticano e quello alla Biblioteca Apostolica Vaticana, il rientro nell’Isola, con il servizio nella pastorale giovanile ad Ozieri (essendo vescovo monsignor Giovanni Pisanu) e poi il parrocato decennale a Bottida, in combinazione  con la docenza di storia della chiesa presso la Facoltà teologica ancora diretta dai padri gesuiti a Cagliari. Quindi nel 1995 il trasferimento nel capoluogo, per continuare certo nell’insegnamento, ma anche per dirigere, dopo padre Cannas, l’Archivio Storico Diocesano: incarico mantenuto per volontà dell’arcivescovo Alberti e del suo successore (non nemico ma neppure amico dell’Archivio in difficoltà crescenti per lo scarto perfino drammatico  fra l’offerta e anche le aspettative, sempre onorate, del pubblico di studiosi e la disponibilità effettiva di risorse materiali, soltanto in parte compensate da un volontariato attivo e generoso).

Per un decennio circa la direzione del Bollettino Ecclesiastico Regionale – organo della Conferenza Episcopale Sarda, per lunghissimi anni confezionato da don Pier Giuliano Tiddia, perfino dopo  la sua promozione alla cattedra episcopale di Oristano –, senza soluzione le collaborazioni ovviamente a Theologica e Historica, così come la produzione di saggi e monografie (sono una cinquantina i testi in volume, qualche centinaio quelli sparsi come articoli e saggi brevi sia in libri che in giornali: si pensi all’Osservatore Romano, si pensi alla Voce del Logudoro, si pensi al Notiziario dell’Archivio). Per un anno ancora, giusto per preparare il giubileo del 2000, ecco un ritorno in parrocchia, a San Gavino martire nella sua Illorai, coordinandosi in comunione di servizio con i colleghi di Burgos ed Esporlatu.

Ogni sfoglio dei Quinque libri, e perfino dei libroni delle Contadorie diocesane o dei Tribunali ecclesiastici (anche – paradossalmente – con quegli intimi attentati alla trasparente semplicità evangelica che il clericalismo padrone del mondo ha annidato, come pegno di un’umanità fallibile, nelle carte secolari) ha costituito sempre per don Cabizzosu – è testimonianza personale quella che porto – come un supplemento di preghiera, perché inteso come riflessa materializzazione di una esperienza umana che per essersi conclusa nella sua dimensione di terrestrità non per questo può essere intesa, dal prete credente, esaurita e confinata nel nulla. E dunque bisognosa ancora e sempre di rispetto e anzi di amore, direi di accompagnamento. Questo è stato il senso e anche il modulo operativo del servizio ventennale che all’Archivio Storico Diocesano di Cagliari ha reso don Cabizzosu, e spiace che l’arcivescovo Miglio – funzionario del sacro – non l’abbia capito, come non ha capito pressoché nulla né del suo mestiere come sarebbe nelle nostre necessità di goderne, né della realtà nostra.

Parroco felice ad Ardara, capitale delle cose belle e fascinose della millenaria storia popolare e della Chiesa non soltanto logudorese ma sarda per intero, ormai da quasi due anni don Cabizzosu, impegnato sempre e sempre sorridente e positivo per dono di natura, prosegue la sua attività di studioso, di professore, di conferenziere, di biografo dell’episcopato e del clero isolano così come delle famiglie religiose maschili e femminili,  tutte sempre collocate nel contesto sociale che ne ha visto boccio e maturazione.

Chiudo con un cenno di tratto piuttosto personale. Lo ebbi al mio fianco, don Tonino Cabizzosu figlio di genitori onorati, Mattia Delogu e Giuseppe Agostino Cabizzosu “artefici di pace e di fraterna solidarietà”, allorché lavorai alla monografia sulle relazioni di papa Roncalli con la Sardegna, a cui egli offerse una sua brillante introduzione, dopo la premessa donatami dal cardinale (allora arcivescovo) Loris F. Capovilla. Lo ebbi con me, alla presentazione che del volume facemmo nella comunità di San Mauro, ospiti del padre Salvatore Morittu, presente anche l’indimenticato mio fratello e maestro caro Efisio Spettu. Lo ebbi con me, insieme organizzatore e relatore, al convegno che al seminario diocesano di Cagliari tenemmo nel 2006 nel decennale della scomparsa dell’arcivescovo Paolo Carta. Lo ebbi a ringraziarlo dedicandogli un libretto che ambientava e riproduceva il testo del discorso (ai più ignoto) dell’allora monsignor Angelo Giuseppe Roncalli nella chiesa di Sant’Antonio abate nella via Manno – era l’ottobre 1921 – a pro dell’Opera missionaria. Lo ebbi con me nel 2012 nel convegno villacidrese sul trentesimo della morte dell’amato vescovo Antonio Tedde e anche, l’anno successivo, nella confezione degli atti curati da Angelo Pittau. Lo ebbi ancora con me in anni recenti nelle fatiche prese da una e dall’altra parte, in scambievole servizio di consulenza tanto più nel recupero dei documenti, in numerose altre ricerche – quante saranno state ad oggi? forse cento –, da quelle sul Quotidiano sardo a quelle biografiche su don Giuseppe Lepori , o sui parroci storici della collegiata di Sant’Eulalia, o sul leader massone Enrico Serpieri e sul poeta mazziniano Emanuele Canepa, o sul nunzio apostolico Angelo Palmas, o su fra Antonino Pisano, o su don Ezio Sini e il suo successore don Salvatore Casu, o sul garibaldino comandante del “Cagliari” e artiere della loggia “Libertà e Progresso” Antioco Sitzia, o sul vescovo cagliaritano-nuorese  Luca Canepa, o sul compianto don Tonio Pittau – dimenticato da tutti, ignorato e rimosso del tutto dagli arcivescovi Mani e Miglio –, o sul centenario della presenza conventuale all’Annunziata, o su quello bonarino, o sui cugini Scanu (il rettore e senatore Gavino e il domenicano Pietro Domenico, pietrificatore come Efisio Marini)…

Fatiche parallele, feconde sempre. E’ sempre bello collaborare, senza mai contabilizzare crediti e debiti, uniti da una ragione superiore, dalla dedizione a una causa che merita.  Così si incontrano le creature che amano la gratuità.

 

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