«Il Quotidiano Sardo», ovvero l’informazione cattolica regionale nel secondo dopoguerra, di Andrea Corda
A circa quattordici anni dall’approvazione degli atti del secondo Concilio plenario sardo (1987-2001) resta ancora inattuato l’obiettivo della Chiesa sarda di realizzare un organo di informazione cattolica regionale. Nonostante i buoni propositi enunciati negli atti conciliari, tra cui appunto la promozione di «una pastorale organica della comunicazione sociale» prendendo in esame la «comprovata opportunità di creare per tutta l’Isola uno strumento unitario di comunicazione sociale, che sia espressione dell’intera comunità cristiana», ad oggi in Sardegna manca un quotidiano cattolico, o quanto meno di un organo di stampa, a livello regionale, diversamente da quanto accadeva, invece, nel secondo dopoguerra. In quel periodo, quasi ciascuna delle undici diocesi sarde (Ales e Terralba, Alghero, Ampurias e Tempio, Bosa, Cagliari, Iglesias, Nuoro, Ogliastra, Oristano, Ozieri, Sassari) pubblicava una testata periodica ad hoc, che rappresentava un semplice bollettino della realtà locale, non contemplando, però, di fatto, alcuna apertura a notizie riguardanti ciò che accadeva nelle altre diocesi isolane o di altre regioni italiane. Per superare questo limite, la maggior parte dei vescovi delle realtà sarde, agendo con una visione comune e coordinata, si rese conto della necessità di realizzare un organo di stampa giornaliero, unitario – tale fu «Il Quotidiano Sardo» –, che abbracciasse tutti i territori diocesani. Si profilava così uno scenario giornalistico del tutto nuovo per la Sardegna che, per la prima volta, poteva annoverare uno strumento unitario di informazione, teoricamente in grado di valorizzare le singole esperienze locali come parti della Chiesa nel suo insieme. Tale visione non fu totalmente condivisa dall’episcopato, nel caso specifico dalle cinque diocesi del nord isolano (Sassari, Alghero, Bosa, Ozieri e Tempio). L’eccezione di maggiore rilievo fu quella dell’arcivescovo di Sassari, Arcangelo Mazzotti, secondo cui la diffusione del «Quotidiano Sardo» sarebbe potuta andare a discapito del settimanale diocesano sassarese, «Libertà».
I veri artefici della nuova testata giornalistica furono soprattutto gli arcivescovi Giuseppe Cogoni ed Ernesto Maria Piovella, ma un ruolo determinante fu svolto anche dal padre gesuita Luigi Gallicet (docente nel seminario regionale di Cuglieri), che girò l’isola per sensibilizzare l’opinione pubblica e i parroci, trovando i mezzi adeguati a sostenere l’investimento. Il progetto si ispirava al modello del giornale cattolico romano «Il Quotidiano», nato nel 1944, di cui la versione sarda rappresentava una sorta di edizione locale. Come si evince dalla lettura dei numeri del «Monitore Ufficiale dell’Episcopato Sardo» («MUES»), «Il Quotidiano Sardo» ebbe fin dall’inizio vita travagliata soprattutto per due motivi: lo scarso sostegno da parte del mondo cattolico isolano e la penuria di mezzi economici.
Il giornale, che cominciò le pubblicazioni il 6 aprile 1947, venne diretto inizialmente da Mariano Pintus, futuro deputato democristiano e, in seguito, da monsignor Giuseppe Lepori e Italo Montini. La gestione amministrativa fu affidata nientemeno che al medico Giuseppe Brotzu, già rettore dell’Università, che, dal 1955 al 1958, sarebbe stato presidente della Regione e successivamente anche sindaco di Cagliari. Tra i principali redattori o collaboratori fissi si annoveravano Lorenzo Del Piano, Venturino Castaldi, Lucio Artizzu, Mario Angius, Giovanni Sanjust, Mariano Delogu, Paolo Pinna, Milvio Atzori, Ninni Carta, Remo Concas. La parte religiosa era curata, oltre che dal padre Gallicet e da don Lepori, da don Gesuino Mulas del clero ozierese e don Nazareno Mocellin della diocesi di Iglesias. Si trattava di una redazione composta prevalentemente da giornalisti laici e vicini alle posizioni politiche della Dc. La testata aveva anche una piccola sede a Sassari, affidata ad Antonio Pigliaru e Domenico Panzino. Per un breve periodo, nel 1955, caporedattore del «Quotidiano Sardo» fu il ventiquattrenne Raniero La Valle che, nel 1960, sarebbe diventato direttore del «Popolo» di Roma e, dal 1961 al 1967, dell’«Avvenire d’Italia» di Bologna, nel quale raccontò le novità e le aperture del Concilio Vaticano II.
Dopo pochi mesi dall’inizio delle pubblicazioni, la testata, in seguito alla morte della sua “guida realizzatrice”, l’arcivescovo Cogoni, fu trasferita da Oristano a Cagliari. In una lettera intitolata Per il Quotidiano sardo del 10 luglio 1948, pubblicata sul «MUES», monsignor Piovella richiamò i lettori cattolici a sostenere la testata, contro i «giornali perversi, nemici di Dio e del buon costume». Egli mise quindi subito in chiaro i principali problemi del giornale: «tanti Cattolici non lo conoscono, non l’apprezzano, non lo sostengono», preferendo acquistare i cosiddetti quotidiani “indipendenti”. La logica conseguenza era un numero insufficiente di lettori e un’esigua quota di abbonati tra le comunità parrocchiali. Il giornale, tra l’altro, aveva un circuito di distribuzione limitato quasi esclusivamente alle rivendite situate all’interno delle parrocchie. Soltanto poche migliaia di copie erano invece diffuse nelle edicole. Il “lettore tipo” del giornale era assiduo frequentatore di chiese e parrocchie, iscritto all’Azione Cattolica, oppure alle Acli, o a Coldiretti, o ai Comitati civici.
Le cause del basso numero di copie vendute erano rintracciabili anche nella mancanza di infrastrutture – le insufficienti vie di comunicazione stradale rendevano difficile la distribuzione del giornale – e, soprattutto, nel persistente analfabetismo che, nel 1951, riguardava il 22% della popolazione sarda.
Gli appelli della gerarchia ecclesiastica a favore della diffusione del «Quotidiano Sardo» continuarono anche sotto l’episcopato cagliaritano di monsignor Paolo Botto. In una lettera del 1949, questi, unitamente ai presuli di Iglesias, dell’Ogliastra e di Nuoro cercò di sensibilizzare maggiormente i potenziali lettori, richiamandosi alle parole di Pio X, che affermava: «io venderei i mobili della mia Chiesa piuttosto che lasciare morire un giornale cattolico».
Il 1948 fu l’anno delle elezioni politiche nazionali, la seconda consultazione a suffragio universale dopo quella del 1946. «Il Quotidiano Sardo», in sinergia con i vari periodici diocesani (molto attivi in tal senso «Libertà» e «L’Ortobene»), cominciò a pubblicare titoli propagandistici a favore del Partito democristiano. L’impegno di vescovi, sacerdoti e laicato a sostegno della Dc aumentò con l’avvicinarsi della scadenza elettorale. Si fece ricorso a tutti i mezzi di promozione parrocchiale, come la predicazione diretta, la propaganda sulla stampa e le manifestazioni paraliturgiche. Un insieme di azioni che avevano lo specifico obiettivo di indirizzare il voto. Nelle pagine del giornale si poneva l’accento sull’importanza decisiva delle elezioni italiane e sul dovere dei cattolici di andare a votare. Era ricorrente l’appello “votare e far votare” e “votare secondo coscienza”, che significava votare Dc.
La collaudata formula fiancheggiatrice che aveva segnato il successo del 18 aprile 1948 fu replicata anche nella successiva occasione elettorale: l’8 maggio 1949 fu una data storica per l’isola, poiché si votò per l’elezione del primo Consiglio regionale. Il «Quotidiano Sardo» seguì con grande attenzione anche le elezioni politiche nazionali del 1953 dove a tenere banco fu l’iter di approvazione della nuova legge elettorale maggioritaria, ribattezzata dagli oppositori “legge truffa”. La linea del giornale fu quella di non alimentare polemiche eccessive con i detrattori della legge, in particolare con il settimanale comunista «Rinascita Sarda», che dedicò a tale tema un numero speciale il 28 gennaio 1953.
Nel dicembre 1957 l’assetto proprietario del «Quotidiano Sardo» passò dall’Azione Cattolica regionale alla Democrazia cristiana. Il direttore don Lepori, che nel 1950 aveva rilevato Mariano Pintus, fu sostituito, nel gennaio 1958 da Italo Montini, già redattore de «Il Popolo», foglio ufficiale della Dc. Nelle elezioni politiche del 1958, le ultime seguite dal giornale che sospese le pubblicazioni pochi mesi dopo, la testata continuò il fiancheggiamento del partito democristiano. Tuttavia, nelle campagne stampa relative alle tornate elettorali del 1953 e del 1958 si riscontrò un abbassamento dei toni rispetto a quanto era accaduto nel 1948. Il motivo anticomunista sempre più raramente presentava l’animosità e gli accenti battaglieri che avevano contrassegnato la prima campagna elettorale dell’Italia repubblicana. In concreto, lo stato d’animo di forte mobilitazione presente nella stampa cattolica sembrava essersi affievolito nelle consultazioni elettorali successive al 1948, in cui non venivano più neppure utilizzati slogan e frasi ad effetto come “Lotta decisiva tra il bene e il male” e “Crociata antibolscevica”.
«Il Quotidiano Sardo» si avviava progressivamente alla fine delle sue pubblicazioni. Il suo ultimo numero fu quello dell’11 ottobre 1958.
Certo l’attuale quadro sociale e politico, italiano e sardo, è diversissimo da quello degli anni ’40 e ’50 dello scorso secolo e a dettare le ragioni di una replica dell’esperienza di un giornale cattolico regionale sarebbero altri fattori che non quelli della “conquista” e della “gestione” dello Stato ad opera di un partito longa manus della Chiesa. Forse oggi non conterebbero tanto le ragioni di potere quanto quelle ideali, del confronto delle idee cioè, che la Chiesa potrebbe promuovere nel suo seno e nel più largo ambito civile.
Intanto bisognerà vede se davvero i vescovi sardi, a tanta distanza temporale dagli impegni solenni assunti con il Concilio plenario sardo, mostreranno nel concreto interesse al progetto. Voci informate sostengono essere alle viste un sito internet della Conferenza Episcopale Sarda: una formula nuova e moderna per dire che, comunque, di carta stampata non se ne parla e che, al più, accanto all’web, continueranno a vivere di vita stentata i periodici diocesani oggi distribuiti nelle chiese o per abbonamento?