INDIPENDENTISMO E SINISTRA NELLA GLOBALIZZAZIONE, note sul convegno di Sassari del 16 maggio 2015, di Federico Francioni
La lettura dell’importante convegno da parte dell’attento storico sassarese.
Sabato 16 maggio si è svolto a Sassari, nella Sala “Angioy” del Palazzo della Provincia, un convegno sul tema “Indipendentismo e sinistra in un mondo globalizzato: quali prospettive per la Sardegna?”. L’iniziativa è stata promossa ed organizzata da IRS (Indipendèntzia Repùblica de Sardigna), FEM (Federació d’Entitats de la Mediterrania) e dall’associazione culturale “Governo provvisorio”. Nella sessione sul tema “L’indipendenza come processo democratico per una nuova Europa dei Popoli”, moderata dal politologo Carlo Pala, hanno svolto relazioni dense di passaggi analitici e di progettualità politica Lloyd Quinan, ex-deputato dello SNP (Scottish National Party), Jaume Fores, membro del Consiglio nazionale di ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), Conxita Bosch, dell’esecutivo nazionale di SC (Solidaritat Catalana per la Independencia), Jean Guy Talamoni, portavoce del gruppo parlamentare di Corsica libera, Marta Spada, dell’esecutivo nazionale di IRS.
Nella sessione dal titolo “Una nuova idea di sinistra. Diritti, sovranità e giustizia sociale. Esempi concreti di Grecia e Bolivia” – moderato da Nello Cardenia – sono stati relatori Georgios Davos (giornalista greco, rappresentante di Syriza) e José Raul Garcia Linera, analista politico boliviano e membro del Partito per il socialismo. Un’altra sessione, incentrata su “L’indipendenza come dichiarazione unilaterale. L’esempio di Abkhazia e Ossetia”, è stata moderata da Jordi Miró, presidente di Estat Català. Il lavori del convegno internazionale sono stati conclusi dal consigliere regionale della Sardegna Gavino Sale (presidente di IRS) e da un dibattito in cui sono intervenuti, fra gli altri, Gesuino Muledda dei Rossomori, Angelo Marras, Bustianu Cumpostu, Gianni Pala, Andrea Faedda, Paolo Mugoni e chi scrive (gli ultimi due redattori della rivista “Camineras”).
Gli esponenti politici catalani hanno sottolineato con molta lucidità la stretta connessione fra la causa dell’indipendenza ed una battaglia di vera, concreta giustizia sociale, definite “due facce di una stessa moneta” ed inoltre la volontà di costruire una “società aperta”, una democrazia rappresentativa caratterizzata da una forte tensione etica, una Repubblica non presidenzialistica, non centralistica, bensì parlamentare, con precisi vincoli alla durata del mandato ed alla retribuzione degli eletti nelle istituzioni. Insomma dai dirigenti di ERC e di SC è stato prospettato un sistema politico-istituzionale che possa diventare un riferimento non solo per le nazioni d’Europa prive di Stato, ma per i popoli di tutto il mondo, in lotta per una effettiva liberazione socioeconomica, politico-istituzionale e linguistico-culturale.
Quale sinistra? Per una ridefinizione di che cosa si possa intendere oggi col termine sinistra un contributo notevole è venuto dallo studioso boliviano Garcia Linera, che si è soffermato sulla politica del suo paese, tendente ad una redistribuzione del reddito in favore dei ceti più poveri, sulla base delle nazionalizzazioni e di un intervento statale sulle eccedenze dei profitti nei settori strategici. La linea perseguita dal governo boliviano (ed anche da quello dell’Ecuador) rientra in quella più ampia visione che lo stesso Garcia Linera ha definito del Buen vivir – per il rispetto dell’ambiente e per il riconoscimento del patrimonio delle minoranze indigene – fatta conoscere in Italia specialmente dal giornalista ed economista Giuseppe De Marzo (che è stato anche a Sassari per presentare un suo libro). Marta Spada di IRS ha fatto preciso riferimento alla difesa dei beni comuni (come l’acqua). In effetti che battaglia indipendentista sarebbe quella non in grado di opporsi all’Eni che, con altri monopoli (come la Shell), commette crimini contro le popolazioni e l’ambiente, dalla Nigeria alla Sardegna?
Certamente, rispetto agli schieramenti propri dell’assetto politico-istituzionale centrale, l’indipendentismo tende ad acquisire nell’elettorato consensi di tipo trasversale, ma una forza indipendentista sarà chiamata, prima o poi, a scegliere fra opzioni diverse – ed anche antagoniste – come ha ricordato nel suo intervento l’on. Gesuino Muledda dei Rossomori. A questo proposito va formulata una precisa domanda: oggi in Sardegna si può essere indipendentisti e, allo stesso tempo, praticare subalternità o arrendevolezza verso quel liberismo selvaggio che ha preso piede fin dagli anni ottanta del secolo scorso, ad opera delle sciagurate politiche reaganiane e thatcheriane? Queste non hanno certo trovato argine in una sinistra tradizionale, sempre più oligarchica e compromissoria; le logiche di austerity, tanto care ai poteri economico-finanziari e bancari transnazionali, sono state mutuate dalla stessa Unione Europea, ben ferma, anzi, implacabile nel perseguire lo smantellamento del Welfare, della sanità, della scuola pubblica, la distruzione della natura, delle filiere tradizionali, proprie dei territori abitati da minoranze nazionali e linguistiche.
Per operare al riguardo precise distinzioni, sono stati davvero proficui, nel convegno di Sassari, sia l’intervento degli esponenti catalani già ricordati, sia quello di Garcia Linera, sia, infine, quello di Davos.
In Scozia ed in Catalogna il fronte indipendentista ha conseguito risultati eccezionali attraverso programmi dall’inequivocabile impronta antiliberista ed anti austerity. I risultati, dopo tanti anni di grandi battaglie politiche ed ideali, sono puntualmente arrivati: ne fa fede, in primo luogo, il trionfo dello SNP che, nelle recenti elezioni politiche britanniche, ha conquistato ben 56 dei 59 seggi disponibili per la Camera dei Comuni; la massiccia presenza di deputati indipendentisti catalani, sia nel loro Parlamento (74 su 135), sia in tanti ayuntamientos (municipalità). Nell’ultima tornata delle amministrative spagnole, l’affermazione di Podemos, del giovane leader Pablo Iglesias, ha solo in parte oscurato la netta crescita di consensi intorno a ERC, che passa da 257.564 voti del 2011 (pari all’8,98%) ai 508.839 di oggi (16,40%), assicurandosi 2.381 consiglieri. In generale i suffragi per il fronte indipendentista salgono dal 38,26% al 45,27%. Ciò ha investito anche una città come Barcellona, per tradizione non particolarmente prodiga di voti ai partiti indipendentisti. Ma nel Comune la loro presenza cresce.
Accanto alla lotta per l’indipendenza – come ha ricordato lo stesso Davos – bisogna proseguire quella contro i meccanismi della dipendenza economica e politico-culturale che alla fine prosciugano le energie e le risorse di una società. Il giornalista greco ha ricordato che l’UE si oppone fermamente ad ogni sforzo del governo del suo paese per alleviare almeno le condizioni più difficili delle masse: elevamento delle pensioni più basse, provvedimenti contro gli sfratti dei proprietari di prime (ed uniche) case.
Ben conoscendo i danni del liberismo più sfrenato, vogliamo davvero lottare per l’indipendenza della Sardegna, riuscire magari a conquistarla, per poi proseguire con le dinamiche tanto care all’UE? Ma per realizzare certi scellerati obiettivi sono già impegnati i poteri internazionali forti, con i loro teracos politici, compresi quelli locali, sempre così proni ed untuosi.
Una possibile acquisizione – su cui, certo, bisogna continuare a riflettere – è venuta dal dibattito sviluppatosi durante il convegno: quale sinistra? In base all’esperienza storica si può affermare che la sinistra cui gli indipendentisti possono fare riferimento non può essere di sicuro quella che non ha mai voluto fare i conti – sino in fondo – con le vicende dell’Urss, dello stalinismo, dell’Europa orientale, dei partiti legati a quell’epoca storica. In tale schieramento occorre collocare anche le forze della sinistra cosiddetta “radicale”, come Sel e Prc.
Ormai giornalisti, politologi ed osservatori anche autorevoli – prima magari consenzienti – tendono a configurare sempre più il Pd come soggetto non di sinistra ma centrista, portatore di un piano di “democrazia autoritaria”. Allora la sinistra cui gli indipendentisti sardi potranno vantaggiosamente riferirsi – per fare solo alcuni esempi – sarà quella che emerge dalle lotte della Bolivia e dell’Ecuador, dalle conquiste e dai risultati conseguiti dai fronti indipendentisti in Scozia e Catalogna.
Costruire un laboratorio comune per il progetto. Senza entrare, almeno in questa sede, nel merito delle scelte di schieramento operate da Gavino Sale nelle ultime elezioni regionali, è giusto chiedere – e non solo, si badi bene, a IRS! – una visibilità, una continuità nell’iniziativa politica indipendentista che negli ultimi mesi è andata calando in misura davvero preoccupante. Far parte di un’alleanza, come quella di Centro-sinistra, non può, non deve, in ogni caso, far venire meno una prassi, una denuncia, una critica incalzante nei confronti dell’esecutivo regionale. Ma il problema, va ribadito, non riguarda solo IRS. Nel corso del convegno Quinan, dello SNP, ha spiegato con chiarezza che bisogna essere quotidianamente a fianco delle masse popolari con le analisi, le proposte, le iniziative di lotta. In questo modo egli ha posto il nodo decisivo delle strutture organizzative, della forma-partito, della sua crisi, da una parte, dell’esigenza di individuare e costruire qualcosa di diverso, di alternativo rispetto al passato, dall’altra: un nodo che in Sardegna, spesso e volentieri, è stato ignorato, aggirato, eluso, tramite il comodo rinvio al genericissimo concetto di “movimento”.
Pro nos acurtziare, a su mancu unu pagu, a sos resurtados conchistados dae sos frùntenes indipendentistas in Iscòtzia e in Catalugna – conchistas chi como pro sa Sardigna sunt comente unu sòmniu – bisòngiat fraigare unu fraile pro su progetu, unu traballu chi siat de aberu comune a totus sos indipendentistas sardos. Deo so de sa redatzione de sa rivista “Camineras”, chi est disponìbile.