Agenzia sarda delle entrate, questa è vera autodeterminazione, di FRANCISCU SEDDA
Ci sono domande semplici che ronzano nella testa dei sardi da un po’ di anni: “Perché se la maggior parte dei soldi che produciamo qua deve restare qua i soldi li facciamo andare comunque tutti là, a Roma?”, “Perché se c’hanno detto e ridetto che non ce li hanno mai restituiti nei tempi e nei modi giusti dovremmo continuare a lasciarglieli incassare?”, e soprattutto, “Cosa possiamo fare per non passare per tonti e trovarci in mutande ancora una volta?”. L’Agenzia Sarda delle Entrate è la risposta. Sorta nelle menti di alcuni di noi indipendentisti non più di dieci anni fa, fattasi senso comune popolare attraverso il Fiocco Verde, il comitato apartitico e trasversale che ho avuto l’onore di presiedere, Ase è divenuta, dopo un cammino neanche tanto lungo per i tempi nostrani, atto istituzionale con la delibera approvata dalla Giunta guidata dal presidente Francesco Pigliaru. Certo, il cammino non è finito. Ora ci sono due settimane di dibattito pubblico sulla delibera. A dimostrazione che, nel proporre Ase, al coraggio e alla visione il presidente Pigliaru, e con lui l’assessore Paci, hanno voluto associare anche il momento della partecipazione. Poi ancora toccherà al Consiglio Regionale. Risulta difficile credere che il Parlamento sardo, e men che meno la nostra maggioranza, già pronunciatasi a favore di Ase, possa scivolare sulla buccia del sardomasochismo e negare alla Sardegna e ai sardi uno strumento vitale per la nostra economia, per il nostro futuro. Difficilmente i sardi lo perdonerebbero. Dunque, siamo sulla buona strada per brindare a capodanno all’arrivo di Ase. E ce ne sarebbe motivo. Prendete i residui attivi. In certi esercizi di bilancio si sono attestati sui 700 milioni. In alcuni altri sono arrivati al miliardo. E via ogni volta a duellare con lo Stato per ottenerli. Con Ase il problema non sarebbe mai sorto e non sorgerà più perché quei soldi verranno direttamente dirottati nei conti della Sardegna. Con tutti i vantaggi immaginabili. E questo non è che l’inizio. Ase infatti, oltre a servire a porre fine alla “vertenza entrate” e ai suoi estenuanti contenziosi, è anche uno strumento per supportare i Comuni nella riscossione dei tributi, per recuperare la ricchezza prodotta in Sardegna da aziende con sede legale fuori dalla nostra terra, per mappare i nostri flussi economici, capire dove facciamo acqua, dove andiamo bene, dove possiamo fare meglio. E progettare così nuove politiche fiscali a misura della nostra terra. Ma forse tutti questi esempi pratici non rendono il vero valore di Ase, quello che dovremo continuamente curare, in particolare modo nel momento della sua graduale ma irreversibile attuazione. Perché l’istituzione dell’Agenzia Sarda delle Entrate è prima di tutto un “buon esempio” da raccontare. Una storia positiva, di quelle che ti fanno tornare fiducia in te stesso, nell’impegno democratico, nella capacità di un intero popolo di crescere e prendersi nuove e più grandi responsabilità. La vicenda di Ase infatti è la dimostrazione che le intuizioni possono farsi istituzioni, che la creatività popolare, quando non si rassegna alla testimonianza o alla protesta, può effettivamente cambiare le cose. Ed è il segno che il desiderio di sovranità da seme si è fatto pianta e poi frutto. Maturo. Colto. Ase, insomma, è la dimostrazione pratica che la Sardegna può lasciarsi alle spalle, senza paura, la vecchia logica autonomistica, rinunciataria e rivendicazionista,per entrare in un’epoca affermativa e propositiva. Un’epoca fatta di responsabilità assunte, di capacità in crescita, di opportunità da inventare. Di autodeterminazione praticata. Dai sardi, per i sardi. * Segretario Nazionale Partito dei Sardi, in LA NUOVA SARDEGNA 14 LUGLIO 2015