Becciu: nei miei anni all’Avana ho visto i segnali del disgelo Parla l’arcivescovo pattadese, nunzio dal 2009 al 2011: «Le riforme di Raùl Castro e il rilascio di prigionieri politici», di Giampaolo Meloni

Il sostituto alla Segreteria di Stato vaticana, originario di Pattada, ha avuto un mancamento durante la messa celebrata dal Papa a Torino, sabato 20 giugno. Francesco in serata è andato a trovarlo. Ieri è stato dimesso. Pubblichiamo l’intervista del prelato sardo (nella foto: con i sardi di Biella) concessa a La Nuova sardegna.

 

DEL VATICANO. Si apre il varco della pace tra Stati Uniti e Cuba. E la riapertura dei rapporti tra Washington e l’Avana ha anche una tessitura sarda. Svolta storica, ma siamo appena agli inizi. Nella terra della rivoluzione fallita c’è chi resta guardingo sulla prospettiva di un rapporto nuovo con il Nordamerica ma c’è anche chi, e sembrano tanti, guarda con entusiasmo a questa prospettiva e alla fine delle sanzioni (se la svolta effettiva verrà sancita dal Congresso Usa). Di questo processo storico, seppure dietro le quinte della riservatezza che gli è propria, è stato artefice anche l’arcivescovo Angelo Becciu, originario di Pattada, Sostituto della Segreteria di Stato. È stato nunzio apostolico a Cuba dal 2009 al 2011. Che effetto le fa oggi sentire il presidente Obama che dice «Todos somos americanos»?

Le aspettative. «Siamo di fronte a un problema decennale, radicato – osserva Monsignor Becciu –. Un problema che va oltre Cuba, perché tutta l’America Latina ha sempre guardato con interesse e speranza alla soluzione dell’isola caraibica. Sentire quindi “Todos somos americanos” significa condividere le aspettative e dare una risposta alle attese non solo dei cubani, ma anche dei latinoamericani».

Esigenze comuni. Dopo 55 anni l’isola “comunista” e gli Stati Uniti abbreviano le distanze. Le differenze sono una ricchezza e una risorsa, ha detto il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. C’è la consapevolezza di un interesse comune. «È chiaro, come anche si evince dalle dichiarazioni di entrambe le parti, che gli accordi raggiunti hanno risposto alle esigenze sia dell’uno e sia dell’altro – osserva il Sostituto Angelo Becciu –. L’ha detto lo stesso Obama che mantenere l’embargo non aveva più significato, con l’embargo non hanno ottenuto niente, anzi hanno affamato un popolo. E quel regime, quello che essi hanno ostracizzato per 50 anni e volevano sconfiggere, è rimasto al potere».

I diritti. Ma nella riapertura c’è qualcosa che va oltre le ragioni diplomatiche: «C’è soprattutto una risposta al diritto dei popoli di non poter essere privati della sussistenza quotidiana, economica, sociale. La Chiesa – osserva Monsignor Becciu – ha sempre tenuto viva questa esigenza. Lo stesso Giovanni Paolo II aveva lanciato un appello affinché l’embargo finisse. La famosa frase “Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a una Cuba” sigillava le aspettative ma anche la soluzione del problema».

La via liberale. Ora resta l’obiettivo fondamentale, urgente, la fine dell’embargo. «Dopo le dichiarazioni devono venire i provvedimenti concreti», dice l’arcivescovo che nel 2012 ha accompagnato Benedetto XVI a Cuba, nel 23esimo viaggio apostolico internazionale. «Obama si è impegnato, aspettano il voto del congresso. È chiaro che questo ha rinnovato le speranze del popolo cubano e perché non rimangano deluse il governo di Raùl Castro sarà impegnato a favorire un graduale passaggio dall’attuale sistema economico centralizzato a uno più liberale. Tutto questo dovrebbe avvenire, come ha dichiarato qualche giorno fa proprio Raùl Castro, nella cornice del sistema comunista, del socialismo. Vi saranno contraddizioni, ma spetterà alle loro abilità, di cui sono maestri, risolverle».

Diffidenze cadute. Ruvidità e sensibilità che hanno cominciato ad assottigliarsi qualche anno fa. Il Sostituto Angelo Becciu ha un patrimonio d’esperienza maturato negli anni della nunziatura a Cuba. Dal 2009 al 2011 ha lavorato tanto per agevolare i rapporti tra Santa Sede e Stato cubano, tra governo locale e Chiesa locale, costruendo relazioni molto più distese e abbattendo molte diffidenze.

I prigionieri liberati. «Ricordo quell’esperienza molto positivamente, arricchente. Sono stati gli anni in cui Raùl Castro ha iniziato a mettere in atto alcune riforme economiche tese a dare spazio all’iniziativa privata. Fu anche il periodo in cui vennero liberati 120 prigionieri politici: questo è un ricordo particolare, un momento esaltante. La Chiesa cubana, nella persona del Cardinale Ortega, arcivescovo dell’Avana, e del presidente della Conferenza episcopale, fu chiamata direttamente dal governo cubano a fare da intermediaria per la liberazione dei detenuti politici. Con tale atto alla Chiesa veniva pubblicamente riconosciuto quel ruolo sociale che dal tempo della rivoluzione castrista le era stato negato».

Stato e Chiesa. Il processo che ha ravvicinato lo Stato e la Chiesa cubana è frutto di gesti e di semi lanciati nel tempo. Niente succede a caso, ricorda Monsignor Becciu. Certamente un evento che ha dato un notevole impulso al dialogo tra le parti fu la storica visita di Giovanni Paolo II nell’isola caraibica. Tra i momenti significativi non si può dimenticare il riconoscimento da parte del governo del giorno di Natale come festa civile per tutto il Paese. Si ripristinava così una celebrazione soppressa negli anni ’60. Lo stesso recente viaggio di Papa Benedetto a Cuba ha ridato nuova linfa alle buone relazioni tra Stato e Chiesa. Con il passare del tempo si respira insomma un’aria nuova. Vi è più libertà per le manifestazioni di culto della Chiesa (basta pensare alle imponenti processioni fatte in onore della Vergine del Cobre) e gli stessi cattolici non sono più discriminati nella sfera pubblica.

Il ruolo di Francesco. A fissare tuttavia l’ultimo tassello per favorire la riapertura tra Stati Uniti e Cuba è stato il Pontefice culturalmente più affine a quelle terre, Francesco, il Papa venuto da lontano. «È stato il vero protagonista, silenzioso, ma efficace», conferma Angelo Becciu

Il dialogo. Il tempo della svolta è stato annunciato. La superpotenza incontra l’isola di Fidel, l’allievo gesuita, e di Raul che dopo una lunga storia di diffidenze verso l’America ribadisce l’orgoglio dell’indipendenza e del socialismo. Quale può essere l’auspicio? «Che questa intesa serva da modello e sia di speranza a tanti Paesi dilaniati da guerre o da aspri contrasti sociali. Con il dialogo e la buona volontà si possono superare diffidenze e contrapposizioni apparentemente inconciliabili. Il vivo augurio – conclude il Sostituto Angelo Becciu – è che quanto avvenuto tra Stati Uniti e Cuba possa essere di paradigma per le molte Nazioni ancora alla ricerca di concordia e di pace, ricordandosi che la guerra, fredda o guerreggiata che sia, non è la soluzione dei problemi».

 

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