IN MEMORIA DI VINDICE RIBICHESU, di Piero Marcialis

Non è difficile per me parlare del nostro comune amico Vindice Ribichesu, come persona, come giornalista, come fondatore e Primo Presidente della Fondazione Sardinia.

Come uomo e giornalista abbiamo saputo molto tempo fa, eravamo allora molto giovani, di una persona dalla schiena dritta, che aveva avuto i fegati di dire semplicemente di no a chi in Sardegna all’epoca era, se non il Potere assoluto, qualcosa che gli somigliava parecchio.

Era un no che pochi seppero dire allora, che non molti anche oggi sanno dire.

Così fu una sorpresa conoscerlo poi personalmente, così diverso dal duro, dall’uomo tutto ferro, che noi, giovani e ingenui, avevamo immaginato: era un signore cortese, amabile, affabile, dall’eloquio sommesso, come un gentiluomo d’altri tempi.

Vindice, altri l’hanno detto e altri ancora lo diranno, amava il suo mestiere, onestamente e senza fanatismo, con un filo di ironia e di autoironia.

Amava l’aneddotica, specie riferita all’informazione, alla carta stampata, ai paradossi che scaturivano dai ritmi di un lavoro obbligatoriamente frettoloso, sempre sulla notizia.

Indimenticabile il sorriso divertito, pacato e misurato, che gli procurava ricordare certi “incidenti” dei colleghi.

Per esempio:

“Entrati nottetempo in una porcilaia in agro di Ittiri, i malviventi ne sono usciti all’alba dopo averla completamente …ripulita”;

oppure, in cronaca di Cagliari:

“trattenuto in questura dopo l’episodio, il Sanna, privo delle gambe, è stato poi rilasciato… a piede libero”!

Dobbiamo a Vindice per primo, alle sue qualità umane e intellettuali, la realizzazione, venticinque anni or sono, di un’impresa non facile in Sardegna, quella di mettere insieme intellettuali, giornalisti, politici, artisti, giuristi, non per fare un partito, né una lobby, ma una fondazione culturale, come la Fondazione Sardinia.

Alla Fondazione e alle sue attività, tanti hanno appunto partecipato, in diversa misura, ma tutti, come oggi si è soliti dire, “mettendoci la faccia”: parlamentari europei, consiglieri regionali, giornalisti, uomini di spettacolo, sindacalisti, storici, scrittori, giuristi, linguisti, un accademico dei Lincei, un sacerdote; ciascuno con le sue idee, il suo credo, le sue esperienze, con reciproca stima e rispetto, nonostante le diversità e le distanze, a volte consistenti, che li avrebbero tenuti separati.

Abbiamo in questi venticinque anni studiato, parlato, ragionato, scritto e pubblicato, diffuso in decine di convegni ed incontri, di Sardegna, di storia sarda, di lingua sarda, di chiesa sarda, di teatro, cinema e canzone sarda, di uomini  e donne della nostra isola: del passato, del presente e del futuro dei nostri paesi, delle nostre tradizioni, della nostra cultura.

Vindice ha partecipato a tutto questo fino all’ultimo, dopo aver diretto questo impegno nei primi dieci anni.

Sono stati gli anni ’90 nel corso dei quali abbiamo riportato alcuni risultati che oggi sembrano senza paternità, ormai patrimonio comune, ma che allora comportarono invece un certo sforzo perchè fossero accettati in linea teorica e in via pratica: cito soltanto la “festa dei sardi”, la “festa del popolo sardo”, Sa die de sa Sardigna, legge regionale del 1993, celebrazione del 28 aprile 1794, la cacciata dalla Sardegna dei governanti piemontesi: una vittoria che vuole augurarne altre ancora.

La Fondazione guidata all’inizio da Vindice Ribichesu, poi e fino ad oggi da Bachisio Bandinu, ha voluto ed è riuscita ad essere un sodalizio utile non ai propri soci, se non in termini di reciproco arricchimento umano, politico e civile, ma utile a tutti: uno spazio aperto di incontro e dibattito, di stimolo alla crescita morale e civile dei giovani sardi, di richiamo all’impegno in questa direzione verso tutti gli operatori sociali e culturali sardi e non sardi, operanti nell’Isola o fuori di essa.

Basti pensare che il Comitato pro sa Die de sa Sardigna, nato dentro la Fondazione, ha raccolto insieme, da allora e fino ad oggi, 20 associazioni culturali operanti nell’Isola, e ha promosso nelle scuole, nei comuni, nelle biblioteche, nei circoli degli emigrati, centinaia di incontri sui temi della storia e della realtà attuale della Sardegna, diretti da decine e decine di esperti, uomini e donne, prestatisi a titolo sostanzialmente gratuito.

Un connotato preso da Vindice e comune a noi tutti ha, senza possibile dubbio, caratterizzato la nostra storia: mai abbiamo accettato di essere strumento, diretto o indiretto, di un patron, fosse esso un imprenditore, un partito o un progetto politico, nonostante non siano mancate pressioni, anche piuttosto forti, in questo senso.

Questa naturale ritrosia al servilismo e all’opportunismo, questa particolare forma di allergia a ogni imposizione autoritaria, a ogni deviazione dal rapporto trasparente e

democratico, a minacce e lusinghe del padrone di turno, se anche noi non l’avessimo per nascita, per autentica sardità, l’avremmo comunque ereditata da Vindice e la custodiamo,  gelosamente, come custodiamo il suo ricordo.

Questo sentimento e questa volontà comportano dei prezzi, è persino possibile che quest’anno il prezzo da pagare sarà la fine della Fondazione Sardinia.

Tutto finisce, Vindice non è più con noi, gli è stato risparmiato il dispiacere di dover assistere alla fine di quell’ impresa di cui era stato, insieme con noi soci fondatori, protagonista, come fondatore e Primo Presidente.

Se la Fondazione Sardinia chiude, si chiuderà un punto significativo della resistenza della cultura sarda, al quale Vindice Ribichesu ha dedicato gli ultimi venticinque anni della sua vita.

Se la Fondazione Sardinia chiude, e siamo sereni nel dire questo, troveremo altri percorsi, escluso quello di chinare la testa, anzi a testa alta faremo come fece lui: sceglieremo quello che è giusto, non quello che è comodo.

 

 

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