Una vita, una dracma, di Marco Deplano
E’ molto difficile usare parole crude per parlare di una persona cara. Per lei, preferiremmo indossare un guanto, o sfiorarne i lineamenti con un fiore, rimanendo nell’intimo silenzio dello sguardo tra due amanti.
Oggi restiamo alla finestra. In attesa degli eventi, di un cenno, di una permanenza che non ha più niente di scontato. Il nostro senso di impotenza per il dolore altrui forse è anche ipocrisia, o cinismo, mascherato da un pizzico di sano egoismo. Cosa accade?
E’ un momento tumultuoso. Un’Europa in cui il sangue si è mescolato in mille e diversi modi, si è infine condensato in tessuto che ha rappreso un’intera comunità interculturale e cosmopolita. Non più solo per convenienza e denaro. Quel sangue, corroborato dai sentimenti, scorre nelle persone con uguale forza, a prescindere dal loro reddito pro capite: una visione della società europea più idealista e meno materialista, in cui obsoleti Stati nazionali cedono il passo a cittadini e Popoli, autori di un destino intrecciato. E’ una previsione generosa, non la realtà, la quale invece si mostra assai confusa.
Qualcosa non torna, ma la colpa non è né dell’Euro come moneta in sé, né dei “mercati”, concetti anonimi e presenti nelle dinamiche geopolitiche del Vecchio continente. Lo stato dell’arte, per quanto lo si voglia intorbidire con approccio dietrologico, è assai banale: in un’area complessa come l’Unione europea, in cui ogni categoria giuridica usata finora si è rivelata inappropriata, ciò che emerge è una schizofrenia istituzionale causa di instabilità politica interna. La gestione eterogenea delle questioni di politica estera ed economica delegittima le istituzioni e fa precipitare le comunità locali in un vortice di incertezza verso il futuro. Chi è l’Unione europea?
Perché un organismo privato come la BCE di Francoforte tiene soggiogati capi di Stato e istituzioni brussellesi? Provate a rispondere intimamente.
Uno dei punti meno conflittuali del dibattito tra i giuristi di tutta Europa riguarda la pacifica assenza di democrazia nel continente. Questo è un fatto che non desta scalpore. Al contrario, sono sempre meno scontate le consultazioni popolari, a volte populiste, che alcuni governi hanno promosso chiamando a raccolta i propri concittadini. Francia, Olanda e, in ultimo, viene in mente il referendum irlandese, in cui il magnate della compagnia aerea low cost ha investito tanti quattrini: non per promuovere o meno l’adesione al Trattato di Lisbona, quanto perché restare tra i Paesi membri è una ghiotta opportunità di crescita, in tutti i campi, per chiunque.
La Grecia non ha il suo mister O’Leary: abbiamo di fronte un enorme muro finanziario invisibile ma tangibile, che respinge i diritti delle persone, e antepone gli interessi bancari alle vite umane.
Non c’entra nulla la “perdita della sovranità monetaria nazionale”. Chi ritiene che questa sia l’unica causa dell’aumento dell’inflazione e del debito pubblico ha una visione molto parziale del nostro spazio economico.
Il mondo evolve, le transazioni economiche sono sempre più fluide e il denaro assume i tratti della fiat money: imponenti capitali virtuali viaggiano abbattendo le distanze e senza il peso di un’unica valuta o della fluttuazione del tasso di cambio. Il potere di battere moneta è un concetto storicamente superato e va rimodulato. Così come non basta che la BCE tagli il costo del denaro. La politica è buona se lungimirante ed equa. Le cure placebo servono solo ad illudere il malato. Tra l’austerity e dei palliativi, occorre mediare.
La Grecia ha un PIL non distante da quello prodotto dalla regione Lombardia. E’ un Paese in crisi, come lo sono tante realtà dell’Eurozona. L’esito del referendum, a prescindere da quale sia, conduce l’Unione ad un nuovo impasse politico. Come uscirne insieme?
Il problema sono le regole del gioco, della convivenza. Le regole le fanno le persone. Dunque, se le regole non funzionano e provocano sofferenza, si cambino all’origine. Occorre una nuova Bretton Woods, e serve subito.
Il dramma sociale europeo è in pieno svolgimento ed è un terremoto innanzitutto culturale, e scuote le radici del nostro vivere insieme. “Prima le persone”, era lo slogan che alle scorse elezioni europarlamentari portava il peso di una scelta antropocentrica. Adesso, è il momento della solidarietà. Apriamo quella finestra, affacciamoci sul nostro mare, e invitiamoli a restare. A qualsiasi costo.
Marco Deplano
Pubblicato: 5 luglio 2015